Enzo Cucchi / Nebojša Despotović – La pelle del serpente
La mostra, curata da Daniele Capra, nasce da un’indagine mirata a sviscerare le potenzialità rigenerative che la pittura possiede e rendere manifeste le istanze grazie alle quali tale disciplina continuamente evolve/muta la propria forma e la propria grammatica alla ricerca di nuovi equilibri che ancora sfuggono alla realtà che noi percepiamo.
Comunicato stampa
TRA Treviso Ricerca Arte è lieta di annunciare La pelle del serpente, doppia personale di Enzo Cucchi e Nebojša Despotović che raccoglie una quindicina di opere dei due artisti – dipinti su tela, su carta e sculture in bronzo – realizzate appositamente per lo spazio. La mostra, curata da Daniele Capra, nasce da un’indagine mirata a sviscerare le potenzialità rigenerative che la pittura possiede e rendere manifeste le istanze grazie alle quali tale disciplina continuamente evolve/muta la propria forma e la propria grammatica alla ricerca di nuovi equilibri che ancora sfuggono alla realtà che noi percepiamo. L’evento espositivo è inoltre occasione di mettere a confronto un autore maturo ed internazionalmente riconosciuto con uno dei giovani esponenti della pittura italiana. Correda la mostra un catalogo, che sarà presentato nel mese di aprile, con la documentazione delle opere nonché testi di Tiziano Scarpa e del curatore.
Cucchi e Despotović sono stati chiamati a relazionarsi con il piano nobile di Ca’ dei Ricchi, che è nel contempo intimo luogo famigliare e spazio urbano di relazione. Le finestre, la luce cangiante della città, la volumetria ritmata dal pavimento e dal soffitto lignei, la presenza irregolare di bifore e trifore gotiche, ne fanno un luogo di interesse e di particolare stimolo poiché per sua stessa natura muove gli artisti all’elaborazione di soluzioni visive non ordinarie e non precostituite. Ciò consente di declinare la pratica della pittura in modalità estensiva ed eversiva, all’inesausta ricerca delle polimorfiche evoluzioni che possono scaturire dalla superficie.
La pelle del serpente racconta come la pittura sia pratica bidimensionale che usa qualsiasi tipologia di spazio e supporto, anche quando esso è apparentemente in contraddizione alle sue definizioni e alle sue regole. L’opera può essere infatti la carta ricucita di un paravento, la tela che va guardata frontalmente oppure la tenda che lascia passare la luce dalle finestre. Ma, in maniera estensiva, anche un’opera tridimensionale può essere il risultato della metabolizzazione degli stimoli esplorativi da parte dell’artista, in un’irrefrenabile tendenza al trasformismo e al cambio di identità.
I lavori di Cucchi e Despotović dimostrano come la pittura sia disciplina che prosegue per continue germinazioni, portandosi in dote tutto quello che intenzionalmente ha lasciato alle proprie spalle. È esercizio quotidiano che ingloba e si appropria degli stimoli del mondo per sintetizzarne, in maniera alchemica e oscura, l’energia psichica. È pratica mentale platonica di impossessamento di una superficie da dipingere, che rimane in attesa dell’artista per essere fecondata. La pittura è come la pelle di un serpente che ad ogni stagione prende nuova forma, abbandonando il disegno della vecchia epidermide e le trame dalla dell’animale passato per lasciare spazio alla foggia del nuovo essere destinato a prenderne il posto.
Enzo Cucchi (Morro d’Alba, 1949) si è formato da autodidatta interessandosi all’arte e alla poesia. Dopo gli esordi concettuali si è dedicato principalmente alla pittura condividendo le vicende culturali della Transavanguardia. La sua indagine, di natura figurativa, coniuga sintetici elementi simbolici con un segno espressionista energico e vitale. La figura umana, gli animali, i teschi e gli occhi sono elementi ricorrenti nelle sue tele, in cui assumono la funzione di punti di gravitazione iconica che attraggono lo sguardo. I suoi lavori sono animati da un uso spiazzante del colore e da titoli che costituiscono un beffardo e tagliente contrappunto dialettico.
Cucchi ha esposto al Castello di Rivoli, al Museo Correr a Venezia, alla Biennale di Venezia, alla Biennale di San Paolo (BR), a Documenta a Kassel (D), al Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli, alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, alla Mole Vanvitelliana di Ancona, al Museum of Art di Tel Aviv (IL), al Kunsthaus di Zurigo, al Centre Pompidou a Parigi (F), al Musée d'Art Moderne di Saint-Étienne (F), al Guggenheim Museum di Bilbao (E) e New York (USA).
Nebojša Despotović (Belgrado, 1982) ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Nella città lagunare è stato in residenza presso la Fondazione Bevilacqua La Masa. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Euromobil ed il Collectors for Celeste Prize. La sua ricerca nasce dalla manipolazione della memoria e delle immagini attraverso lo studio della figura umana, del paesaggio e della natura morta. Frequentemente caratterizzati da una malinconica introspezione, i suoi lavori rivelano un mondo altro in cui la realtà trasfigura in visione metafisica ed inquietudine psichica.
Ha esposto alla Galleria Civica di Trento, a Dolomiti Contemporanee a Casso, alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, A Palazzo Forti a Verona, al Museo Civico di Bassano del Grappa, al Padiglione Accademie della 54 Biennale di Venezia, a Forte Marghera a Venezia, al Museo di Santa Caterina a Treviso, all’Art Pavilion Cvijeta Zuzorić di Belgrado (SRB) e a Villa Manin a Codroipo.