Fotografia post
La mostra presenta tre diversi approcci all’azione artistica, che prendono spunto dalla fotografia, intesa come oggetto, ma anche come concetto, per costruire forme visuali, che possiamo definire con il termine generico di Fotografia post.
Comunicato stampa
Quando parliamo di fotografia generalmente parliamo di un oggetto oppure di un’azione. La fotografia come oggetto è un medium materiale che permette di costruire una forma, che può essere intesa sia della percezione, da cui si origina una visione estetica individuale, sia della comunicazione, da cui si origina una visione sociale che ingloba quella estetica individuale, assegnando alla fotografia una collocazione, che per i nostri interessi riguarda il sistema dell’arte. La fotografia come azione origina un processo comunicativo che assegna significati sul Mondo e sull’Arte. La mostra presenta tre diversi approcci all’azione artistica, che prendono spunto dalla fotografia, intesa come oggetto, ma anche come concetto, per costruire forme visuali, che possiamo definire con il termine generico di Fotografia post.
Federica Landi è riminese, ma vive a Londra, ed è l’autrice che, fra i tre in mostra, si mantiene più ancorata ad una forma della fotografia, così come questo oggetto concettuale viene tradizionalmente concepito, tant’è che il suo essere “post” sta nella manipolazione visionaria, ancor più che in quella tecnico-digitale. Le visioni del suo Spectrum sono estranianti, anche se fissate su una fotografia, che mantiene viva l’idea dell’istantanea, dalla parvenza metafisica e surreale. Visioni come costruzioni, che nascono dal modo in cui l'artista “negozia e modella il paesaggio tramite le proprie percezioni e il bisogno di identificazione con esso. I paesaggi presentati prendono in esame aree periferiche urbane ed extra-urbane, sopra cui sono stati giustapposti dei filtri di plexiglass colorato che creano distorsioni e rifrangenze. L'approccio visivo adottato dall'artista non vuole documentare lo spazio, bensì giocare con esso e conferire una dimensione di surrealtà, che spesso isola o nasconde gli elementi del paesaggio al punto tale da renderli oggetti misteriosi e sospesi nello spazio. L'utilizzo dei filtri ha qui una doppia valenza. Da una parte è un metodo di riappropriazione di parti del territorio attraverso un atto creativo, tramite il quale l'artista vuole "identificare", "sottolineare", "ri-plasmare" il paesaggio; dall'altra vuole suggerire un'interferenza, un'impossibilità di percepire il paesaggio che ci circonda con occhi scevri da filtri e mediazioni tecnologiche con cui siamo abituati ad orientarci.” Una terza valenza è l’autoriferimento al sistema della fotografia, in senso tecnico, per ricostruirne una propria storia pre-post.
Le opere di Jacopo Tomassini, fotografo romano, fanno parte di una serie, che “nasce come un diario delle frustrazioni politiche” verso il suo paese, l’Italia, dal titolo Un paese senza. Pur essendo il prodotto della scansione digitale di assemblaggi di immagini ricavate da riviste e giornali, non sono dei collage, ma vere e proprie fotografie di accadimenti volontari, ma temporanei, che l’autore ha realizzato riflettendo sull’informazione apparsa sulla stampa. Fotografie che ha poi prodotto digitalmente su carta, a partire da un unico originale: il file realizzato attraverso uno scanner. Apparizioni di un lavoro del concetto e di composizione, che l’autore ha costruito in un evento momentaneo e, proprio per questo, fugace, unico, come quello che viene fissato attraverso la fotografia istantanea. Eventi che assumono valore di realtà solo nelle fotografie che ne conseguono, perché ognuno di questi, nel momento in cui accade scompare. Sarà quindi possibile osservarlo di nuovo sono attraverso questa sua fotografia. Sono opere che consistono di un’azione artistica che il fotografo produce reinventando il medium fotografico, aggiornandolo alla contemporaneità, e portando una riflessione personale sul Mondo, che si trova fuori dal sistema dell’arte, nel suo ambiente: “Strappando e rimodulando immagini stampate, trasformo il mio ruolo passivo di cittadino, che assiste alla rappresenta-zione della politica italiana e internazionale, in quello di pensatore attivo che cerca di rivelare i mutamenti sociali e politici.”
Giovanni Lens Vincenzi è della Repubblica di San Marino ed inizia il suo percorso autoriale, facendo uso della fotografia, proprio con questa serie denominata Melange, che nasce da una riflessione personale, a partire dal dibattito culturale e scientifico sui temi della globalizzazione e della società multiculturale. L’autore, nell’interrogarsi con una modalità visuale sul significato che questo fenomeno sociale va producendo, è partito da sé stesso, da un autoritratto fotografico, che attraverso l’uso di una elementare manipolazione digitale, realizzata con l’ausilio di Photoshop, viene ad assumere forme e sembianze differenti, che lasciano intravvedere i segni di una ibridazione tra culture, miscelate tra loro, ma non sempre troppo integrate, in un mélange visuale, che ne ridefinisce le identità socio-culturali. Il valore di questa sua opera sta proprio nell’aver problematizzato il concetto d’identità, per come questa viene a caratterizzarsi in una società multiculturale, dove non è più possibile trovare forma nell’unità, ma nel mélange, da intendersi come molteplicità delle forme di espressione della diversità.