Fontana Leoncillo Melotti Ritorno al Barocco
Una mostra a cura di Andrea Bacchi, storico dell’arte e direttore della Fondazione Zeri, che approfondisce il significato della cultura barocca nelle opere scultoree di tre grandi Maestri del Novecento.
Comunicato stampa
Dal 2 febbraio all’11 aprile 2021, la galleria ML Fine Art Matteo Lampertico apre le porte della sua nuova sede con RITORNO AL BAROCCO. Leoncillo Fontana Melotti, mostra a cura di Andrea Bacchi – docente di Storia dell’Arte Moderna all’Università di Bologna e Direttore della Fondazione Zeri – dedicata alle influenze della cultura barocca su alcuni dei più importanti Maestri dell’arte italiana del Novecento.
Il titolo riprende l’esposizione Ritorno al Barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli realizzata nel 2009 a Napoli da Nicola Spinosa, in una nuova e diversa prospettiva di indagine: per la prima volta, infatti, preziose opere in ceramica realizzate tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta da Lucio Fontana, Fausto Melotti e Leoncillo Leonardi sono state esaminate alla luce dei rapporti con la scultura e la pittura barocca.
Lucio Fontana, nel Manifesto dello Spazialismo (1951) scrive: “È necessario quindi un cambio nell’essenza e nella forma. È necessaria la superazione della pittura, della scultura, della poesia. Si esige ora un’arte basata sulla necessità di questa nuova visione. Il barocco ci ha diretti in questo senso, lo rappresentano come grandiosità ancora non superata ove si unisce alla plastica la nozione del tempo, le figure pare abbandonino il piano e continuino nello spazio i movimenti rappresentati.”
Queste parole dell’artista hanno dato l’avvio alla riflessione alla base della mostra, e il loro senso è rintracciabile in molti dei lavori esposti, a partire dallo straordinario Crocifisso (1949) realizzato negli anni cruciali del suo ritorno dall’Argentina. Un’opera che rivela come il Barocco, per l’artista, conviva con le nuove istanze spazialiste.
In mostra anche un Concetto Spaziale (1957), parte della serie di tele chiamate Barocchi (1954-57) da Enrico Crispolti. E ancora le due versioni de La Corrida, che dimostrano come il passato sia per l’artista uno stimolo a nuove ricerche d’avanguardia.
Per la prima volta sono nuovamente insieme i due monumentali Trofei di Leoncillo, realizzati per l’Esposizione Universale di Roma del 1942, e i relativi bozzetti, già esposti nel 1979 nella mostra Leoncillo. 1915-1968 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. I due Trofei vennero modellati dall’artista su ispirazione di modelli settecenteschi, sviluppando masse dai colori vividi e oro, che trasfigurano le forme dei soldati in eccentrici personaggi fantastici.
Accanto a questi, opere come San Sebastiano (1961) e Sirena (1939) confermano la sua ispirazione alla scultura del XVII secolo e soprattutto alla scultura Gian Lorenzo Bernini, già evidenziati a suo tempo da Roberto Longhi, che si conia per Leoncillo l’appellativo de “il barocchetto spoletino”.
Di Fausto Melotti troviamo in mostra una serie di eleganti figure femminili realizzate tra il 1949 e il 1951, con vesti dai panneggi avvolgenti e luminosi, due vasi realizzati nel 1950, dalle fogge geometriche e dai volumi mossi, che sembrano contraddire ogni funzionalità, e un bassorilievo del 1960.
I rapporti dell’artista con il Barocco possono in questo caso apparire meno evidenti, ma non sono meno significativi, soprattutto nella produzione ceramica, che sembra ispirarsi alle forme leggere e guizzanti del barocchetto lombardo.
Andrea Bacchi, nel catalogo della mostra edito da Christian Marinotti Edizioni, si interroga se sia possibile parlare di influenza dell’arte barocca per la scultura italiana a partire dagli anni Trenta: Certamente sì, bisogna solo stare attenti a distinguere quei rari prestiti dal repertorio figurativo del Sei-Settecento (anzi, quasi solo del Settecento, come vedremo), dal riconoscimento dell’appartenenza dei capolavori di Fontana, Leoncillo e Melotti ad una precisa categoria dello spirito, un eterno Barocco sempre risorgente dopo un’epoca di misura e canone, o in simultaneo contrasto con essa.”
Rifarsi a tali fonti significava infatti, per questi artisti, anche prendere le distanze, in modo consapevole e persino polemico, dall’arte di Regime, impersonata innanzitutto dal movimento Novecento di Margherita Sarfatti, che proponeva un recupero della tradizione classica, in piena sintonia con le aspirazioni del potere politico dell’epoca.