Eva L’Hoest / Mario Sironi Correnti III – Techne
RITA URSO artopiagallery presenta Correnti III – Techne, un dialogo ideale tra la giovane artista belga Eva L’Hoest (Liège, 1991) e il maestro dell’arte italiana Mario Sironi (Sassari 1885 – Milano 1961).
Comunicato stampa
RITA URSO artopiagallery presenta Correnti III – Techne, un dialogo ideale tra la giovane artista belga Eva L’Hoest (Liège, 1991) e il maestro dell’arte italiana Mario Sironi (Sassari 1885 – Milano 1961). Due artisti che, quasi a un secolo di distanza l’uno dall’altra, si sono interessati a un medesimo tema: il rapporto tra industria e paesaggio, la conoscenza come tecnica e il suo possibile esito come destino della civiltà.
Correnti III – Techne nasce come terzo momento espositivo all’interno del progetto Correnti, che da settembre 2022 ha visto coinvolte prima le artiste Ella Littwitz ed Elena Mazzi nella mostra Correnti I – Animalia (settembre-novembre 2022) e poi Marzena Nowak nella sua personale Correnti II – Blue (dicembre 2022-febbraio 2023). Questo ciclo di mostre è stato appositamente concepito per il programma espositivo 2022-2023 della galleria, in un momento di cambiamento e trasformazione, che si concretizzerà quest’autunno nel passaggio ad una nuova sede.
Se in generale l’indagine sulle correnti si propone come una lettura visiva della diversità dei movimenti fisici o metaforici ai quali rimanda il termine stesso, la mostra Correnti
III – Techne si propone come una doppia riflessione attorno alla capacità umana di praticare una qualsiasi attività, non solo manuale ma anche intellettuale.
Il termine techne, che definisce il titolo di questa terza declinazione, fa infatti riferimento alla capacità di applicare conoscenza, sia essa acquisita empiricamente e trasmessa dalla tradizione come nel lavoro manuale e artistico oppure grazie al sapere scientifico specializzato come nel caso della produzione industriale. Il dialogo che si attiva nel confronto tra l’opera video e scultorea di Eva L’Hoest (The Inmost Cell, 2020) e la pittura di Mario Sironi (Centrale Elettrica, 1926) apre un orizzonte di senso che chiama in
causa entrambi i risvolti: da un lato la tecnica come capacità umana di creare (techne significa appunto arte in greco antico), che si manifesta nelle correnti artistiche in periodi differenti della Storia, connotate culturalmente e caratterizzate fortemente dall’uso dei propri mezzi espressivi; dall’altro la tecnica come esercizio di potere dell’uomo sul paesaggio, plasmato dalla società industriale, come nel caso ad esempio della costruzione di centrali produttrici di energia, di correnti elettriche.
The Inmost Cell (2020) di Eva L’Hoest, opera video commissionata dalla Biennale di Riga nel 2020 e presentata oggi per la prima volta in Italia, è come una lunga reminiscenza nella quale frammenti di immagini e ricordi si combinano in un paesaggio parzialmente reale, sospeso a metà tra mitologia lettone e scenari post-
apocalittici. Grazie all’utilizzo di vari processi digitali, l’artista crea architetture fluide e tridimensionali che attraversa con movimenti lenti e contemplativi, fondendo le forme in un unico miraggio marittimo che riconduce alle rovine di tre isole sommerse in seguito alla creazione della diga funzionale alla costruzione della Centrale Idroelettrica di Riga sul fiume Daugava. Accompagnano il video alcune sculture in cristallo, inciso in 3D, nelle quali emergono le stesse forme di alcune immagini del girato, qui illuminate e visibili nel vetro.
Centrale Elettrica (1926-1927) di Mario Sironi, esposta alla 31° Esposizione Internazionale d’Arte alla Biennale di Venezia del 1962, ritrae un paesaggio montano solcato e interrotto dalla linea netta di una centrale elettrica che pur confondendosi con la maestosità dello sfondo ne resta distaccata e isolata, a valle. Negli anni venti il tema dei paesaggi urbani, già affrontato in chiave futurista, è ricorrente nella pratica di Sironi e diventa quasi un emblema dell’uomo contemporaneo, avvolto nella desolazione
di una nuova civiltà occupata da officine e macchine. Anche la razionalizzazione prospettica dello spazio è un modo per affermare il potere della ragione, “ma questo potere non è ancora abbastanza potente per liberare l’uomo dal caos; sufficientemente intelligente per capire la complessità del mondo, egli è pietrificato dalla sua stessa intelligenza”, scrive lo storico dell’arte francese Jean Clair.
La mostra è stata supportata da Wallonie-Bruxelles International.be.
EVA L’HOEST
Nata nel 1991 a Liège, in Belgio, vive e lavora a Bruxelles. Il suo lavoro intende indagare in che modo tutti i tipi di immagini mentali, in particolare i ricordi, la reminiscenza, possano ri-apparire in forma tecnologica. È molto interessata a esplorare la memoria e la sua realtà “infinitesimale”. Pezzo dopo pezzo, l’artista si appropria della tecnologia digitale per interpretare, distorcere, saturare o alterare le immagini sfocate della memoria. Ha recentemente esposto alla Biennale di Sydney, Australia; al WIELS, Bruxelles, Belgio; al Frac Grand Large, Dunkirk, Francia; alla Biennale d’Arte Contemporanea di Riga, Lettonia; al Museo di Malmö, Svezia; alla Biennale di Lione, curata dal Palais de Tokyo, in Francia; alla Triennale di Okayama Art Summit 2019, curata da Pierre Huyghe, Giappone; nel 2018, i suoi video sono stati proiettati a
Les Rencontres Internationales Paris-Berlin, Visite Film Festival, Vidéographie 21 e sotto forma di live performance all’International Film Festival Rotterdam, in Olanda.
Proiezioni dei suoi film si sono tenute anche al Louvre Auditorium e al Carreaux du Temple a Parigi, alla Haus der Kulturen der Welt a Berlino, al Muhka ed Het Bos ad Anversa.
MARIO SIRONI
Nato nel 1885 a Sassari, si trasferisce a Milano tra il 1915 e il 1916, qui si avvicina al gruppo futurista e nel 1916 firma il manifesto futurista L’Orgoglio Italiano. La sua pittura comincia subito a prediligere colori dai toni scuri e foschi
mantenendo, nonostante la frammentazione dell’immagine, una grande solidità costruttiva. Nel 1919 partecipa alla Grande Esposizione Nazionale Futurista a Milano, dove espone ben quindici opere. In questo periodo nascono i suoi classici paesaggi urbani, immagini deserte e inquietanti della città moderna, dove raramente è presente la figura umana. Fra il 1919 e il 1921 dipinge la famosa serie di “Paesaggi urbani”. Si avvicina intanto all’ambiente fascista. Nel dicembre 1922 fonda, con Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig e Oppi, il gruppo Novecento Italiano, animato dalla Sarfatti e sostenitore di una “moderna classicità”. Nel 1924 partecipa alla Biennale di Venezia
col gruppo novecentista. Dal 1925 entra a far parte del Comitato Direttivo del gruppo con cui partecipa alle mostre nazionali e internazionali. Nel 1931 è invitato con una sala personale alla I Quadriennale di Roma e viene incaricato
di eseguire la vetrata La Carta del Lavoro, per il Ministero delle Corporazioni a Roma, che termina nel 1932. Da questo momento, infatti, si dedicherà molto alla pittura murale, teorizzando un ritorno alla grande decorazione murale in due testi programmatici: Pittura murale (1932) e il Manifesto della Pittura Murale (1933), firmato anche da Campigli, Carrà e Funi. In questo periodo realizza una lunga serie di lavori monumentali. Nel 1931 e nel 1934 è protagonista
di due importanti personali alla Galleria Milano e nel 1942 alla Galleria del Milione. Negli anni successivi alla fine della guerra e del regime fascista rifiuta polemicamente di
partecipare alle Biennali di Venezia, ma continua a esporre in Italia (Triennale di Milano, 1951; Quadriennale di Roma, 1955) e all’estero (mostra itinerante negli Stati Uniti, con Marino Marini, nel 1953). Muore nel 1961 a Milano.