Epoca Fiorucci
A Ca’ Pesaro, un altro avvincente dialogo tra moda e cultura, questa volta grazie alla pirotecnica creatività di Elio Fiorucci, il celebre creativo milanese scomparso nel 2015, da molti definito il “paladino della moda democratica”.
Comunicato stampa
Fiorucci, figlio di un commerciante di calzature, fu una personalità unica in questo
campo, capace di rivoluzionare la moda e il mercato – quando alla fine degli anni
sessanta portò a Milano lo spirito libero e trasgressivo della Swinging London – e
di formare il gusto di almeno due generazioni di giovani. Le sue idee innovative, le
proposte sempre all’avanguardia rispetto agli input del pronto-moda, l’apertura
ad altri mondi e culture, da cui traeva ispirazione, lo rendevano un fuoriclasse.
Poi c’era la passione per l’arte e l’architettura contemporanea, che portò Fiorucci
a circondarsi di architetti come Sottsass, Mendini, Branzi, De Lucchi – grandi
innovatori al pari suo – o di artisti del calibro di Keith Haring, Jean-Michel
Basquiat, Andy Warhol, ai quali non chiedeva “opere” ma contributi creativi per
realizzare luoghi, narrazioni, eventi dove protagonisti erano la persona e i suoi
desideri. Fiorucci è stato così il primo “stilista” a livello internazionale ad affidare ai
più grandi architetti, grafici e designer la rappresentazione e la comunicazione dei
suoi capi e accessori d’abbigliamento, intesi come estensione delle persone e della
loro identità.
Perché, per Elio, il prodotto, l’oggetto creato, rappresentava lo strumento per
parlare d’altro: “Fiorucci – sostiene Aldo Colonetti – è stato una sorta di Marcel
Duchamp non solo della moda ma, si potrebbe dire, nel modo di disegnare le
cose, gli spazi, le relazioni tra l’oggetto e la persona”.
Come lui stesso scriveva, “per cercare idee nuove e progettare, è necessario
guardare gli altri, andare al di là delle apparenze, leggere tra le righe dei linguaggi,
non solo della moda, ma soprattutto della vita quotidiana. Moda per me significa i
diversi modi di vivere il proprio corpo, le proprie abitudini, così che ciascuno sia
in grado di essere se stesso”.
Narrare l’avventura intellettuale di Elio Fiorucci significa dunque ricostruire
un’epoca, una rivoluzione del costume - quella del rock, delle ragazze yè-yè,
dei figli dei fiori, dell’opposizone al gusto borghese - di cui egli è stato al tempo
stesso straordinario interprete e acuto artefice, ma significa anche mettere in luce un
arcipelago di legami, relazioni, di esperienze uniche.