Francesco Arecco e le mine
L’ingresso di un teatro. Lo spazio pre-rappresentazioni e prima del silenzio. Lo spazio del reale, fatto di voci e persone. Di attese e aspettative, prima. Di commenti, opinioni e riflessioni, dopo.
Comunicato stampa
L’ingresso di un teatro. Lo spazio pre-rappresentazioni e prima del silenzio. Lo spazio del reale, fatto di voci e persone. Di attese e aspettative, prima. Di commenti, opinioni e riflessioni, dopo.
É qui, nello spazio reale, che Francesco Arecco posiziona i suoi ordigni. Fra la gente. Nel foyer dell’Auditorium del Centro Culturale San Fedele l’attesa di un’esplosione. Non c’è possibilità di scampo, tutt’attorno a noi congegni esplosivi pronti a tuonare.
Oggetti-strumenti come li definisce Arecco: sono i meccanismi che guidano le nostre esistenze. Il nostro vissuto, gli incastri relazionali e sentimentali, il meccanismo dell’amore, mirabili artifici e abilità del nostro quotidiano. Al centro dello spazio, culmine dell’attesa, si trova l’ordigno più potente, che sta per esplodere: Mina. Congegni armonici come meccanismi esplosivi conducono variazioni sul tema. Non una mina anti-uomo ma pro-uomo. Strumenti potenti della nostra cultura: letteratura, arte, prosa, poesia, sono loro i veri ordigni.
Arecco chiede ai suoi spettatori un atto di fiducia, che condivide con il Centro San Fedele e di cui in egual modo si fa portavoce: una presa di coscienza. Un messaggio resiliente, pacifico e pacifista, rivolto alla riflessione sulla necessità di una reazione all’immobilismo, sociale e spirituale. Spostamenti d’aria, movimenti, cambiamenti, esplosioni silenziose contro l’annientare, il radere al suolo, il dimenticare. Per il rinnovo e la memoria, il preservare e il dialogo. Sono ordigni d’amore. GS