Enzo Bianco – Fabula
Terzo appuntamento espositivo della rassegna Aperto. Incontri d’arte contemporanea, sottotitolata Le forme del sogno, con la mostra di Bianco si chiude la settima edizione.
Comunicato stampa
Terzo appuntamento espositivo della rassegna Aperto. Incontri d'arte contemporanea, sottotitolata Le forme del sogno, sabato 13 agosto alle ore 19.00 presso la galleria Fës Show Room di Minori, sarà inaugurata la personale di Enzo Bianco, intitolata Fabula. Con la mostra di Bianco si chiude la settima edizione di Aperto. Incontri d'arte contemporanea, curata anche quest'anno dai due giovani storici e critici dell'arte, Marcella Ferro e Pasquale Rocco e organizzata all’art promoter Giuseppe Fusco.
Per le ceramiche e gli acquerelli di Enzo Bianco è corretto dire che i sogni hanno valicato il confine fra irreale e tangibile per dare forma a un immaginario onirico. Sensazione percepita sin da subito visitando lo studio dell’artista di origine napoletano ma salernitano di adozione. Poche stanze funzionali e ordinate in cui è racchiuso un infinito e mutabile universo fatto di segni, materia e soprattutto colori.
L’arte, che sia essa in forma plastica o pittorica, figurativa o astratta in qualche modo sembra rivolgersi esclusivamente allo sguardo. “Il nostro primo impatto – afferma la curatrice Marcella ferro - con un’opera è con certezza visivo. Anche se, oggi, l’arte contemporanea ci ha iniziato all’espressione del vuoto, la prima istintiva reazione di chi visita un luogo espositivo è quella di cercare con lo sguardo un appiglio concreto, un volume o un’immagine che annulli lo spaesamento percettivo. Diceva Donald Judd ‘L’arte è qualcosa che si guarda’ ma a questo punto c’è da rilevare che l’azione dell’osservare è degli occhi quanto dell’anima ed è proprio a questa che si rivolge Enzo Bianco, spingendo l’osservatore oltre, per dirlo alla Hegel, le ‘ombre sensibili’, ossia ricercando nel suo inconscio quegli elementi comuni all’immaginario collettivo, a quella che chiamerei una memoria ancestrale. Simboli e segni ravvivano le composizioni degli acquerelli, solitamente su un supporto cartaceo spesso e alquanto solido, la cui cromia affascina per la forza dei toni e per la loro definizione netta, di contrasto con la fragilità delle atmosfere sognate. Campiture acquose e poco sfumate che ricordano le opere dell’artista belga Jean Michel Folon, accostate a volumi piatti ove galleggiano figure vagheggiate tratte da uno spazio intimo, surreale”.
Motivi che l’artista visionario rende traccia plastica nella ceramica, dove l’impalpabilità dell’acquerello diventa concretezza della materia. La fantasia prende definitivamente il sopravvento; che si tratti di oggetti funzionali, di design o di maquette per progetti d’interventi ambientali, la terracotta smaltata, come spesso accade per la ceramica contemporanea, diventa il tramite per rendere visibile agli occhi quello che lo è solo per il cuore, così che il mare prenda la forma di un’anfora, un pilota guidi il suo aereo dalla cima di un vaso e da una finestra spunti l’arcobaleno. In sostanza le tecniche sono per l’artista semplici dispositivi mediatici utili a sconvolgere attraverso l’ironia e la leggerezza, le abitudini dell’osservatore, costringendolo, in qualche modo, a rievocare e alimentare l’ingenuità gioiosa dell’infanzia.
Si tratta di chiudere gli occhi e lasciare che la fantasia spicchi il volo, sapendo di assistere all’arte come inganno visivo, ma in fondo direbbe Bruno Munari “Una bugia è fantasia, invenzione o immaginazione?”.