Eleonora Gugliotta – Scorie microcosmiche

Informazioni Evento

Luogo
EX STUDIO PIERO MANZONI - STUDIO ZECCHILLO
via Fiori Chiari, 16, Milano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Vernissage
25/09/2015

ore 16

Artisti
Eleonora Gugliotta
Generi
arte contemporanea, personale

Mostra personale di Eleonora Gugliotta all’interno del progetto di Pier Luigi Buglioni “Amori Possibili” (Autoritratti in viaggio).

Comunicato stampa

Amori Possibili
“Non c’è nulla da dire: c’è solo da essere, c’è solo da vivere”
E’ in queste parole, nei Corpi d’aria con il fiato dell’artista, nelle Uova sode consacrate dalle sue impronte digitali, nella Merda d’artista, nella Base magica, un piedistallo su cui ognuno, salendo, può diventare un’opera d’arte, nella Base del mondo, nelle Sculture viventi, negli Achrome, è nelle sue opere che Piero Manzoni vive la sua straordinaria e folgorante esperienza. Una storia vissuta a Brera, nello studio di via Fiori Chiari 16, dove morì, a soli 29 anni, nel 1963, in una Brera molto diversa da quella di oggi, in una Milano che non aveva assolutamente capito il suo spirito e la sua grandezza.
Dopo cinquant’anni lo studio apre le sue porte, offrendosi agli studenti dell’Accademia: nasce “Amori Possibili”, un Progetto di Pier Luigi Buglioni, un Evento dedicato a Brera e ai Giovani Artisti di Brera.
Una serie di “Autoritratti in viaggio” dentro un percorso che racconta semplicemente la quotidianità di tante giovani e differenti realtà, rincorrendo il sogno della pittura e il suo emozionante e repentino svelarsi.
La pittura rappresenta nella sua storia, oltre all’idea dell’artista ed alla sua interpretazione, quella rivelazione che riesce a cogliere sempre nell’immaginazione poetica una sfumatura nuova ed opposta, interpretando lo spazio nel suo essere e nel suo divenire un valore nuovo.
Dalle prime rappresentazioni rupestri al computer, dalla preistoria alla modernità, è l’arte a disegnare la vita dell’uomo, riportandola in superficie…Così con Bachelard: “lo spettacolo esterno aiuta a dispiegare una grandezza intima”, mutevole e ripetentesi allo stesso tempo in un senso “rotondo” della vita (Van Gogh).
Insita nell’uomo è forse la necessità di un ritmo corrispondente a quello interno, fisico, originario o a quello più profondo della temporalità cosciente dell’animo: il dilatarsi dell’attimo nell’infinito o il coagularsi dell’eterno in un attimo.
Un viaggio originale e sconosciuto alla scoperta del mondo e di noi stessi: l’espressione di una storia che l’arte riflette e proietta, alla ricerca della perfezione o della sublimazione di essa come aspirazione e ispirazione, come risposta ad una realtà in continua trasformazione.
Perché importante è cogliere una sfumatura nuova, è vivere tra lo spazio intimo della pittura, il tempo e lo spazio esterno: lo spazio di un vissuto, anche nel divenire del nulla…

Tutto è possibile nella memoria del presente.

(PLB)

“SCORIE MICROCOSMICHE”
Eleonora Gugliotta
25.09.2015

Nell’atelier più famoso di Milano assieme a quello di Lucio Fontana, quello di via Fiori Chiari, a Brera, che fu il rifugio-laboratorio di Piero Manzoni, è apparsa forse una stella, afferma in qualche modo la mostra-installazione site specific di Eleonora Gugliotta, che sta per essere inaugurata. Una sperimentazione artistica trova, ora, degna discendenza in E.G. che ti fa camminare sulla propria pelle.
Di che cosa si tratta, prego? Lo scrive lei stessa: “Questo progetto si pone come elemento di riflessione intorno a due sfere: l’inibizione […] e il rifiuto (inteso come scarto), strettamente collegati tra loro”.
A voler tradurre: scorie o residui intimi del corpo, come “peli, pelucchi, polveri, briciole” di pelle. Ad osservarli con una lente di ingrandimento – insiste Eleonora – “si percepiscono dei microcosmi le cui scale di grandezza risultano infinte”, o quasi. Attenzione: “proprio come nelle texturologies dell’informale segnico di Dubuffet in cui la composizione grafica sembra a tratti tutt’altro che casuale”.
Ebbene: “L’impatto emotivo della visione ingigantita di tali soggetti conduce a una specie di violenza nei confronti dei pudori e pensieri occulti che rendono quasi scomoda e imbarazzante tale visione”. Suppongo che questa provocazione verbale possa favorire l’impatto visivo e tattile, spaziale o per meglio dire ambientale presentato dalle installazioni di Eleonora che, in un certo senso, mettono i peli al muro e al pavimento.
Me la figuro nel mentre annuncia, incedendo, questo accesso a un mondo fantasmatico, il proprio universo mondo artistico.
“L’accesso però a questo spazio senza vergogna è consentito – avverte Eleonora – solo in maniera ‘totale’ […]”. Vi si può accedere soltanto a piedi nudi. Affinché, attraverso il contatto tattile, per dirla alla Bernard Berenson, o secondo altri remoti paradigmi cari alla psicologia della forma di conio woelffliniano, si attui un’esperienza sinestetica.
Dal momento che “tutto questo provoca tendenzialmente una sorta di rifiuto e disgusto che tanto più è evidente in un individuo, tanto meglio risulta essere necessario abolirlo”, Eleonora adotta proprio questo termine: “per arrivare a una purificazione” che, nel caso, parrebbe suonare come una volontaria regressione allo stato primordiale o natale del bambino mentre succhia, accorato, la sua creatura, il capezzolo della mamma. Quello stesso seno che, entro un lasso di tempo relativamente breve, prenderà ad odiare scoprendo quanto non gli appartiene totalmente. Non è, come credeva, parte di sé, un suo ineffabile creato.
In un angolo dell’atelier l’etereo fantasma del conte, l’ectoplasma vagante di Piero Manzoni sorride compiaciuto per questo ritorno alla prima infanzia a cui si è rivolto, insistentemente, tutto il suo operato. “Merda d’artista” in primis, ma anche “fiato d'Artista”, prodotti tutti “poveri”, ricavati da una forma di scarto umano. E continua la Gugliotta: “La volontà non è quella di demonizzare i soggetti qui messi sotto osservazione quanto rompere le sovrastrutture mentali collegate a tali oggetti. Revisionare e riformulare le nostre supposizioni precostituite, distruggere gli schemi.”
Un viaggio spazio-temporale di stampo esistenziale che richiama a sé un residuo freudiano e le sue elaborazioni più recenti, Jacques Lacan in testa; un viaggio oltre i confini della vergogna e del reale in grado di risuonare come un riscatto del Divino marchese o come un inaudito riferimento alla stoppa che, celata dal suo sarto sotto le ascelle della giacca estiva di Casanova, gli ha permesso la rocambolesca fuga dai “piombi” di Venezia. Una magnifica fuga dalla realtà che assomiglia molto a quelle inscenate da Piero Manzoni e alla presente, messa in atto da Eleonora Gugliotta.
Rolando Bellini
Da sempre, la modalità di ricerca dell’artista Eleonora Gugliotta utilizza come strumento la tecnica del redy made, estrapolando elementi dalla loro naturale collocazione per reinserirli in un ambiente con una modalità completamente nuova, creando una sorta di interferenza cognitiva nello spettatore. Nel progetto “Scorie microscopiche” l’artista estrapola un elemento corporeo, che nella società occidentale è visto come un elemento di scarto, e lo ingrandisce in modo esponenziale rendendolo quasi irriconoscibile. Peli corporei e capelli vengono ingranditi in maniera macroscopica e ricollocati nel pavimento del luogo espositivo, obbligando il passaggio scalzo dei visitatori attraverso un mondo intimo e personale legato alla sfera del pudore, l’igiene corporeo e l’imbarazzo. Proprio come Gilbert & George ingigantivano sulle tele i loro liquidi corporei per smuovere le coscienze comuni, allo stesso modo Eleonora Gugliotta ingrandisce peli e capelli per creare un input di riflessione su come la diversità culturale crea degli stereotipi opposti. In occidente i peli sono elementi di scarto e motivo di inibizione, in oriente sono sacri se vengono rimossi (come accade in Islam) o la totale mancanza è segno di castità come accade per i monaci buddisti. La ricollocazione di questo elemento corporeo ingrandito gli da anche una nuova connotazione iconoclasta. L’aggrovigliamento segnico che crea l’enorme campitura di peli appare quasi come una tela informale, acquisendo così una duplice valenza cognitiva dove la natura biologica del pelo riacquista il suo significato solo nei piccoli “strappi” originari esposti anch’essi come fossero piccoli gioielli delicati e preziosi scrutabili attraverso lenti d’ingrandimento. Dal macro al micro e viceversa, è questo il gioco ambivalente dell’artista nel reinventare un elemento che ricopre quasi completamente il corpo umano ma che crea anche molto ribrezzo nell’uomo occidentale forse proprio per la sua connotazione altamente intima. Eppure l’ingrandimento di queste campiture di peli svelano fascinose texure che nulla hanno a che vedere con l’immaginario collettivo di scoria corporea, ma che anzi acquistano una connotazione astratta e fortemente pittorica.
Sasvati Santamaria

Attirati da superfici ancora inesplorate, proprio come dei contemporanei Armstrong, siamo portati a posare i nostri piedi nudi su superfici di ‘scorie microcosmiche’. Calpestabili come tappeti, questi ingrandimenti fotografici hanno come soggetto e unico protagonista ciò che solitamente viene allontanato dal nostro sguardo e scartato dal nostro corpo, ciò che nelle diverse culture e società è rifiutato e condannato come qualcosa di ripugnate e laido. Questi piccolissimi scarti, prodotti o provenienti dall’uomo, come: “peli”, “capelli”, “pelucchi”, “polveri”, “briciole”, ecc., divengono qui tappeti artistici, installazioni dal forte impatto spaziale e ambientale, microcosmi da indagare ed esplorare, tracce individuali e memoria organica dell’uomo.
Osservando questi microcosmi con lenti di ingrandimento vedremo le unità di misura accresciute a dismisura, rivelando agli occhi veri e propri macrocosmi, che avvolgono e disorientano il ‘neo-viaggiatore spaziale’, il quale trovandosi alle prese di filamenti, cellule morte e depositi di polveri sarà costretto a fare largo nella sua mente a una forma di maturazione del proprio pensiero, scardinando e allontanando tutti quei preconcetti, credenze e fobie che fanno parte dell’uomo. Considerati antiestetici, antigienici, alle volte superflui e per tanto imbarazzanti, provenienti da qualsiasi parte del corpo, sia i capelli che i “peli” hanno da sempre avuto un impatto differente nell’opinione dell’uomo. Ad esempio il “pelo pubico”, considerato come uno dei caratteri sessuali più importanti, segna la maturità sessuale di entrambi i sessi e in particolar modo segna la fertilità e la carica erotica del sesso femminile. Difatti già dalle figure idealizzate delle donne del Rinascimento i peli venivano rappresentati solo da una ombra, poiché già da allora il pelo pubico femminile fu associato a opere pornografiche, così è stato fino al 1866 con L’origine du monde di Courbet, in cui i tabù sessuali continuarono a persistere fino ai nostri giorni. Negli anni Sessanta personalità come la stilista Mary Quant fece sapere che si era tagliata i peli pubici a forma di cuore, oppure negli anni Ottanta, con la serie di Helmut Newton denominata "Big Nudes" (1981), il quale mostrava modelle con tacchi alti e peli pubici piuttosto imponenti. Ancora oggi si associano i peli, sia del pube che i capelli a un qualcosa da celare o da cui ognuno di noi se vuole liberarsi dal male se ne deve disfare.
Come la Gugliotta, anche altri artisti prima di lei hanno indagato e persino usato come mezzo, come soggetto e fatto oggetto delle proprie opere questi residui di corpo. Già dall’opera precorritrice Déjeuner en fourrure (1936) di Oppenheim a Behold (2009) di Sheela Gowda, oppure all’opera Hair Necklace (1995) di Mona Hatoum in cui grovigli di peli e capelli diventano oggetti da esperire esteticamente, in quanto sono diventati sculture, istallazioni, soggetto principale di una fotografia e forme libere e iconiche come pitture informali e segniche alla Dubuffet.
Ed è proprio la scoperta di queste parti del corpo, considerate “il lato oscuro della luna”, zone da sempre in penombra il concetto da sdoganare, come fatto già in passato la propria identità sessuale. Poste sotto lo sguardo “pudico” del fruitore, si tenta con queste ‘scorie microcosmiche’ di abbattere tutte quelle idee, quei tabù e preconcetti, squarciando con violenza quel velo che ha da sempre celato quelle scomode e imbarazzanti verità del nostro corpo, diradando ogni forma di pensiero malizioso con pudori imposti dalle strutture sociali e culturali.
Danilo Lo Piccolo

Eleonora Gugliotta, 26 anni, originaria di Capo d’Orlando (Messina), ottiene il diploma di laurea triennale all’Accademia di Belle Arti di Palermo nel corso di Graphic Design. Attualmente sta terminando il biennio specialistico di Decorazione presso l'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano.
Il suo primo orientamento maturo all'arte contemporanea avviene attraverso la fotografia che si mostra per lei come esigenza di approccio a nuovi strumenti e tecniche, diversi da quelli pittorici, da cui era partita studiando decorazione pittorica. Eleonora precisa però «Mi servo della fotografia quando lo ritengo lo strumento più idoneo a soddisfare le esigenze di un determinato progetto artistico, altrimenti sfrutto la pittura nelle sue più diverse forme, l’istallazione, la performance, l'intervento urbano, la video-art ecc».
Il suo lavoro può rientrare nel genere della Trash Art, ma molto spesso è concettuale e metafisico al tempo stesso. Evocativo e ironico, indaga l’interiorità degli individui, riflette in particolare sul processo di sofferenza, di crescita, di cambiamento, di violenza, repulsione e istintività a cui è sottoposto l'uomo durante le varie fasi della vita.
Tema caro alla Gugliotta, è quello sociale. Ed è proprio questo ad essere maggiormente trattato con quel tocco di ironia che, nel porsi come provocazione, ne alleggerisce i toni.
Si può notare come nella ricerca dell'artista si trovi la costante del colore che maggiormente viene rappresentato attraverso fili di lana, materiale da lei frequentemente utilizzato nelle sue istallazioni e interventi urbani. Il suo strettissimo rapporto col colore è probabilmente legato alla sua terra di origine, non tanto per le caratteristiche visive che esercita un luogo come la Sicilia, quanto per lo spirito e l'energia che appartengono a quella terra. La composizione “carica” dei suoi lavori ricorda le tendenze del Noveau Realisme di grande stimolo per lei, che dichiara di prediligere «un'opera Kitch ad una raffinata opera minimale o di pura sensibilità pittorica».

2015 - Rassegna “FISAD, Festival Internazionale delle Scuole d’Arte e Design”, Accademia Albertina, Torino;
2015 - Collettiva “Nutrimento Urbano”, MostraMiArt, Milano;
2014 - Performance per documentario “Athos Collura: Ogni sogno infranto”, progetto di Città metropolitana di Milano;
2014 - Collettiva “Caleidoscopio, Molteplici visioni del contemporaneo”, Ecomuseo del Mare - Sant'Erasmo, Palermo.