Informazioni Evento

Circoscrivendo la vasta casistica della vanitas e del memento mori, la mostra intende mettere in scena una piccola tragedia contemporanea, in bilico tra questo mondo e l’aldilà. Racchiudendo – sempre e comunque – un presagio sulla fatuità della vita, i denti della “morte digrignante” e le giunture della “morte secca” diventano un pungolo ai tormenti e ai turbamenti dell’arte: voluttuose o contemplative, le opere esposte ci avvisano che è impossibile possedere o comprendere l’Hevel (quel tutto che in realtà è un vuoto a rendere), perché da morti le cose cessano di avere un significato, e in verità moriamo ogni giorno.

Comunicato stampa

Corsoveneziaotto è lieta di invitarvi alla mostra collettiva “Eleazar”, curata da Alberto Zanchetta.

Diversamente dal Medioevo, la società moderna ha cercato di rimuovere ogni coscienza astratta della morte, imponendo una distanza fisica, visiva e affettiva da coloro che sono passati a miglior vita. Vanificando l’immagine dei morti rischiamo però di vanificare anche la nostra immagine di morituri; ma poiché l’uomo è l’unico animale che sa di dover morire, molti artisti affrontano la consapevolezza della fragilità delle cose terrene, del tempo che corrompe la bellezza e la divora. Non è quindi un caso se la prima decade del Terzo millennio volga al termine all’insegna del macabro, gli artisti vogliono infatti ristabilire un contatto diretto con il culto dei morti, quel rapporto che la società aveva scoraggiato, fin quasi a proibirlo perché ritenuto uno dei grandi tabù dell’era moderna. Dalla notte dei tempi la morte è uno dei temi più frequentati dagli artisti, un’inquietudine che ne contrassegna l’immaginario e le opere. Ogni epoca abbonda di simboli legati all’idea della transitorietà che ci ammoniscono sulla vanità di ogni cosa terrena e ci costringono a riflettere sui fini ultimi dell’esistenza. In virtù di ciò, negli ultimi anni abbiamo assistito a un profluvio di soggetti “aggrediti dal tempo” (teschi oppure scheletri, ancora integri o con le ossa sparse). Circoscrivendo la vasta casistica della vanitas e del memento mori, la mostra intende mettere in scena una piccola tregenda contemporanea, in bilico tra questo mondo e l’aldilà. Racchiudendo – sempre e comunque – un presagio sulla fatuità della vita, i denti della “morte digrignante” e le giunture della “morte secca” diventano un pungolo ai tormenti e ai turbamenti dell’arte: voluttuose o contemplative, le opere esposte ci avvisano che è impossibile possedere o comprendere l’Hevel (quel tutto che in realtà è un vuoto a rendere), perché da morti le cose cessano di avere un significato, e in verità moriamo ogni giorno.