Esther Mathis – Isolated Systems
L’artista, che utilizza come punti di partenza per i propri lavori alcuni assiomi scientifici fondamentali – quali ad esempio i concetti di riflessione e rifrazione della luce, la conduttività elettrica o l’entropia -, in realtà scava molto più a fondo per indagare le relazioni tra uomo e natura, tra caos e regola, creando dei veri e propri mondi in miniatura.
Comunicato stampa
Studio la Città inaugura sabato 21 maggio la prima personale dell'artista svizzera Esther Mathis, presentando due installazioni site specific realizzate per due differenti sale della galleria: Isolated Systems Vol. 1 e 2.
L'artista, che utilizza come punti di partenza per i propri lavori alcuni assiomi scientifici fondamentali - quali ad esempio i concetti di riflessione e rifrazione della luce, la conduttività elettrica o l'entropia -, in realtà scava molto più a fondo per indagare le relazioni tra uomo e natura, tra caos e regola, creando dei veri e propri mondi in miniatura.
La prima installazione in cui il visitatore si troverà immerso, nella penombra della drawing room, è l'opera Isolated Systems Vol. 1: un vero e proprio ecosistema in miniatura dove la Mathis ridà vita ad un semplice esperimento infantile unendo tra loro circa cinquecento patate in circuiti chiusi di sette patate ciascuno, collegati ad una fonte di luce LED. Nel corso di molte settimane, le patate perderanno la loro conduttività, diventeranno man mano rifiuti e la luce nella sala diverrà sempre più fioca in una metafora tutta umano della nostra parabola mortale.
Così descrive l’opera il curatore statunitense Erik Morse:
L’artista ha ridato vita al gioco per bambini della “lampada di patate”, un basilare sistema vegetale che spesso viene utilizzato per illustrare agli studenti le semplici meraviglie dell’energia elettrica. Tuttavia, nell’opera della Mathis, la quantità di patate raggiunge (circa cinquecento), ciascuna con il suo circuito di zinco individuale, saldato e assemblato manualmente ad una lampadina LED – un atto banale, ma nello stesso tempo magico, che consente di produrre un singolo fascio di luce.
Trasportando tutta questa strumentazione dal suo atelier di Zurigo a Verona, Esther Mathis ha trasformato la drawing room di Studio la Città (oscurata per l’occasione) in un labirinto fatto di fili di rame e cristalli liquidi, in penombra. Il risultato estetico è la creazione di un mondo nel mondo.
A sostenere il calmo terreno, c’è la perpetua dinamica dell’entropia, la volontà del cosmo, il fare e disfare, lavorare e smantellare in cerca di un equilibrio, annullando nel frattempo se stesso. L’esperienza della mancanza è parte integrante dell’installazione di Esther Mathis...mancanza di spazio e luce, ritratta attraverso i suoi contorni smorzati. Per illuminare lo spazio secondo gli standard visivi attuali, la sala espositiva avrebbe probabilmente richiesto molte più patate di quelle che può contenere, una parabola inquietante degli eccessi dell’ecologia moderna. Come OuLiPo, scrittore e fenomenologo urbano, Georges Perec annota nella sua raccolta di saggi, Species of Space: "Lo spazio è un dubbio: devo continuamente a marcarlo, segnarlo. Non è mai mio, mai dato a me, devo conquistarlo".
Il secondo lavoro, Isolated Systems Vol. 2, occuperà invece il pavimento della video room dove l'artista installerà per l'occasione le sue torri di vetro specchianti di dimensioni e altezze diverse.
Proprio il vetro (quello normalissimo per finestre, non la versione museale antiriflesso), è un materiale molto amato da Esther Mathis per le sue proprietà contraddittorie: freddo, tagliente, affilato ma anche fragile ed elegante. In quest'opera l'artista gioca con gli effetti ottici che si creano tra le stratificazioni delle varie lamine di vetro poste una sull'altra e unite da un punto di colla trasparente. La superficie esterna delle torri risulta così uno specchio mentre laddove il vetro si mescola con un altro materiale, la colla in questo caso, mantiene la sua proprietà trasparente in un gioco di relazioni interno – esterno proprio di tutte le cose. L’artista stessa racconta con queste parole il processo creativo che l’ha portata alla realizzazione di queste “sculture”:
Mettendo diversi pezzi di questo di vetro uno sopra l'altro, la superficie diventa progressivamente uno specchio perché la sua riflessione si accumula nel momento in cui la luce si infrange contro ogni singolo strato. Gli strati sono uniti tra loro con una goccia di colla e, proprio in questi punti di connessione, la luce penetra con un attrito molto minore dando così l’impressione di una maggiore trasparenza, eliminando l’effetto a specchio. La forma delle mie sculture assomiglia a quella delle torri – alcune più piccole, altre più grandi - che incanalano la luce attraverso i loro bordi esterni. Ma nel nucleo della torre, irraggiungibile e protetto da pareti di vetro taglienti, la colla sembra quasi un volume nascosto al suo interno. E’ morbido, la sua consistenza pare liquida e, a seconda del punto da cui lo si guarda, può variare di dimensione o addirittura scomparire.
Esther Mathis (1985), vive e lavora a Zurigo. Ha frequentato lo IED di Milano dove ha vinto una borsa di studio per la SVA di New York e ha terminato nel 2015 un Master in Arte alla ZHdK di Zurigo. I suoi lavori sono stati esposti in numerose mostre, tra cui "Präparat Bergsturz" al Chur Art Museum, assieme a Roman Signer, Robert Smithson, Naoya Hatakeyama, e “DOings & kNOTs” al Tallinn Arthall, assieme a DO IT (Hans Ulrich Obrist & ICI), George Steinmann, Anna Skodenko, Alex Cecchetti e Olof Olsson. Ha partecipato a tutte le mostre annuali del Kunstmuseum Winterthur dal 2011, e ha avuto il riconoscimento della Città di Winterthur nel 2014.
TESTI:
Erik Morse
Isolated Systems Vol. 1
L’opera di Esther Mathis Isolated Systems Vol.1, esamina i valori estetici e culturali dei fenomeni atmosferici, attraverso la creazione di ecosistemi in miniatura. In termini più semplici, la mostra realizza il principio basilare della vita, sia sensoriale che meccanico, per il quale, quando si legano o uniscono in maniera positiva i giusti conduttori, il risultato che ne scaturisce è paragonabile alla luce o ad un qualsiasi altro tipo di flusso energetico.
L’artista ha ridato vita al gioco per bambini della “lampada di patate”, un basilare sistema vegetale che spesso viene utilizzato per illustrare agli studenti le semplici meraviglie dell’energia elettrica. Tuttavia, nell’opera della Mathis, la quantità di patate raggiunge circa il centinaio, ciascuna con il suo circuito di zinco individuale, saldato e assemblato manualmente ad una lampadina LED – un atto banale, ma nello stesso tempo magico, che consente di produrre un singolo fascio di luce.
Trasportando tutta questa strumentazione dal suo atelier di Zurigo a Verona, Esther Mathis ha trasformato la drawing room di Studio la Città (oscurata per l’occasione) in un labirinto fatto di fili di rame e cristalli liquidi, in penombra. Il risultato estetico è la creazione di un mondo nel mondo.
“…there is room in this world for idyllic gardens,
for lyrical gardens, even for didactic gardens,
where, at every step, your mind seems to be improved,
even if your heart be not touched.”
(Alfred Austin, The Gardens that I Love, 1894)
A sostenere il calmo terreno, c’è la perpetua dinamica dell’entropia, la volontà del cosmo, il fare e disfare, lavorare e smantellare in cerca di un equilibrio, annullando nel frattempo sè stesso. L’esperienza della mancanza è parte integrante dell’installazione di Esther Mathis...mancanza di spazio e luce, ritratta attraverso i suoi contorni smorzati. Per illuminare lo spazio secondo gli standard visivi attuali, la sala espositiva avrebbe probabilmente richiesto molte più patate di quelle che può contenere, una parabola inquietante degli eccessi dell’ecologia moderna. Come OuLiPo, scrittore e fenomenologo urbano, Georges Perec annota nella sua raccolta di saggi, Species of Space: "Lo spazio è un dubbio: devo continuamente a marcarlo, segnarlo. Non è mai mio, mai dato a me, devo conquistarlo".
Nel corso di molte settimane, le patate perderanno la loro conduttività, provocando una diminuzione della sorgente luminosa, nonostante tale riduzione sarà così misurata da risultare quasi invisibile all'occhio umano. Le emissioni di luce diventeranno puro calore. Le patate diventeranno rifiuti. Diventeranno - sempre in una prospettiva futura - la miniatura in scala di un sistema isolato parallelo alla nostra diminuzione mortale.
And here on earth come emulating flies,
That though they never equal stars in size,
(And they were never really stars at heart)
Achieve at times a very star-like start.
Only, of course, they can’t sustain the part.
(Robert Frost, Fireflies in the Garden, 1928)
Come ogni ecosistema fragile, Isolated Systems risiede in stati sia processuali che materiali, le cui intersezioni esistono come la matrice alquanto criptica che chiamiamo atmosfera. Il potere ultimo della mostra sta nella sua capacità di rappresentare un mondo nel mondo e le atmosfere microcosmiche fluttuanti al suo interno. Così facendo, la Mathis ha creato un esperimento ludico, un giardino esclusivo e un'installazione bijou da gustare per la semplicità del suo concept e la complessità della sua visione.
Erik Morse, ottobre 2015
Angela Madesani
Isolated Systems Vol. 2
Sin dai suoi primi lavori fotografici, Esther Mathis ha mostrato un particolare interesse nei confronti degli sviluppi dei fenomeni. L’artista è prima di tutto un’attenta osservatrice di quanto le sta intorno, di ciò che le passa quotidianamente sotto gli occhi. È attratta dalla semplicità del circostante, anche di quanto non è, apparentemente, degno di interesse.
A Studio la Città sono due installazioni, Isolated Systems Vol.1 e Vol.2. Dei sistemi in cui determinate azioni danno vita a delle reazioni.
L’artista veste qui i panni di chi studia gli equilibri, le compensazioni che si vengono a creare in natura e non solo. Le interessa comprendere, studiare, trovare delle spiegazioni possibili, senza nessuna pretesa di verità, naturalmente. Per poi utilizzare, quando è possibile, le diverse proprietà degli elementi.
Il Vol.2 è costituito da una serie di torri di lastre di vetro stratificate, che possono raggiungere un’altezza tra i 5 centimetri e il metro. Il vetro è già presente in altre sue opere. Qui si tratta di un vetro povero, quello che si utilizza per le finestre, che si rompe con una sassata e che facilmente si può sostituire.
Mathis è affascinata da questo particolare materiale, ottenuto dalla solidificazione di un liquido, non accompagnata dalla cristallizzazione. Per molte sue caratteristiche può essere considerato un solido, per la durezza, la resistenza, la memoria di conservazione della forma ricevuta, ma anche un liquido del quale possiede la struttura disordinata, l’isotropia. È attratta dalle sue caratteristiche ossimoriche: freddo e tagliente e al tempo stesso, fragile, sottile, elegante. Lei stessa ha tagliato i pezzi di vetro che in tal senso non hanno la forma perfetta data da una sezione meccanica. L’imperfezione ha una sua bellezza, del resto.
Dopo avere tagliato i vetri, in forma pressappoco quadrata, li impila, dando vita a diverse strutture. Tra una lastra e l’altra mette un punto di colla. La colla trasparente crea un effetto di assenza, che, moltiplicata, appare come una sorta di profondo foro nelle torri, come se fosse un volume incluso. Si tratta di un gioco visivo, percettivo, in cui viene a crearsi un dialogo tra esteriorità e sostanza.
E dunque il ruolo giocato dalla luce: portante. Come portante è nella fotografia, linguaggio precipuo per l’artista. In questo modo è possibile vedere l’interno della scultura, riuscire a osservare, una volta tanto l’anima delle cose.
La sua è una ricerca sulla proprietà dei materiali che dura nel tempo, per riuscire a coglierne i dettagli, le sfumature. Ognuna di queste sculture, solo apparentemente uguali, ha una vita propria, delle caratteristiche che la rendono unica: peculiarità del concetto stesso di esistenza.
È qui una tensione al limite della materia, in cui vengono indagate le proprietà dei fenomeni, nel senso fisico e filosofico del termine. Una caratteristica questa, della sua poetica, già presente anche nei lavori del passato, dalle prime immagini fotografiche alle installazioni, alle opere video.
Il suo è un atteggiamento analitico sulle proprietà dei diversi materiali, che presenta, tuttavia, anche una componente emozionale. È affascinata dalla processualità degli eventi. Il suo lavoro di osservatrice ha una valenza di matrice tassonomica, propria di certa cultura tedesca dalla quale Mathis, svizzera della zona di Zurigo, proviene. Camminando tra una torre e l’altra se ne colgono le sfumature, non c’è un punto uguale all’altro nonostante le semplicistiche considerazioni che potrebbe offrirci uno sguardo veloce e disattento.
Ogni giorno abbiamo la necessità di fermarci a guardare, di fare una pausa, solo così riusciremo a cogliere la straordinarietà della consuetudine.
Angela Madesani, aprile 2016