Elisabetta Oneto – Regina Pacis
Regina Pacis è un luogo di cura, di conservazione, di attesa ma è anche una roccaforte dell’immaginario, uno spazio in cui i codici razionali non sono necessarie chiavi d’accesso.
Comunicato stampa
Dialogando sull’esperienza della vecchiaia che ha dato lo stimolo ad Elisabetta Oneto per la realizzazione della mostra, subito mi è apparso evidente un parallelismo fondamentale con le riflessioni di Càpita, uno scritto in cui Gina Lagorio racconta lucidamente e dall’interno la condizione della vecchiaia.
I miei privilegi sono tanti, […] i mezzi non mancano, gli amici chiamano, le figlie assistono, ma perché proprio a me doveva capitare questa situazione d’impotenza organizzata, la passività d’ogni gesto, di ogni pensiero persino, tutti mi muovono, puliscono, curano, spostano, ed è un’orgia di dativo etico,“non mi faccia così”,“mi faccia ancora un passetto”,“girami un po’ il fianco”… e intanto indecentemente esibisco le pudenda, coram populo, e l’autonomia che ancora mi resta è quella di un gatto cieco, ma ricco. Forse capisco solo ora che, nel fondo, non ho accettato.
Questa testimonianza sembra essere una rara rivelazione, quasi proveniente da una civiltà sconosciuta e inconoscibile, che penetra oltre il confine buio di una condizione di esistere taciuta, incomunicabile ed incomprensibile nella cultura contemporanea. L’intervento di Elisabetta Oneto è volto ad uno sforzo di immersione in questa dimensione.
Regina Pacis è un luogo di cura, di conservazione, di attesa ma è anche una roccaforte dell’immaginario, uno spazio in cui i codici razionali non sono necessarie chiavi d’accesso. La scenografia di un teatro è la metafora che funziona maggiormente rispetto all’intitolazione devozionale e al tempo stesso altisonante di un territorio di tranquillità e quiete solo apparenti. L’idea della vecchiaia è così deposta in un’oasi, una sorta di paradiso artificiale, in cui l’incantesimo della vita apre nuovi contrastanti orizzonti: la libertà di affermare un’identità a volte istrionica, a volte performativa di nonsense comportamentali, a volte indecente e scomoda, a volte quiescente ed autoreferenziale, ma anche la malattia di una vita che finisce, carica di anni, di esperienze. Regina Pacis è una frontiera, una fascia liminare dell’inconscio, un luogo in cui vivere e osservare la condizione della vecchiaia come momento della vita nella più totale astrazione dal mondo che si muove al di là del confine. Il confronto di due autonomie – quella letterale della società d’oltreconfine e quella mentale della vecchiaia - genera un rapporto peculiarmente epocale. Il vecchio non è figura ieratica come nel passato, ma è ridotto a decadimento da sanare nella nostra idea di esistenza, divenendo specchio e spettro di paure associate alla fine della vita.
L’artificialità diventa così protagonista dell’esperienza della vecchiaia, negando invano e incessantemente l’inevitabilità del suo avvenire. Il tentativo di pensare ad una vita lunga e dominata dalla conservazione di una forma fisica giovanile procede contro la natura dell’umanità. In questo senso le esteriorità di figure di vecchi nella pittura di Elisabetta Oneto mettono di fronte alla necessità di pensare a questo territorio dell’esistenza con uno spirito altro da quello che vuole oscurarne le problematiche e le difficoltà.
Ritratti vissuti nel consueto riferimento dell’artista alla parola, che ribadisce la concreta e indelebile traccia del tempo sul corpo, restituendo fisicità provate, anatomie deformate, sguardi assenti dal presente, gesti di manualità ossessivamente ripetute, colgono la capacità di perdersi in universi ignoti e inconoscibili dalla mentalità della società attiva, animata da frenetiche ricerche di vanità e illusioni.
Tema centrale di tutto il percorso concettuale risulta l’anomalia della vecchiaia rispetto alle consuetudini antropologiche contemporanee. La mostra sottolinea il dissidio tra la tradizione che consegna il mito della vecchiaia racchiuso nella saggezza e nel senno, e l’attualità che sancisce il difetto della condizione dell’essere vecchio. Il procedimento artificioso dell’estetica del corpo accreditato dalla mentalità collettiva costituisce una tensione verso la mancata consapevolezza del trascorrere della vita, che ripara il difetto solo superficialmente ma non nell’interiorità corporea e psichica.
Da questo presupposto nasce la riflessione sulla non accettazione della vecchiaia radicata nell’individuo, data la sua associazione all’idea di assistenzialismo che la equipara alla malattia, che annulla la spontaneità della condizione del vecchio per approdare all’artificialità del suo essere curato.
Elisabetta Oneto esplora questo terreno spesso insidioso ed impervio, indagando della vecchiaia l’incomunicabilità del suo immaginario e la condizione inconscia, mettendone in luce l’intimismo che troppo spesso si trasforma in solitudine.
di Fabio Carnaghi