Francesco Bosso / Enrico Cazzaniga
Francesco Bosso attraversa il bianco con la metodica disciplina del fotografo paziente. Mentre Enrico Cazzaniga ha scelto il fustagno nero e la candeggina come elementi elaborativi del suo processo pittorico.
Comunicato stampa
Secondo l’etimologia tedesca della parola, “bianco” deriva da “blanch” e significa splendente. Condizione ovvia per un colore senza tinta che contiene la gamma cromatica dello spettro elettromagnetico, una somma luminosa che nasconde il processo sotto la distensiva risultanza ottica. Raccontare il mondo attraverso il bianco impone uno sguardo radicale che rimodula il realismo dei colori primari. Il bianco non tocca la condizione del compromesso ma sale oltre la carne, eleva verso il sublime, cerca altezze vertiginose, entra nelle profondità silenti, armonizza e mette ordine dove solitamente regna il caos.
Francesco Bosso attraversa il bianco con la metodica disciplina del fotografo paziente. Non esiste scatto che non racconti la sua natura attendista, la morbida sapienza dell’azione lenta e fluida, densa come mercurio discendente, pura come latte materno. Le immagini fermano istanti a campo lungo su paesaggi di incontaminata potenza. Luoghi reali che la dosatura tonale trasforma in esecuzioni armoniche dello spirito, partiture fisse che suonano note lunghissime, sottili, ultrasoniche.
Le opere di Bosso sono figlie di un approccio rispettoso, intriso di esperienza viva e senso delle radici. Comprendi che nel suo mondo convivono macchinari preziosi per storia, antiche tecniche di elaborazione e stampa, carte raffinate su cui prende corpo lo sguardo atemporale dell’autore. Senti le tradizioni senza tempo di un approccio fotografico oltre le mode, oltre le pure tecnologie, oltre i facili effetti mediatici.
Si narra di luoghi dal solido impatto naturistico, progenie monolitica che impone la sua stazza arcaica in una costante strategia della resistenza. Il mondo diventa omogeneo davanti agli occhi del fotografo: dagli Stati Uniti alle Seychelles, dall’Italia alle montagne dell’Engadina, senti un filo (bianco in questo caso) che cuce le diverse geografie in una coerente disciplina dello sguardo.
Diversi luoghi come capitoli coscienti dello sguardo lento, profondo, razionale: per narrare un’epica planetaria che suona con la percussione della pietra, le corde degli alberi, i fiati del vento, i tasti bianconeri del mare. E’ la musica visuale dell’entropia, il gancio armonico che accarezza il Pianeta mentre respira dai suoi molteplici spazi d’ossigenazione.
Bosso ferma gli istanti e li rende momenti prolungati, ne scova la natura meditativa e una specie di coscienza del tempo cosmico. In fondo, ci sta ricordando la nostra imperfezione e la precarietà di noi piccoli umani, così frammentati davanti ai bianchi “filosofici” che il fotografo dispone davanti allo sguardo accogliente.
Catalogo
Fausto Lupetti Editore / Testi di Gianluca Marziani e Roberto Mutti
Sottrarre per aggiungere… non è un gioco da enigmista utopico ma un approccio metodologico che Enrico Cazzaniga utilizza dal 1997, dal momento in cui ha scelto il fustagno nero e la candeggina come elementi elaborativi del suo processo pittorico. Una superficie ostica per la pittura, un liquido che di solito distrugge anziché creare: il cortocircuito parte da qui, da una sottrazione sul nero che produce luminosità variabili nel momento in cui la candeggina e il pennello (s)vestono la densità del nero.
Asfaltare per elaborare… anche qui non si tratta di qualche strana pratica urbanistica ma di una seconda chiave elaborativa dell’artista. La materia informe dei pavimenti automobilistici si trasforma in superficie pittorica e codice figurativo. Durissimo, selvaggio oltre l’informe, impregnato di memoria sociale eppure malleabile, pastoso, rivelatore di archeologie del presente: l’asfalto diviene qui disciplina concentrata, riduce le dimensioni spaziali e ribalta il proprio codice funzionale.
Enrico Cazzaniga parte dall’intuizione linguistica, da un costrutto formale che modula l’idea e il suo sviluppo tematico. Tecnica e concetto si fondono assieme al servizio del contenuto, raccontandoci mondi che intuiamo e al contempo ci lasciano in sospensione dubbiosa. Vediamo paesaggi e corpi, i due fulcri della visione contemporanea: luoghi e persone che ci sembra di afferrare mentre rifuggono da qualsiasi certezza, presenze che scivolano dentro il nostro sguardo come la candeggina che dipinge memorie mentre dissolve il nero.
Elementi del corpo (il fustagno che viene usato per gli abiti, la candeggina che viene utilizzata per le pulizie domestiche) ed elementi urbani (l’asfalto ma anche i birilli stradali con cui Cazzaniga ha realizzato alcune sculture funzionali) ci raccontano la frequenza labile del mondo attraverso i modelli tecnici che l’artista stesso ha ideato. L’opera ci invita al giusto sforzo, richiama sempre altro e dissemina punti d’ipnosi scenica, come se somigliasse a qualcosa che non è mai quella data cosa. Cazzaniga fa slittare i codici per non cadere nel tranello didascalico della figurazione, creando immagini che nascono da una partenogenesi materica, da una crescita dentro l’informe della monocromia inquieta (il nero del fustagno, il grigio dell’asfalto). Il risultato si rivela per chiavi indiziarie; ci fa seguire piste che portano verso scelte private e spazi di condivisione, gioca per similitudini che sovrappongono ricordi e presente. Il quadro evoca l’espressione del tempo interiore, modulando la natura organica del materiale e la sua appartenenza al mondo narrato.
Da Romberg l’artista presenta le due tecniche in una compresenza d’allestimento che evidenzia la narrazione dei passaggi figurativi. Sequenze, strutture modulari e richiami dimensionali disegnano un progetto a misura di spettatore, un paesaggio nel paesaggio dagli orizzonti variabili e dalla trama aperta.
Buona visione. O meglio, buon completamento della visione.