Fabrizio Clerici – Omaggio a Savinio
I 39 disegni originali che hanno dato vita a quel capolavoro del divertissement culturale di Fabrizio Clerici che è Alle cinque da Savinio, è oggetto di una preziosa esposizione a cura di Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli fondatori della Galleria del Laocoonte che sarà ospitata nella prestigiosa Galleria Fondoantico di Tiziana Sassoli in via de’ Pepoli, 6E.
Comunicato stampa
I 39 disegni originali che hanno dato vita a quel capolavoro del divertissement culturale di Fabrizio Clerici che è Alle cinque da Savinio, è oggetto di una preziosa esposizione a cura di Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli fondatori della Galleria del Laocoonte che sarà ospitata nella prestigiosa Galleria Fondoantico di Tiziana Sassoli in via de’ Pepoli, 6E.
I disegni, tracciati a mano libera, quasi sempre con un pennarello rosso fine, vengono proposti in mostra accanto ad una attenta selezione di opere di Alberto Savinio. Tra esse, Maria Antonietta e Luigi XVI, disegno per una delle tavole dei Processi Celebri, un Tiresia monocolo dallo scaligero Oedipus rex di Strawinskij, un’acquarello di Poltromamma ed ancora, un disegno preparatorio per un Ritratto di Signora con testa d’uccello dal becco a spatola.
La mostra, rievocando la celebre pubblicazione affidata nel 1983 all’edizione di Franca May, fa rivivere l’amicizia fra Savinio e Fabrizio Clerici che di quel volume illustrato fu l’autore delle tavole e il committente. L’arte di Clerici sarà presente in mostra anche con il suo dipinto Il sogno di Lessing, dedicato, non a caso, al Laocoonte. Con questa citazione infatti si inanella un ciclo, perché è oggi la Galleria romana del Laocoonte a conservare 39 tavole dell’omaggio a Savinio qui esposte.
Fabrizio Clerici, con un naso così importante e nobilmente adunco, poteva sembrare a prima vista un rapace, ma bastava ascoltare la sua voce educata, i suoi discorsi raffinati in cui erano spesso incastonate, nel suo italiano di milanese vissuto a Roma sin da bambino, qua e là parole e frasi francesi, per capire che egli non era uccello da preda, ma piuttosto un distintissimo trampoliere, una gru, un airone, a cui madre natura aveva dato per sopravvivere il dono supremo dell’eleganza e lunghe gambe dall’alto delle quali poter osservare la bassa corte in cui razzoliamo noi bipedi ordinari.
Così quando quest’artista surreale e metafisico, nel 1983, fece stampare presso le edizioni di Franca May, il volume di illustrazioni “Alle Cinque da Savinio”, con prefazione di Leonardo Sciascia, tutti videro, nel repertorio ornitologico in 48 tavole, in cui uccelli di ogni razza interpretavano come in “tableaux vivants” le scene di vita quotidiana e le cerimonie di un’umanità borghese ormai scomparsa, un esercizio estremo nel genere dell’autoritratto: non nel rappresentare se stessi, ma tutti gli altri come se stessi.
Eppure non sappiamo se Fabrizio Clerici fosse cosciente di questo risultato. Il pittore, lo scrittore a cui l’omaggio è dedicato, Andrea De Chirico (Atene 1891 – Roma 1952) in arte e per i posteri ormai Alberto Savinio, invece lo sapeva. Quando ritrasse se stesso si rappresentò – si vide – con una testa di civetta su di un corpo umano, caro ad Atena Dea dell’intelletto e simbolo del notturno studio. E dalle favole di Esopo fino alle Scene della Vita degli Animali di Grandville, rappresentare gli uomini come bestie è sempre stata arte di caricatura e satira sociale. Satira garbata, di un borghese che mette in caricatura i borghesi pari suoi, ma pur sempre caricatura, che è come dice il nome, mettere in ciò che si rappresenta di più di ciò che gli occhi vedono. Meglio, nel caso di Savinio, vedere la vera immagine della persona al di là degli ingannevoli tratti somatici umani: così anche la Madonna dell’Annunciazione può divenire uno struzzo o un uccello dal becco a scarpa, un’elegante Signora con Ventaglio un casuario o una papera, un eroe classicamente nudo portare sopra il collo la testa di un gallo o di un germano reale. Forse gli uccelli, se si potessero vedere così, se ne potrebbero avere a male, ma non la borghesia per la quale Savinio dipingeva, quando ancora si facevano ritratti “seri” di Signore con Ventaglio o quando il Duce del Fascismo poteva venir rappresentato seriamente nudo come un eroe grecoromano.
Fabrizio Clerici (Milano 1913 – Roma 1993) è stato l’ultimo surrealista, l’ultimo metafisico, non tanto d’Italia, ma di una cosmopoli elegante che ha esalato il suo canto del cigno prima del ’68, prima dell’ineluttabile volgarità trasversale di massa che tutto ha travolto sotto la mascheratura delle provocazioni d’avanguardia. “Il Minotauro che accusa sua Madre”, “Il Sonno Romano”, “Le Confessioni palermitane”, sono da considerarsi ancor’oggi, e forse oggi ancora di più, dei legittimi capolavori. Da Savinio lo separavano ventidue anni, eppure con Savinio ebbe tra guerra e dopoguerra un sodalizio di cui rimane concreta testimonianza scritta in “Ascolto il tuo cuore città” (1944), passeggiata e divagazione letteraria in giro per Milano in cui il giovane Clerici è continuamente evocato come compagno e deuteragonista – cioè secondo attore. Due anni prima, un’introduzione di Savinio aveva accompagnato dieci litografie di “Capricci”, che lo scrittore afferma in modo lusinghiero doversi guardare “col terzo occhio che al dire degli stoici ci portiamo al sommo del cervello, e col quale guardiamo i sogni”.
Trent’anni dopo la morte dell’amico, Clerici si divaga di un’inverno di malattia riempiendo un piccolo album di Scene di Vita di Volatili borghesi, ritratti alla maniera di Savinio, spesso in camere e sale metafisicamente spoglie, impegnati nella liturgia sociale di una belle époque che par precedere la prima guerra mondiale. Un tempo lontanissimo che però Savinio aveva vissuto, cantato in prosa ne “L’Infanzia di Nivasio Dolcemare”, e trasfigurato nei suoi quadri ritraendo in modo visionario le vecchie foto della sua famiglia dove i genitori si trasformano in confortevoli poltrone da salotto.