Elisabetta Di Maggio
La Galleria Stein presenta per la prima volta il lavoro di Elisabetta Di Maggio, un’artista che da molti anni porta avanti una ricerca che ha messo al centro il concetto di tempo declinato in tutte le sue forme tanto da farlo diventare la vera materia del suo lavoro.
Comunicato stampa
La Galleria Stein presenta per la prima volta il lavoro di Elisabetta Di Maggio, un’artista che da molti anni porta avanti una ricerca che ha messo al centro il concetto di tempo declinato in tutte le sue forme tanto da farlo diventare la vera materia del suo lavoro.
Per quest’artista, il gesto manuale è fondativo dell’opera, capace di coniugare insieme la tradizione artigiana che ci è stata tramandata e che ha contribuito a rendere unici molti luoghi, con il tempo lungo di realizzazione che per lei diventa una condizione imprescindibile e concettuale.
Un altro tema importante della sua ricerca sono le reti di comunicazioni necessarie a trasmettere informazioni. Le sue opere evidenziano le strette connessioni esistenti tra le trame, i circuiti, le griglie, le strutture e i reticoli che appartengono a differenti mondi ma che fanno parte della nostra esistenza entro cui spendiamo il nostro tempo e la nostra quotidianità.
Quando parla di circuiti o di reticoli, pensa ad esempio alla struttura complessa dei vasi linfatici delle foglie, al reticolato disegnato sull’epidermide umana, oppure ai tracciati delle metropolitane, o ancora alla complicatissima sagoma di una cellula nervosa.
Prende i suoi soggetti dal mondo reale, partendo da illustrazioni antropologiche, botaniche, urbanistiche; ma anche da ricami e disegni di tappezzerie e arazzi che appartengono ad un quotidiano domestico.
Tutto il suo lavoro assume quindi il senso di una riflessione metaforica sul nostro esistere come parti di un tutto che tende a ripetere certe leggi di proliferazione frattale, dalle quali è difficile distaccarsi ma che al contempo ci garantiscono un senso di movimento e fecondità nel mondo.
Il metodo di lavoro è sempre lo stesso da anni, taglia differenti materiali usando affilati bisturi da chirurgo, e come spiega lei stessa: “sono partita da fogli di carta velina, per arrivare a foglie di vegetali piccoli o enormi, saponi, porcellana e altre superfici, incluso l’intonaco dei muri. Passo ore a sezionare questi materiali e il risultato sono lavori che possono essere accomunati da un tema unitario: quali forme assume la natura nel suo dilatarsi e organizzarsi”.
Nella storica galleria di Corso Monforte, Elisabetta Di Maggio presenta Greetings from Venice, l’immensa installazione site specific inizialmente pensata per il Fondaco dei Tedeschi di Venezia. Si tratta di un “immaginario” pavimento di mosaici, ispirato a quello della Basilica di San Marco di Venezia. Un pavimento che non tiene, che non resiste ma che, come tutte le sue opere, perturba, sconvolge, rende increduli mentre spalanca memorie.
L’artista ricollegandosi ai disegni dei pavimenti marciani, ha realizzato un mosaico composto da 100.000 francobolli, delineando insospettabili armonie cromatiche. Il risultato è un interminabile e inimmaginabile disegno visionario, che tiene insieme un sapere antichissimo e una riflessione sul concetto di tempo contemporaneo. I francobolli utilizzati sono tutti usati, hanno viaggiato e oggi si ricompongono in un’altra geografia, dando luogo alla rete/net fatta dei frammenti di vita e delle storie veicolate dalle lettere a cui erano attaccati. I disegni di quel pavimento non sono solo composizioni cromatiche: in ogni tessera c’è un microcosmo, che insieme agli altri va a formare un cosmo più grande, poi un intero universo.
Un lavoro che ha richiesto un tempo lunghissimo di realizzazione, oltre che precisione, finitezza e rigore; una durata che in qualche modo contrasta con l’attimo velocissimo in cui l’opera potrebbe distruggersi: risulta infatti composta di un materiale che all’apparenza sembra consistente e resistente ma che è invece fragile e deperibile come potrebbe essere un disegno. A supporto del progetto, Di Maggio ha studiato e tracciato schemi decorativi e disegni che arrivano a configurare la mappa di un’ipotetica geografia, una trama complessa di percorsi che non portano da nessuna parte, circuiti che non indicano una via ma che ricalcano l’ordinato e inesorabile flusso del tempo.
Utilizzando il francobollo, fa affiorare alla memoria le modalità della comunicazione precedente Internet, in cui era fondamentale il tempo dell’attesa; fa emergere la vita che ruotava intorno alla “missiva”, al suo viaggio, alla sua destinazione.
Fuori dal gigantismo e dalla spettacolarità, entro la misura del limite della propria mano, fino all’esaurimento dell’energia, quest’artista continua a lavorare in una stanza, instancabile, lasciando impresse nel lavoro le tracce e il ritmo delle lunghe ore del giorno.
In galleria è disponibile un testo di Chiara Bertola sull’opera di Elisabetta Di Maggio.
Elisabetta Di Maggio, vive e lavora a Venezia
Nasce a Milano nel 1964. Si diploma presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia (1989) e nel 1992 vince un premio in occasione della 77° Collettiva della Fondazione Bevilacqua La Masa. Nel 1999 frequenta il Corso Superiore di Arti Visive presso la Fondazione Antonio Ratti di Como con Haim Steinbach. Nel 2000 le viene assegnata una borsa di studio per partecipare all'International Studio Program del MoMA PS1- Contemporany Art Center di New York ed è tra gli artisti selezionati per la prima edizione del Premio Furla per l’Arte, organizzato dalla Fondazione Querini Stampalia di Venezia.
Molte sono le mostre personali e collettive, nazionali e internazionali, alle quali ha partecipato: Women in Italian Design, curata da Silvana Annicchiarico, Triennale di Milano (2016); “Arte Fiera 40. I grandi maestri dell’arte italiana”, a cura di Giorgio Verzotti e Claudio Spadoni, Museo MAMbo, Bologna (2016); “Elective Affinities”, curata da Viktor Misiano, NCCA Mosca (2015); “Autoritratti” curata da F. Pasini, Museo MAMbo, Bologna (2013); Terre Vulnerabili, a growing exhibition 1/4. “Le soluzioni vere vengono dal basso”, a cura di Chiara Bertola e Andrea Lissoni, Hangar Bicocca, Milano (2010); ha partecipato alla XV QUADRIENNALE d’ARTE di Roma nel 2008. Space for your future, curata da Y. Hasegawa MOT Museum, Tokyo (2007); Apocalittici e integrati curata da P. Colombo MAXXI Museum, Roma (2007); Il potere delle donne, curata da F. Cavallucci and C. Borgeous, Galleria Civica di Arte Contemporanea, Trento (2006); ), Donna Donne curata da A. von Furstemberg, Palazzo Strozzi, Firenze (2005 Towards Uncertainty curata da C. Bertola, Bell Gallery, Providence, USA (2004).
Tra le mostre personali si ricordano: Greetings from Venice, a cura di Chiara Bertola, Fondaco dei Tedeschi Venezia (2018), Natura quasi Trasparente, a cura di Chiara Bertola, Fondazione Querini Stampalia, Venezia (2017), Disnascere, a cura di Angela Vettese, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia (2012); I change but I cannot die, Laura Bulian Gallery (2012); Francesco Girondini, Verona (2004); Galleria Viafarini, Milano (2005); Il tempo è come il luogo, Galleria Alberto Peola, Torino (2001); Islands, a cura di Octavio Zaya , Arco-Madrid (2001); Studio Barbieri, Venezia (1999).
É possibile trovare suoi interventi permanenti a Venezia, presso la Fondazione Bevilacqua La Masa (2004) e presso la Fondazione Querini Stampalia (2005); a Milano, presso il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea (2005).