Enzo Obiso – Nostalgia del futuro
La fotografia di Enzo Obiso esacerba la tensione tra disegno e scrittura, tra indice e visione, con la stessa distaccata ironia con cui immagino Filottete tendesse l’arco di Eracle.
Comunicato stampa
La fotografia di Enzo Obiso esacerba la tensione tra disegno e scrittura, tra indice e visione, con la stessa distaccata ironia con cui immagino Filottete tendesse l’arco di Eracle. Nulla potrebbe essere più nudamente indicale delle sue composizioni materiche, delle sue superfici insieme complesse e lisce, dei pochi oggetti trovati e lasciati, trovati e conservati, trovati e perduti. A ben vedere, però, la nudità di corpi, fiori, oggetti e paesaggi è insieme indice ed epifania. L’obiettivo ci dice di guardare dove il nostro occhio non vede. L’obiettivo ci schernisce indicandoci una cosa e mostrandone un’altra, più preziosa, celata, che Enzo svela con la cautela di chi raccoglie un nido caduto. Tanto i frammenti urbani raccolti a Cuba quanto quelli carnali assemblati nel suo studio sono pure intuizioni del mistero dello spazio e del tempo, della trappola magica che strazia e cura il nostro essere-qui, delicatissima vergine di Norimberga.
La fotogeografia di Enzo Obiso è al tempo stesso dentro al tempo e fuori dal tempo, dentro allo spazio e fuori dallo spazio. La durata e la scomparsa – vale a dire il tempo – producono i luoghi. Il senso del luogo è esattamente dato dalla consapevolezza che quello spazio ha assunto la sua veste attraverso una lenta distillazione di anni. Al tempo stesso sappiamo che questa consapevolezza della durata dei luoghi non vale mai a rassicurarci circa la loro sopravvivenza, perché non possiamo più credere all’illusione che potremo tornare nel medesimo luogo e né le carte geografiche né i navigatori satellitari che ci negano lo smarrimento valgono a rassicurarci che siamo lì dove fummo un tempo – ieri, dieci anni o una generazione fa. Ecco allora che queste fotografie ci rassicurano non tanto circa l’esistenza oggettiva del mondo quanto sulla memoria dell’esperienza, e ci recano il dono che rende tollerabile il ritorno del sole, il piacere del deja vu, del sogno che non sappiamo bene se preceda o segua l’esperienza, o se non sia l’esperienza stessa. Per ciò pare naturale l’accostamento di queste due serie che costituiscono il cuore della mostra. Un filo di Parca, sottile e acuminato, lega le automobili agli edifici, il mare al Malecon. È la fame, il desiderio di ciò che si è visto una volta, nel passato o nel futuro – memoria o visione non fa differenza, le foto di Enzo Obiso sono insieme nostalgia del futuro e attesa del passato.
Paolo Giaccaria
geografo