Emanuele Cavalli / Franco Nonnis
Due mostre in programma alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
Comunicato stampa
La mostra Emanuele Cavalli e la Scuola romana: attraverso gli archivi, a cura di Manuel Carrera, che inaugura giovedì 10 febbraio alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, documenta un periodo cruciale della storia dell’arte del Novecento, quello dell’Italia tra le due guerre, attraverso lo sguardo di uno dei suoi protagonisti: Emanuele Cavalli (Lucera 1904 – Firenze 1981).
Autore insieme a Giuseppe Capogrossi e Roberto Melli del “Manifesto del Primordialismo plastico”, il pittore e fotografo con la sua pittura tonale si fece interprete di un nuovo modo di intendere la figurazione che segnò un’epoca.
La recente donazione del suo archivio alla Galleria Nazionale da parte della figlia Maria Letizia offre uno sguardo inedito sul suo universo artistico e umano, costellato dagli intrecci con alcune delle più influenti personalità del suo tempo. Diari, lettere e documenti raccontano il sodalizio con – tra gli altri – Felice Carena, Fausto Pirandello, Giuseppe Capogrossi, Corrado Cagli, Roberto Melli: i protagonisti, cioè, della cosiddetta “Scuola romana”, definizione coniata dal critico Waldemar-George nella presentazione di una mostra tenuta a Parigi nel 1933 da Cavalli, Cagli, Capogrossi e Ezio Sclavi.
In mostra, oltre ad una selezione dei documenti più significativi dell’archivio di Emanuele Cavalli, sono esposti alcuni dei dipinti, di cui i diari e gli appunti raccontano la lunga gestazione creativa. L’evoluzione della pittura di Cavalli è poi scandita in esposizione mediante il confronto con capolavori dei colleghi a lui più vicini, provenienti da raccolte private e dalle collezioni della Galleria Nazionale. Una particolare attenzione viene inoltre dedicata all’attività di fotografo di Emanuele Cavalli, tra fotografie artistiche connesse al suo immaginario pittorico e istantanee di vita quotidiana con protagonisti i suoi sodali.
Il percorso della mostra
Il percorso, diviso in tre sezioni, è arricchito da documenti provenienti dagli archivi di altre personalità conservati dalla Galleria Nazionale, come quelli di Giuseppe Capogrossi e Rolando Monti, che si collegano direttamente a quello di Emanuele Cavalli permettendo così di ricostruire le rispettive corrispondenze.
La sezione introduttiva affronta l’esordio di Emanuele Cavalli nel mondo dell’arte sotto l’ala di Felice Carena, presso il quale studiò pittura a partire dal 1921 dividendosi tra Roma e Anticoli Corrado. I documenti d’archivio in questa sezione – diverse le lettere di Carena sia nel fondo Cavalli, sia negli altri fondi nell’archivio storico della Galleria Nazionale d’Arte Moderna – testimoniano l’influenza del pittore piemontese sui giovani romani. Si metterà quindi a confronto l’evoluzione della pittura di Emanuele Cavalli con quella dei colleghi della “Scuola romana” a lui più vicini. Le opere sono accostate tra loro per evidenti analogie compositive e iconografiche, ma anche per metterne in luce le differenze. Oltre a dipinti, disegni e fotografie, in questa sezione della mostra verranno presentati i diari dell’artista, alcuni dei suoi scritti più significativi (tra lettere e appunti) e i cataloghi delle mostre a cui partecipò assieme ai suoi colleghi negli anni ’30 – al culmine, cioè, della ricerca “tonalista”.
Sullo studio delle infinite declinazioni dei colori, o meglio, dei toni, Cavalli concentrerà gran parte delle sue energie a partire dai primi anni Trenta, coadiuvato da Capogrossi, Cagli e Roberto Melli (e più ampiamente da altri pittori, Fausto Pirandello in primis, sebbene quest’ultimo rifiuterà sempre la purezza classicheggiante perseguita dai suoi colleghi). Nella seconda sezione della mostra, con l’ausilio di documenti e raffronti, verranno indagati la pittura tonale di Cavalli, le sue origini e i suoi esiti.
Tale era la portata teorica delle loro ricerche in pittura da infondergli l’esigenza di stilare un manifesto, a cui lavorarono a lungo, non senza incorrere in dissidi: nacque così il Manifesto del Primordialismo Plastico, datato 31 ottobre 1933 e firmato da Cavalli, Capogrossi e Melli, quest’ultimo nelle vesti di critico d’arte. Alla lettura del testo si comprende quanto al colore fosse affidato un ruolo centrale e quanto esso fosse strettamente connesso alla costruzione delle forme, dei volumi e, più in generale, all’equilibrio della composizione.
Tipica di Cavalli sarà la ricerca di corrispondenze tra forme e colori, oggetti e soggetti, e proprio in quest’ottica va letta la volontà dell’artista di individuare connessioni tra i toni della pittura e quelli della musica. L’apice di tali ricerche è costituito dalla serie di nove dipinti – che in questa sede verrà parzialmente ricostruita – presentata alla Quadriennale romana del 1943: la sfida che Cavalli rivolgeva a se stesso era quella di riuscire ad armonizzare i valori tonali, in chiave dichiaratamente musicale, con la rappresentazione concreta della figura umana. Il limite del ritratto gli imponeva quindi di accordare le variazioni cromatiche ai toni dell’incarnato, cioè l’unico colore che accomuna tutte le opere della serie. Sarebbe tuttavia inesatto considerare le opere della serie delle armonie di colori meri esercizi di ricerca estetica. Non è infatti secondaria, nei dipinti, la componente psicologica: con ogni variazione di tono Cavalli suggerisce efficacemente una sensazione o uno stato d’animo, dando prova così di una fine capacità introspettiva.
La sezione conclusiva della mostra intende offrire uno sguardo sull’attività di fotografo di Emanuele Cavalli, indagando le connessioni con le ricerche da lui condotte in pittura. Ritratti, paesaggi e nature morte tratteggiano il profilo di un fotografo con una piena padronanza dello strumento e uno sguardo sorprendentemente moderno, tale da suscitare in tempi recenti un rinnovato interesse da parte della critica.
Giovedì 10 febbraio, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea inaugura la mostra «Sobre sí mismo»: Franco Nonnis 1959-1965, a cura di Maurizio Farina, Francesco Mozzetti e Guido Rebecchini, che segna la riscoperta di un artista dalla vivacissima curiosità intellettuale e da un forte interesse per la sperimentazione nelle arti, tra pittura, musica e scenografia.
Questa mostra presenta un ampio corpus di opere di Franco Nonnis (1925-1991) prodotte tra la seconda metà degli anni Cinquanta e la metà degli anni Sessanta. Un nucleo di dipinti su tela e su carta e una selezione di progetti e materiali eterogenei documentano l’ampiezza dei suoi interessi i quali, oltre alla pittura, si estendevano alla musica, alla poesia e al teatro.
Artista poliedrico e intellettuale completo, Nonnis fu uno spirito inquieto e indipendente e mantenne intensi contatti con artisti quali Achille Perilli e Gastone Novelli, con la neoavanguardia letteraria dei Novissimi e del Gruppo 63 e con il mondo del Nuovo Teatro, arrivando a formare strettissimi sodalizi con Franco Evangelisti e Alfredo Giuliani. Protagonista di una importante mostra al Museo Laboratorio di Arte Contemporanea della Sapienza Università di Roma nel 1991, l’opera di Nonnis è stata successivamente pressoché dimenticata, se non da pochi specialisti e da coloro che lo hanno conosciuto e con cui aveva collaborato. Attraverso questa mostra, la Galleria Nazionale promuove il reinserimento di una figura di altissimo valore nel panorama a lui contemporaneo.
Intorno al 1960, Nonnis si trovò a vivere uno snodo fondamentale della cultura artistica in Italia, teso tra le correnti informali, le novità americane che cominciavano ad affacciarsi sul panorama nazionale, e i primi interventi concettuali. Comune a molte di queste ricerche era la tendenza a considerare il dipinto come oggetto concreto che si risolve nella sua superficie, basti pensare a Fontana su un versante più concettuale e a Burri su quello invece della materia. Fu proprio alle opere di Burri, che Nonnis conosceva, che i suoi dipinti risposero più intensamente, senza però abbandonare la ricerca poetica di significati enigmatici e personali, spesso esclusivamente suggeriti da titoli evocativi. Caratterizzato da una forte tensione sperimentale, questo percorso lo ha portato a creare dapprima dipinti ad olio e poi, progressivamente, da un lato a sperimentare nuove tecniche come l’uso di terra, sabbia e cartone ondulato nei dipinti, e dall’altro a realizzare collages di poesia visiva realizzati in collaborazione con Alfredo Giuliani.
La partecipazione di Nonnis, nel 1961, al Movimiento Artístico del Mediterráneo a Valencia, dove trascorse alcuni mesi e pose le basi per una serie di mostre che si tennero a Madrid, Valencia e Barcellona, e dove ebbe l’opportunità di mostrare i suoi quadri più intensi e maturi, dai toni terrosi e le superfici scabre, è documentata in larga parte dai dipinti presenti in mostra. Nel 1963 Nonnis espose anche a Venezia, Roma e Milano dividendo la sua produzione tra collages poetici e opere polimateriche. A partire dal 1965, tuttavia, il suo crescente coinvolgimento nelle attività teatrali, in particolare con il Teatro Centouno dove matura l’importante sodalizio con il regista Antonio Calenda, prese di fatto il sopravvento sulla pratica della pittura e prestigiosi incarichi come scenografo fecero seguito negli anni successivi.
Costantemente teso, nella sua attività pittorica, alla ricerca di una autenticità che raggiunse sperimentando forme e materiali spogli da ogni graziosità e, nelle attività parallele, lasciando libero il freno alla sua fervida e spesso ironica immaginazione, Nonnis seppe trovare soluzioni formali e concettuali del tutto inedite e sperimentali.
Proprio per l’originalità e l’intensità di queste ricerche, Nonnis merita oggi di uscire dall’ombra con un’esposizione che renda piena testimonianza delle fasi più mature della sua carriera e dei suoi molteplici interessi.