Fabio Donato 1969-2022
Il racconto di una vita vissuta al centro delle trasformazioni del proprio tempo, suddivisa in due momenti: gli ultimi lavori – dal titolo “Desiderio di luce” con testo critico di Alessandro Manna – e una retrospettiva di oltre centocinquanta fotografie in piccolo formato, selezionate in un archivio di oltre quattrocentomila immagini.
Comunicato stampa
Il racconto di una vita vissuta al centro delle trasformazioni del proprio tempo, suddivisa in due momenti: gli ultimi lavori – dal titolo “Desiderio di luce” con testo critico di Alessandro Manna – e una retrospettiva di oltre centocinquanta fotografie in piccolo formato, selezionate in un archivio di oltre quattrocentomila immagini. È «Fabio Donato 1969-2022» la mostra antologica a cura di Paola Pozzi, alla galleria FrameArsArtes di Napoli, in Corso Vittorio Emanuele 525, in collaborazione con l’associazione Arti in Sinergia, testo critico di Olga Scotto di Vettimo. Vernissage mercoledì 6 dicembre, ore 19:00. L’esposizione, che durerà fino a mercoledì 20 dicembre, sarà l’occasione per presentare, mercoledì 13 dicembre alle 18:00, la collana editoriale “Frammenti di un archivio” della Paparo Editori. Contatti: [email protected], 081.3088820, 333.4454002.
«È la prima mostra dopo diversi anni. Un’occasione per mostrare al pubblico la complessità di oltre cinquant’anni di ricerca» dice l’autore. Napoletano, classe 1947, Fabio Donato inizia giovanissimo la propria carriera nel 1970 quando, ancora studente di Architettura, parte per l’India. Un viaggio che segnerà l’inizio della sua attività come fotografo attento ai cambiamenti culturali in atto nella società secondo due direttrici: la ricerca artistica intesa come espressione di una poetica visuale che indaga i temi di tempo, movimento e soglia ed il reportage dei movimenti contemporanei nelle arti italiane e internazionali. Da questa ricerca, sviluppata tra il 1970 e il 2006, nascono progetti come «La Città» che il gallerista Lanfranco Colombo espone a Milano insieme ai lavori di Luigi Ghirri, Franco Fontana, Luigi Albertini. Il tema delle città ricorrerà spesso nella sua opera. Luoghi reali e metafisici insieme, palcoscenici di relazioni, confronti, aspirazioni, contrasti di moltitudini e dettagli da andare a scovare. Da quelli umani di polpacci e piedi scalzi nelle periferie indiane degli anni ’70, segno della precarietà materiale e simbolo della ricchezza umana – esposti a Milano nel 1971, Targa d’Argento alla Biennale di Reportage di Fermo, l’anno dopo – a quelli urbani, di finestre, televisori, monitor. Confini tra il privato e l’esterno; soglie tra spazi, tempi e dimensioni mentali dell’altro da sé da osservare.
«Tutta la mia attività vuole essere di stimolo al pensiero, suscitare dubbi e incertezze operando su concetti astratti. Per questo, spesso, le mie opere non hanno un titolo perché è inutile». Una vita in movimento, impossibile da sintetizzare in poche decine di fotografie che, nonostante i viaggi nel mondo, i cui frutti sono parte di prestigiose collezioni museali nazionali e internazionali in Italia (a Napoli nei musei d’Arte Contemporanea della Metropolitana e Capodimonte) e all’estero (in Francia, Brasile, Cina, Messico, Canada, Cuba, Germania, Russia, Spagna, Serbia) si sviluppa intorno ad un preciso centro di gravità: la città di Napoli.
«È una città meravigliosa, ed è imbarazzante che il mondo se ne stia accorgendo solo adesso. Da giovane, sono andato via per alcuni anni, ma ho scelto di tornare per vivere e documentare la sua forte presenza nella storia culturale degli ultimi cinquant’anni». La vita professionale di Donato è, infatti, costellata di grandi collaborazioni: lavora con i galleristi Lucio Amelio e Peppe Morra, immortalando artisti internazionali e con Eduardo De Filippo seguendo le evoluzioni del teatro, del cinema e della musica insieme a Mario Santella, Armando Pugliese, Luca de Fusco, Tony Servillo, Mario Martone, Marcel Marceau, Roberto Benigni, Andy Warhol, Joseph Beuys, Hermann Nitsch, Ernesto Tatafiore, Vito Acconci, Sting, Pino Daniele, Lucio Dalla, Chet Baker, Mario Valentino, Roberto Capucci. Una voglia di esplorazione evidente fin dagli inizi, come negli scatti, realizzati nel 1969 al Teatro Mediterraneo di Napoli durante la performance del Living Theatre nella quale l’artista ribalta il punto di vista, fotografando il pubblico dal palcoscenico e cambiando la prospettiva tra attore e spettatore, tra oggettività e soggettività. Dai primi anni ’90 insegna all’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove ha fondato e diretto il Corso di Laurea in Fotografia e dove, tutt’oggi, insegna.