Enigma e Desiderio
Riflessioni intime attorno alla funzionalità dell’arte, all’immaterialità e alle diagonali nel tempo.
Comunicato stampa
ENIGMA E DESIDERIO. RIFLESSIONI INTIME ATTORNO ALLA FUNZIONALITÀ DELL’ARTE, ALL’IMMATERIALITÀ E ALLE DIAGONALI NEL TEMPO.
Katia Bassanini, Maurizio Bolognini, Giuseppe Chiari, Giorgio de Chirico, Carmelo Cutuli, Pier Giorgio De Pinto, Martin Disler, Alex Hanimann, Max Huber, Csaba Kis Róka, Ingeborg Lüscher, Rudolf Mumprecht, Meret Oppenheim, Aldo Patocchi, Ivor George Sexton, Valter Luca Signorile, Wols, Albert-Edgar Yersin.
Oggetti d’artigianato d’arte del XIX e XX secolo.
23 giugno – 16 settembre 2018
ENIGMA e DESIDERIO sono due concetti della stessa medaglia. Due aspetti poco tangibili, immateriali, che rientrano nella sfera analitica, per quanto vadano a sfiorare i sensi e il pensiero, che di per sé rimangono anch’essi incompleti e, per certi versi, infiniti: ...e altrettanto immateriale e vana rimane la ricerca di una definizione edotta attorno all’utilità e alla funzionalità dell’arte, oggi come allora, quale pratica professionale.
Il Novecento è stato fondamentale per la ricerca e la produzione di ambiti artistico-culturali, i quali hanno tentato – e ancora cercano di farlo – di andare oltre, di varcare quella soglia oggettuale e di oggettualizzazione, che avrebbe ravvisato nel bello, nella decorazione o nell’illustrazione, quei fini ultimi del processo creativo. Di esempi alterativi alla Storia di quel momento se ne possono citare tanti, parallelamente alle avaguardie: dai movimenti utopici-visionari fino agli studi psicanalitici e steineriani, per cercare di quantomeno prevedere e dare un senso alla creatività in ambito artistico, toccando pure tentativi esperienziali magici o spesso pretestuosamente energetici.
In arte tutto è soggettivo, proprio per quella dimensione antisociale, che sta la base della pratica e dimensione artistica nel suo farsi: quel passaggio enigmatico che avviene tra il pensiero e la sua formalizzazione manuale, seppur entro un contesto meramente decorativo o illustrativo.
Non tutto è arte, ma da una certa angolazione tutto lo è nell’istesso tempo.
Questa è sicuramente una della maggiori consapevolezze che abbiamo ereditato dal Novecento, quantomeno dal duchampismo in avanti: quella della creazione come vero e proprio fenomeno quasi magico ed estreaniante sempre più lontano dal reale e dal realistico, ove la componente di aleatorietà e di mistero nell’atto creativo stesso risultano ingestibili e ingiustificabili in un approccio razionale. Ciò richiede per lo spettatore uno sforzo interpretativo, fondamentale proprio per la lettura dell’opera d’arte.
Non v’è un’apparente utilità dell’arte, se non come investimento e capitalizzazione del sapere e della conoscenza interiori, restando questa disciplina una cosa per pochi fino a quando non si pensò all’istruzione per tutti. E nemmeno l’engagement socio-politico della militanza democratica è stato in grado di giustificare l’elevazione dell’arte rispetto ad altri mestieri: fatta eccezione per le quotazioni del mercato. Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace, recita un adagio popolare. Ma è proprio vero che non è bello ciò che è bello?
L’approccio al processo creativo si definisce, quindi, anche nella creazione di oggetti, che in realtà rientrano nella categoria dell’arte applicata, attorno alla quale si sviluppano forme di decorazione e di abbellimento raffinati e alti, su cui è interessante riflettere.
Senza entrare nello specifico di ogni opera presentata in mostra, e lontani dal voler dare una lettura storiografica e analitica, toccando complicazionismi vari, la selezione del curatore sottende, tuttavia, questo tipo di approccio rivolto alla creazione ma contemporaneamente anche alla definizione di parametri infiniti e incomprensibili, irreali, e, in certo modo, anti-societali ed enigmatici, quale l’arte in effetti è.
Mario Casanova, Bellinzona, maggio 2018.