Eugenio Tibaldi – Più là che Abruzzi
una mostra che prende il nome da una frase celebre tratta dal Decamerone di Boccaccio (passata nella storia a indicare qualcosa di estremamente lontano – soprattutto da raggiungere con difficoltà – come doveva essere la nostra regione a metà del 1300).
Comunicato stampa
Eugenio Tibaldi è il protagonista di Più là che Abruzzi, una mostra che prende il nome da una frase celebre tratta dal Decamerone di Boccaccio (passata nella storia a indicare qualcosa di estremamente lontano – soprattutto da raggiungere con difficoltà – come doveva essere la nostra regione a metà del 1300).
L’esposizione, curata da Simone Ciglia e organizzata dall’associazione Humanitas in collaborazione con Hotel Villa Maria e Comune di Francavilla al Mare, si terrà al Museo Michetti dal 27 gennaio al 10 marzo, inaugurazione sabato 26 gennaio alle 18.
Più là che Abruzzi è un progetto di residenza d’artista nell’hotel Villa Maria, che vuole collegare l’arte al concetto di ospitalità (Xenia). Il progetto Xenia nasce dalla volontà di avvicinare il pubblico alle diverse forme artistiche, creando un contatto e una collaborazione tra soggetto privato, società civile, scuola e mondo dell’arte.
Più là che Abruzzi di Eugenio Tibaldi (Alba, 1977) si propone d’indagare il concetto di margine secondo le molteplici prospettive di condizione sociale, percezione personale e stato da cui emanciparsi. Proseguendo la sua linea di ricerca, l’artista sviluppa un’analisi incentrata sull’ “essere periferico” all’interno di una società, al di là della reale ubicazione geografica. Nelle sue ricerche sul campo, l’autore accompagna la visione geografica a una di tipo sociale, basata sulla dialettica centro/i-periferia/e e la conseguente capacità di un luogo di offrire possibilità sociali ai suoi abitanti.
Osservato in quest’ottica, l’Abruzzo può essere considerato una periferia nazionale? Appartiene alla fascia cosiddetta debole? In che punto si pone rispetto a Milano? o Roma? O Berlino? I flussi di movimento delle nuove generazioni sembrano rispondere in modo affermativo: se i dati reali indicano l’Abruzzo come una regione mediana rispetto al quadro nazionale (in base a reddito personale ed emigrazione interna), la percezione che si ha vivendo in regione è di lontananza e isolamento, una sorta di area non disagiata ma in cui è comunque complesso realizzare le proprie aspirazioni, lontana dai centri nevralgici del paese e schiava di una condizione di dignitoso margine.
«Durante le mie visite in Abruzzo», racconta l’artista, «mi è spesso capitato di sentire frasi del tipo “era una vera promessa del suo settore però non si è mai mosso da qui”, come se il luogo determinasse un limite, un margine che non permette lo sviluppo della persona. Ho incontrato associazioni di abruzzesi a Bruxelles, Caracas, New York, a determinare un forte legame con un territorio che ha la capacità di incorporare sia il concetto di limite che quello di nostalgia».
Opere
La nuova produzione prevede la realizzazione di due insiemi di opere.
Il primo nascerà dalla percezione e la riflessione dell’artista, attraverso le visite sul posto e la raccolta dei dati necessari. In questa serie convergeranno due prospettive: quella delle persone coinvolte e quella personale dell’autore sul momento storico e le direzioni politico sociali intraprese dal nostro Paese.
Il secondo gruppo di opere, realizzato in loco, sarà invece generato da una serie di materiali e influenze raccolte durante la ricerca, grazie anche al contributo di artigiani e lavoratori locali. Questi lavori saranno pensati prima concettualmente e poi formalmente anche in relazione allo spazio del museo, trattandolo in modo attivo come parte dell’opera: elemento accogliente e respingente nello stesso tempo, il contenitore della mostra viene concepito come rappresentazione della regione stessa.
La dinamica artistica si compie in un confronto con il limite circostanziale del luogo, senza per questo perdere di forza, anzi riadattandosi e valutando nuove possibili forme
di confronto. Pur utilizzando oggetti ottenuti dalle persone o acquistati durante la ricerca, il risultato formale non si caratterizza come ready-made: la responsabilità finale dell’artista nel processo creativo viene ritenuta fondamentale. La sua pratica, afferma Tibaldi, è «simile a quella di un pittore che dipinge o costruisce la sua immagine con una tavolozza di colori determinati dal momento storico e dal luogo ma non declina la responsabilità estetica del risultato finale».
Il risultato finale è un lavoro sul limite che si colloca al di fuori dell’arte partecipata.