Essentiae Existentiae
Curata da Simone Ceschin, la mostra approfondisce la pratica artistica degli autori che, legati dalla tecnica pittorica del dipinto ad olio, sviluppano il tema dell’identità umana.
Comunicato stampa
La mostra essentiae existentiae, ospitata da Villa Albrizzi Marini, raccoglie un nucleo di (?) opere di sei artisti: Nicola Bindoni, Giacomo Facca, Arianna Gobbi, Giulia Milani, Jacopo Zambello ed Elisa Ziero.
Curata da Simone Ceschin, la mostra approfondisce la pratica artistica degli autori che, legati dalla tecnica pittorica del dipinto ad olio, sviluppano il tema dell’identità umana.
L’accurata selezione delle opere presentate in questa mostra è volta a catturare l’anima umana in tutte le sue forme. Alcune opere mettono in risalto il corpo umano, rappresentando il suo fascino e la sua fragilità. Altre opere ritraggono volti, spesso velati, mascherati o parzialmente visibili allo spettatore. Immagini fortemente legate alla sfera privata degli artisti, offerte al pubblico come riflesso attivo della dimensione di intimità familiare.
I lavori esposti fungono così da specchio e da finestra verso mondi interiori, offrendo una prospettiva unica sull’identità umana e la sua connessione con il mondo che ci circonda.
Il titolo della mostra essentiae existentiae, le essenze dell’esistenza, suggerisce un’indagine sull’intimità e la complessità dell’animo umano rappresentato, attraverso le opere che abbracciano la diversità delle esperienze umane, esplorando le sfumature dell’identità e dei molteplici strati che la compongono.
L’artista Nicola Bindoni focalizza la sua ricerca artistica sulla creazione di una serie di opere che raccontano esperienze fisiche e psicologiche dei soggetti da lui raffigurati: le figure su tela si manifestano in stati e luoghi indefiniti, soggetti muti e solitari che non si rivolgono direttamente allo spettatore, ma forniscono a quest’ultimo l’opportunità di riconoscersi come parte attiva e partecipe della narrazione. Le fotografie in sala, collocate in prossimità delle tele dell’artista, indagano lo spazio domestico, ambiente in cui sviluppiamo il più profondo senso di identità, connessione e partecipazione.
Le relazioni e i soggetti sono oggetto d’indagine da parte dell’autore che, indagando il comportamento umano e le dinamiche che sottintendono i rapporti tra individui dello stesso nucleo di appartenenza, ne esplora l’intimità, la violenza e il controllo senza distorcerne la realtà.
La base della ricerca di Jacopo Zambello è proprio la percezione della realtà e la capacità, tramite l’ausilio della pittura e della fotografia come mezzi espressivi, di narrare le diverse versioni di un’immagine. L’immagine assume un ruolo misterioso, rompendo gli schemi visivi tradizionali attraverso cui il soggetto interpreta il mondo attorno a sé.
L’artista con la sua installazione sollecita lo spettatore ad investigare gli elementi costitutivi da cui prende forma, ma di cui spesso abbiamo conoscenza di una singola declinazione.
Immagini che confluiscono nelle memorie del pubblico, che si depositano, emergono e perdurano senza cessare.
La ricerca artistica di Giacomo Facca parte proprio da quei sentieri personali tracciati dall’immagine del singolo alla memoria collettiva. L’artista apre così le porte di uno spazio dove si intrecciano immagini del vissuto privato e raffigurazioni simboliche. Attraverso i lavori dell’artista lo spettatore si immerge in tre dimensioni soggettive della memoria: la prima dimensione si manifesta nel momento stesso della visione, dando origine ad altre due, una riferita al passato e l’altra al futuro.
Indagando la Venere anatomica, le opere di Facca condividono la volontà di andare oltre ciò che è visibile, oscillando tra presenza e assenza. Le lastre collocate in prossimità delle tele provocano lo spettatore a liberarsi della propria limitatezza riuscendo a cogliere qualcosa che è al tempo stesso individuale e universale.
In essentiae existentiae si ha una ricerca dell’identità umana che si rivela inoltre tramite l’indagine delle stratificazioni interiori che la compongono, attraverso un dialogo ben orchestrato di luci e ombre di cui, ad esempio, i nudi corpi dipinti dall’artista Elisa Ziero si vestono.
Una visione personale del corpo, monumentale e dai richiami classici, che si esprime a modo suo con la propria identità interagendo con lo spazio circostante. La monumentalità del soggetto raffigurato assorbe e priva di dettagli lo sfondo, che, quasi soffocato, funge da teatro perfetto per la figura irraggiungibile che esprime sé stessa recitando il proprio linguaggio di posa.
La forma si riassume internamente, trascendendo la sua mera rappresentazione di corpo vivente, per divenire un essere e una realtà intrinseca. I soggetti marmorei, sommersi dalle ombre e inondati di una luce eterea, risvegliano nello spettatore le proprie radici facendo emergere quelle parti che si credevano perse, acquisendo consapevolezze di un’identità passata, ma presente.
Lo stesso teatro che accoglie le figure mascherate dell’artista Arianna Gobbi, soggetti senza sguardo, privi di occhi e, quando dipinti, sempre vuoti o chiusi. Maschere che celano l’identità delle figure che trovano, in parte, una propria dimensione solo nel caso dell’autoritratto.
Nello spettatore emergono interrogativi profondi sulla natura dell’essere e della sua relazione con il mondo circostante, un mondo abbozzato da spazi molto semplici, neutrali e anonimi nei quali emergono le protagoniste di un’identità umana enigmatica, le maschere.
Finzioni che, come nel caso della serie delle teste di Alcatraz esposte in mostra, si sostituiscono alla figura dell'uomo assumendo un’identità propria.
Attraverso tali sostituzioni, ci separiamo dalla nostra essenza perdendo la consapevolezza del nostro aspetto, annullando più di un senso, ma al tempo stesso esaltando la potenza del pensiero.
Un pensiero che viene introdotto dai dipinti dell’artista Giulia Milani che, attraverso la sua ricerca artistica, stimola lo spettatore a percepire l’espressione più psicologica del suo lavoro.
La luce e l’identità sono gli elementi fondamentali delle opere. I contorni sfumati, alternati a ricordi di memorie frammentate, alludono a una realtà mutevole e fluida dell’io, sottolineando la natura transitoria e complessa dell’identità stessa. La luce, in questa prospettiva, diventa un medium metaforico che svela le sfaccettature nascoste della personalità e delle passioni umane.
Attraverso l’uso di pennellate morbide e ricche di sfumature, i soggetti evocano una sensualità velata e suggestiva. L’erotismo non è rappresentato in modo esplicito, ma emerge come un’energia sottile che permea l’intera composizione, invitando lo spettatore ad esplorare le sfumature della propria intimità.