Francesco De Molfetta – DEMOdé
Giocoso, scanzonato, irriverente, a tratti inesorabile nel suo lucido e divertito anticonformismo, Francesco de Molfetta, in atre Demo, si è imposto ormai da diversi anni come uno dei protagonisti più controversi e interessanti della nuova scena pop-concettuale italiana.
Comunicato stampa
Giocoso, scanzonato, irriverente, a tratti inesorabile nel suo lucido e divertito anticonformismo, Francesco de Molfetta, in atre Demo, si è imposto ormai da diversi anni come uno dei protagonisti più controversi e interessanti della nuova scena pop-concettuale italiana. Eclettico nell’uso delle tecniche e dei materiali, ironico e mai ripetitivo, coi suoi lavori ha spaziato dalla fotografia, al disegno su carta, al collage, all’installazione, fino alla scultura, anche di grande formato, realizzata nei più diversi materiali, dal legno policromo, alla ceramica, alla fusione di alluminio al bronzo.
In questa mostra, realizzata in occasione dell’Expo dalla Galleria Poleschi, De Molfetta riunisce alcune sue opere di diversi periodi, quasi a documentare, all’interno dello spazio della galleria, il suo percorso creativo di un decennio. Dalle opere dei primissimi anni Duemila, spesso di piccolo formato, improntate a un’ironia d’altri tempi, dunque oggi considerata un po’ démodé (a cui allude il gioco di parole del titolo, che unisce al soprannome dell’artista, Demo, la desinenza dé), un’ironia che, come scrive il curatore della mostra Alessandro Riva, “risentivano ancora del clima freddo, affilato e caustico tipico del concettualismo ironico degli anni Ottanta e Novanta”; fino alle sculture più recenti, maggiormente improntate “a una giocosità di taglio tipicamente neopop, caratterizzate da colori vivaci, da un’ironia più allegra e scanzonata, da un uso parodistico della metafora visiva, dal forte scarto semantico e dal rimescolamento giocoso tra significante e significato”.
Ecco allora, mescolate tra loro, come in un grande luna park visivo, le serie delle “cancellature” dei primi anni Duemila (“Cancellare l’ordine”, “Mettere nero su bianco”, etc.), le fotografie arricchite da elementi aggettanti, come piccoli omini o altri micro-elementi che ne “spezzano” l’ordine e il senso (come i due teneri fidanzatini di una fotografia d’inizio secolo, trasformati dal genio demistificante dell’artista in un vampiro con la sua vittima), le mini-installazioni, sempre dei primi anni Novanta, governate da un’idea semplice ma di grande efficacia concettuale (come quella formata da rullini fotografici non ancora sviluppati, dal titolo “Foto mai viste”, o la pistola giocattolo sulla cui canna si affaccia un omino, dal titolo Cogito ergo Bum), assieme alle sculture più recenti, dove il titolo e il significato si rincorrono e si sovrappongo in un unico, esilarante pastiche concettuale e visivo: dalla scultura in vetroresina di David e Golia (che riproduce il David di Michelangelo, con una caramella Golia a coprire le pudenda), alla borsa Hellmes (rossa come l’inferno, da cui spunta un teschio), fino al Tasso alcolico, dove l’ambiente di un party molto alcolico è costituito proprio dalla pelliccia di un tasso imbalsamato.