Enrico Pulsoni – 8 mementi molli e altre narrazioni
La Fondazione Filiberto e Bianca Menna, in collaborazione con il Lavatoio Contumaciale e con l’Associazione FigurAzioni, è lieta di annunciare 8 mementi molli, e altre narrazioni, una importante mostra di Enrico Pulsoni che si terrà nella sede romana della Fondazione, già sede dell’Archivio Menna/Binga.
Comunicato stampa
La Fondazione Filiberto e Bianca Menna, in collaborazione con il Lavatoio Contumaciale e con l’Associazione FigurAzioni, è lieta di annunciare 8 mementi molli, e altre narrazioni, una importante mostra di Enrico Pulsoni che si terrà nella sede romana della Fondazione, già sede dell’Archivio Menna/Binga.
Apprezzato da critici e artisti come Maurizio Fagiolo dell’Arco, Francesco Vincitorio, Tadeusz Kantor che lo chiamava «phantastisch aktor», Jesper Svembro, Filiberto Menna, Italo Mussa, Claudia Terenzi e Nello Ponente, Enrico Pulsoni disegna una traiettoria multicodica, legata basilarmente alla pittura ma aperta anche ai territori del teatro, della lirica, della danza, della musica, della poesia.
Dopo una prima fase dominata essenzialmente da schemi assonometrici e geometrici che si fanno schermi compatti, tessiture cartacee delicate e quasi inavvertibili di cui l’esposizione propone un piccolo ma nutrito ventaglio di opere, l’artista approda alla pittura per coniugare sotto uno stesso cielo l’ambito della grande astrazione e quello del grande realismo. Il suo è «un lavoro di scavo per ritrovare le ragioni della pittura intesa come forma per sé» puntualizza Filiberto Menna in un testo del 1985: «di qui l’attenzione strenua che egli rivela per la superficie, per la materia e il colore, per le forme elementari, per la linea soprattutto, impiegata come uno scandaglio, come una corda per affrontare la discesa fino al fondo, lasciando sulle pareti tracce, segni, addensamenti materici, forme irregolari e spigolose, quasi a indicare, lungo il percorso, i tratti dove s’indovina una soglia, un paesaggio. Di qui anche l’ambiguità di questa pittura, la sua polisemia, che continuamente sfugge a ogni possibile definizione in chiave iconica o aniconica e che sembra giocare con l’osservatore facendogli balenare dinanzi agli occhi, non senza un pizzico di humor, un qualche suggerimento più immediato e rassicurante, per dirottarlo, subito dopo, in luoghi privi di punti di riferimento e lasciarlo lì in una perturbante sospensione».
Instancabile sperimentatore e costruttore di una «sgangherata geometria» (Perilli), Pulsoni concepisce col tempo un corpus policromo e polimaterico che estroflette la massa pittorica verso l’ambiente per concepire armature in cartapesta dove è possibile recepire quel senso di non-finito che Cecilia Casorati individua come «la chiave dell’opera, ciò che ci permette di aprirla», di degustarla, di attraversarla in tutta la sua flagrante infinitezza e molteplicità. Sempre più indefiniti, squisitamente imprecisi, compiutamente incompiuti, lasciati aperti al racconto altrui, i recenti cicli di Enrico Pulsoni sono nodo portante, momento di sintesi riflessiva che avvita attorno a sé tutto il potere di una materia matura, di una mano che sente l’esigenza di fermarsi un attimo prima per mostrare il varco, il passaggio, il brusio silenzioso di cui è ricca la vita. Realizzati a partire dal 2010, i grandi cilci che caratterizzano l’ultima produzione di Enrico Pulsoni – di cui gli 8 mementi molli in mostra sono assunzione dell’antieroe, funerarie evocazioni di nuovi miti o nuovi eroi che devastano e deturpano il mondo – sono momenti di storia e monumenti alla storia, analisi logiche e grammaticali di stratificazioni, di patine che si depositano sul quotidiano, di soggetti maestosi presi per la coda e ricalibrati mediante spostamenti materici: ecco allora che la grandiosità del marmo lascia il posto alla ricercata povertà della cartapesta, la pesantezza si congeda a favore d’una leggerezza e di una elegante imprecisione che mostra l’esile corpo ferroso attorno al quale s’attorcono ruvidi grumi di colore o poche fasce cartacee dove è possibile a volte leggere ancora una parola, scoprire una traccia di tempo. Sono monumenti appunto, e del monumento conservano la forza evocativa per diventare, però, documento di un momento storico legato alla perdita della certezza, alla tensione del vivere, alla caduta degli ideali, al collasso della civiltà, alla solitudine dell’uomo.