Flavio Paolucci
Dopo la presentazione dei lavori storici di Mario Nigro, la mostra autunnale della FONDAZIONE GHISLA ART COLLECTION di Locarno si focalizza su un artista ticinese proponendo, a partire dal 9 settembre, una rassegna di opere (dipinti, sculture, installazioni) di FLAVIO PAOLUCCI, nato a Torre in Val di Blenio e attivo a Biasca, che ha alle spalle una lunga militanza artistica che lo ha visto esporre nelle maggiori città svizzere, ma spesso anche in Germania e in Italia.
Comunicato stampa
Dopo la presentazione dei lavori storici di Mario Nigro, la mostra autunnale della FONDAZIONE GHISLA ART COLLECTION di Locarno si focalizza su un artista ticinese proponendo, a partire dal 9 settembre, una rassegna di opere (dipinti, sculture, installazioni) di FLAVIO PAOLUCCI, nato a Torre in Val di Blenio e attivo a Biasca, che ha alle spalle una lunga militanza artistica che lo ha visto esporre nelle maggiori città svizzere, ma spesso anche in Germania e in Italia.
Questa mostra a Locarno è una sorta di ritorno alle origini perché proprio in città, presso la Galleria Il Portico, Paolucci tenne la sua prima esposizione sessant’anni fa, nel 1958, affiancato come giovane promessa (aveva da poco ottenuto un importante premio alla Biennale dei Giovani di Gorizia) al più anziano e affermato scultore Giovanni Genucchi (1904-1979).
L’esposizione segue il percorso di ricerca che l’artista ha condotto negli ultimi trent’anni, vivendo la sua esperienza creativa in sintonia con il mondo naturale e costruendo la sua arte con materiali tratti dalla natura: legni, rami, carte, pietre, marmo, colori, fino alla fuliggine che diventa strumento particolare e determinante per definire i fondi dei dipinti e spesso anche la pelle dei suoi lavori scultorei.
La sua opera infatti si sviluppa a tutto campo: la pittura e la scultura fanno parte della sua storia, che però non è certo estranea agli sviluppi dell’arte degli scorsi decenni, anni in cui ha attraversato o sfiorato alcune delle correnti artistiche d’avanguardia, dall’informale alla pop art, dal concettuale all’arte povera, all’arte ambientale. Tutte queste esperienze hanno trovato poi una evoluzione originale nelle installazioni realizzate a partire dagli anni Ottanta che la mostra ben documenta evidenziando come programmaticamente Paolucci si muova tra i colori, le forme, la materia e i materiali con grande libertà e con grande rispetto per il valore di ciascuno di questi componenti della sua espressione artistica. La semplificazione estrema del linguaggio gli consente di condensare in pochi segni e poche forme messaggi e riflessioni, che hanno a volte valore di denuncia e a volte valenze liriche, ma anche di dar voce ad accorati richiami al valore e al rispetto della natura.
Il volume che accompagna la mostra - curato, come l’esposizione, da Luigi Cavadini - racconta il mutare della ricerca di Paolucci nei sessant’anni della sua vicenda artistica tuttora in evoluzione e si sofferma soprattutto sulla produzione degli ultimi trent’anni proponendo, come è allusivamente rimarcato nel sottotitolo “i sentieri il sentiero” dapprima una carrellata di opere che introduce alla mostra, per poi soffermarsi e illustrare con la riproduzione di tutte le opere esposte la rassegna, che comprende lavori fondamentali del suo percorso, alcuni dei quali di grandi dimensioni, che toccano i vari aspetti della riflessioni dell’artista sul suo tempo e sul rapporto dell’uomo con il mondo naturale.
Questo sentiero, costruito direttamente dall’artista riguardando con attenzione al proprio passato, traccia chiaramente “la sua poetica fatta di uomo, natura e cuore”.
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Chi visita la mostra di Paolucci, presentata al terzo piano della Fondazione Ghisla Art Collection, ha anche l’occasione per ammirare una selezione delle opere della Collezione costituita negli anni da Pierino e Martine Ghisla-Jacquemin, comprendente capolavori della Pop Art, dell’Informale, del Concettuale, dell’Astrattismo, del New Dada…, a cui si aggiungono prove di autori emergenti e forse meno conosciuti dal grande pubblico. Interessanti i “dialoghi” che si instaurano fra le opere nelle singole sale: nella prima sala si trovano di fronte un’opera di Angelo Musco e un lavoro di Shirley Jaffe; nella seconda l’arte povera di Jannis Kounellis è in relazione con un lavoro di Christian Boltansky; la terza è dedicata al confronto fra artisti americani come Basquiat, Wesselmann, Twombly, Lichtenstein e altri ancora, mentre la quarta è consacrata ai grandi maestri dagli anni quaranta in poi come Magritte, Miró, Picasso, Botero, Vasarely, Dubuffet, e altri. Nella quinta, infine, ecco gli artisti che hanno segnato l’arte italiana degli ultimi cinquant’anni, come Fontana, Bonalumi, Castellani, Pistoletto, Boetti. Un percorso intrigante, composto di lavori scelti con grande cura e con la consapevolezza della presenza, in ciascuno, di un frammento significativo della storia dell’arte del ‘900 e della contemporaneità.