Fabio Gambina – Simbiosi
25 scatti ideati appositamente per lo spazio espositivo fiorentino che ne ritraggono gli interni in un evocativo dialogo tra opere esposte e architettura nella luce e oltre la luce stessa.
Comunicato stampa
Un’indagine meditativa sulla relazione tra scultura, pittura, architettura e arte sacra, ‘nella luce e oltre la luce stessa’: è questo il concetto alla base di “Simbiosi”, la mostra del fotografo e architetto Fabio Gambina proposta dal Museo Marino Marini di Firenze (Piazza San Pancrazio), presieduto da Patrizia Asproni, e curata da marionanni, visiting director 2021.
In esposizione, da giovedì 21 ottobre al 17 gennaio 2022, 25 scatti ideati appositamente per il Museo che ne ritraggono ed esplorano gli interni. Fabio Gambina fotografa le opere nel contesto architettonico che le accoglie, esaltando i dettagli delle sculture di Marino Marini, in un rapporto simbiotico tra spazio e opera.
Il formato è quadrato, risultato dell’intersezione tra la lettura dello slancio verticale della chiesa di San Pancrazio, che contiene il Museo, e quello orizzontale dei diversi livelli su cui i camminamenti si distribuiscono. La rappresentazione è in bianco e nero, per dare il massimo risalto alla forma della luce, sottolineandone l’essere materia artistica in dialogo con l’architettura e le opere. Gambina elimina ogni elemento cromatico che possa distogliere da questa premessa teorica per raggiungere, tramite un processo di sottrazione, essenzialità estetica e incisività di contenuto.
La mostra è realizzata nell’ambito di “metaluce”, il programma di iniziative che, attraverso fotografia, opere d’arte e parole, rilegge il Museo stesso come luogo di interconnessione tra arti e esempio di umanesimo universale, a cura del visiting director 2021 marionanni. 3 i fotografi coinvolti: oltre a Gambina anche Clara Melchiorre, che ha aperto la rassegna con la mostra Lumen (dal 24 luglio al 18 ottobre), e un terzo nome ancora da confermare che la chiuderà nel 2022. marionanni, progettista e maestro della luce per istituzioni quali la Royal Academy of Arts di Londra e la Kunsthaus di Zurigo, attualmente in mostra presso il Quirinale a Roma, propone il Museo Marino Marini come spazio di sperimentazione e ricerca per capire e interpretare la luce naturale.
Spiega Patrizia Asproni, presidente del Museo: “Non a caso gli scatti di Fabio Gambina si sono soffermati sul punctum, ovvero il dettaglio, dell’architettura del Museo Marino Marini. Non a caso la sua visione oggettiva si è concentrata sull’intricata relazione del paradigma culturale dell’immagine fotografica, che trascrive il mondo tridimensionale su una piccola ma potente superficie piana. Nelle fotografie di Fabio Gambina lo studium, l’aspetto razionale della fruizione fotografica, è dato per scontato, l’emozione relegata sullo sfondo per emergere come soggettività nell’interazione con le fotografie: simbiosi, appunto. La fotografia come mezzo per guardare, per esplorare il valore simbolico dell’architettura ma anche per trafiggere lo spettatore oltre il consumo frenetico delle immagini del nostro tempo”.
“Simbiosi è una visione formalmente statica – chiarisce marionanni – eppure riesce a proporre all’osservatore un evidente fraseggio di forma e luce, un’interrelazione ritmica tra i diversi elementi in essa composti: scorci di opere, linee che scandiscono gradazioni, spigoli vivi, ombre fusiformi, elementi architettonici decorativi trasfigurati in forme più essenziali. Un moto percettivo ed una rappresentazione tattile che ci porta letteralmente a “toccare con gli occhi”.
“Il Museo Marini di Firenze è uno di quegli esempi in cui lo spazio espositivo non risulta in competizione ma in armonia con le opere esposte – dice Fabio Gambina – si tratta del frutto di un sapiente lavoro progettuale affrontato negli anni Ottanta da Lorenzo Papi e Bruno Sacchi. Questi, confrontandosi con la preesistente struttura architettonica e con i suoi successivi rimaneggiamenti, ne hanno conservato memoria proponendo un intervento che, dal punto di vista dei percorsi della luce e del linguaggio, ha determinato un esito di organicità fra opere e spazio architettonico”. E continua: “Proprio questa organicità, la predilezione per la luce naturale nella lettura delle opere e la propensione a evitare la pratica del piedistallo da parte di Marino Marini, sono stati per me strumenti fondanti per la scelta delle inquadrature”.
Fabio Gambina è stato scelto da Vanni Pasca a realizzare nel 2010 la personale di fotografia dal titolo “Il popolo del design” nell’ambito della Biennale Internazionale del Design di Ascoli e San Benedetto del Tronto. Nel 2014 ha realizzato mostra sul nuovo Rijksmuseum di Amsterdam nell’ambito dell’evento Architects meet in Selinunte OFF. Insignito del riconoscimento Remarkable Artwork ai Siena International Photo Awards 2016, nel 2017 la giuria del Premio Arte Laguna ha esposto un suo lavoro all’Arsenale di Venezia.
Philippe Daverio ha scritto di lui: “nella sua produzione architetture e persone fisiche che negli spazi esistono, convivono in un minimalismo che è leggero e quindi poetico. capace di dettagli che significano il tutto, anzi che sembrano suscettibili di interpretare il tutto e che si caricano di piccoli fiati, che sono in verità gli spiriti delle cose e degli uomini”.
Il Museo Marino Marini è nato dalla volontà di Marino e Marina Marini che, alla fine degli anni Settanta del Novecento, individuarono l’ex chiesa di San Pancrazio di Firenze come luogo ideale al quale legare la donazione di opere che l’artista, poco prima di morire, aveva fatto alla città. La ristrutturazione della chiesa, recuperata dopo secoli e ridestinata a una funzione pubblica, è stata realizzata dagli architetti Lorenzo Papi e Bruno Sacchi che hanno saputo creare un allestimento a immagine e somiglianza di quel mondo così affascinante di Marino Marini, uno dei personaggi più significativi della cultura figurativa del Novecento. Il museo ospita 183 opere di Marino Marini: disegni, litografie, dipinti, sculture, tutte esposte al pubblico sui quattro livelli del museo. Parte integrante del museo, recuperata alla visita del pubblico dopo un lungo restauro, è una delle meraviglie del Rinascimento fiorentino: la Cappella Rucellai, capolavoro assoluto dell’architetto Leon Battista Alberti, con il Tempietto del Santo Sepolcro.