Fabula muta
Nonostante le apparenze Fabula muta, mostra -incentrata prevalentemente su opere pittoriche di taglio aniconico- non si propone di inseguire un’idea ormai obsoleta di ‘specifico’ disciplinare ma di mantenere aperta una riflessione critica sulla pratica pittorica contemporanea.
Comunicato stampa
Nonostante le apparenze Fabula muta, mostra -incentrata prevalentemente su opere pittoriche di taglio aniconico- non si propone di inseguire un’idea ormai obsoleta di ‘specifico’ disciplinare ma di mantenere aperta una riflessione critica sulla pratica pittorica contemporanea: una cosa è infatti seguire i dettami di una ‘purezza’ d’ascendenza modernista, presto trasformatasi in prigione, un’altra tentar di ri-pensare un’idea di pittura che ha finito per integrare questi limiti per meglio trasgredirli e rimetterli continuamente in gioco.
FABULA MUTA
Pur non configurandosi come un discorso a largo raggio, Fabula muta che presenta opere di Emanuele Becheri (Prato 1773), Carlo Guaita (Palermo 1954) , Callum Innes (Edinbourgh 1962), Ignacio Uriarte (Krefeld 1972) parla a più voci: l’intento che muove la mostra non è tanto quello di fondare un territorio immediatamente riconoscibile quanto quello di inaugurare uno spazio di transito in cui sia possibile ri-pensare, oltre le diversità stilistiche, eventuali affinità nascoste fra le pieghe di differenti poetiche. Più che avvicinare un artista all’altro (le distanze generazionali geografiche e poetiche sono lì per attestarlo) Fabula muta si propone di mostrare la vicinanza di alcuni procedimenti generativi (la cancellazione, la traccia, la ripetizione differente …) che inscritti nelle singole opere permettono un comune allontanamento di ciascuna di esse dalla confusione che regna sull’attuale scena dell’arte a proposito della pittura.
Diversamente dai pittori degli anni 80, gli artisti in mostra non guardano alla pittura come ad una categoria del fare arte autosufficiente e finalmente ritrovata (che si tratterebbe semplicemente di adottare) ma come ad una pratica che può essere esercitata e interrogata in modi estremamente differenti.
Ciò che avvicina, senza per altro accomunarle, le ricerche di Innes, Becheri, Guaita, Uriarte è primariamente l’adozione di un lessico neutro: le loro opere tendono, infatti, a sospendere la struttura attributiva del linguaggio e dello stile, paiono orientate non pionieristicamente verso il futuro dell’immagine ma, problematicamente, verso la sua origine. Un’origine scoperta però come immediatamente non-semplice ma, da sempre, contaminata dal suo altro.
Pur con tutte le debite differenze, gli artisti in mostra, abdicano volontariamente all’eloquenza dell’opera, per orientare quest’ultima verso il suo non-ancora, mettendo in scena una sorta di regressione renitente che, consumando al proprio interno la finalità di ogni fine e l’inizialità di ogni inizio si costituisce come cifra ultima della loro contemporaneità.
Ciò che caratterizza queste ricerche è la mancanza di vettorialità tendente a restituire la pittura ad una dimensione metafisica. Nel lavoro di Innes, Becheri, Guaita, Uriarte, che potremmo definire u-topico ed a-topico, la pittura lungi dal coincidere con se stessa si trova “ri-messa in gioco” in maniera però non meramente ‘ironica’ o “trasgressiva”. Qui non si tratta, infatti semplicemente, di negare la pittura o di criticarla, ipotizzando di aver a che fare con qualcosa di omogeneo e definitivamente riconoscibile e neanche di aderire tout-court ad essa (confermandola in un’identità bloccata che non “va” in nessun altro luogo se non in se stessa) quanto di abitarne strategicamente l’eredità. Si tratta, in altre parole, di mantenersi ai margini della pittura con un gesto che, oltre a mettere costantemente a tema il suo stesso statuto, sia anche capace di sorvegliare la propria necessaria comunicazione con ciò da cui intende scartarsi. Disertare un certo rapporto con la tradizione significa, infatti, semplicemente frequentarla più ingenuamente o, detto altrimenti, subirla, senza calcolarne gli investimenti e, inoltre, spacciare questa subalternità per libertà riconquistata.
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dal 12 ottobre 2013 al 1 dicembre 2013
Ingresso gratuito
ORARI: feriali 15.00 -19.00 | festivi 10.00 -12.00/ 15.00 – 19.00
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A seguire, sempre Sabato 12 ottobre 2013, alle ore 21 presso gli spazi di Stazione Ceramica, in Via Mannozzi a San Giovanni Valdarno, Casa Masaccio centro per l’arte contemporanea propone un nuovo appuntamento di ART ON FILM, rassegna di film sull’arte contemporanea tratti dall’archivio dello schermo dell’arte Film Festival. Nell’occasione sarà proiettato il film William Kentridge: Anything is Possible di Susan Sollins, Charles Atlas, Stati Uniti 2010, 54'.
Celebrato nell’ultimo anno a Milano e Napoli con una serie di mostre e di eventi dedicati alla sua produzione artistica, teatrale e musicale, William Kentridge ha sviluppato tutta la sua ricerca attorno al disegno. Insignito nel 2010 del prestigiso Kyoto Prize, assegnato dalla Inamori Foundation, nei suoi film di animazione in bianco e nero Kentridge ha raccontato l’apartheid in Sudafrica, riflettendo e interrogandosi nel corso di oltre trent’anni di lavoro su temi di natura storica, politica e sociale. Intervistato nel suo studio di Johannesburg, l’artista racconta il suo percorso e la sua poetica mostrandosi nel ruolo di performer, regista e scenografo durante la realizzazione dei suoi progetti più recenti: dal video Breathe (2008), alla performance I Am Not Me, The Horse Is Not Mine (2008), eseguita dallo stesso Kentridge; fino all’opera teatrale The Nose (2010) di Dimitri Shostakovich, ispirata all’omonimo libro di Gogol. Il documentario è stato premiato con il Peabody Award.