Francesco Jodice – Laboratorio per Telescopi
Terza mostra di fotografia dei tre artisti vincitori del premio La Nuova Scelta Italiana.
Comunicato stampa
BDC 72
Premio La Nuova Scelta Italiana,
edizione 2022
Francesco Jodice
Laboratorio per Telescopi
a cura di Paola Greci
Mostra dal 20 gennaio al 26 febbraio 2023
Orari: venerdì, sabato e domenica dalle 16 alle 20
Presso lo spazio di Borgo delle Colonne 28, Parma
Ingresso gratuito
Inaugurazione: Venerdì 20 gennaio, dalle ore 20.30
Con la presenza dell’artista Francesco Jodice
Live a cura di Le Cannibale
Bar di Santeria Parma
Venerdì 20 gennaio inauguriamo la terza mostra di fotografia dei tre artisti vincitori del premio La Nuova Scelta Italiana, istituito per individuare ogni anno tre fotografi affermati che BDC - Bonanni Del Rio Catalog ritiene possano essere o diventare gli eredi dei grandi Maestri della fotografia italiana. Il premio, che si avvale di una prestigiosa advisory board di esperti, è stato quest’anno assegnato a Silvia Camporesi, Luca Gilli e Francesco Jodice.
Guardare bene è una possibilità che ci offre questa mostra dal titolo “Laboratorio per telescopi”.
La mostra è innanzitutto un laboratorio allegorico, in cui si può entrare per imparare a “costruire telescopi”, ad allenare cioè il nostro sguardo ad una visione più consapevole del mondo e di noi stessi. Uno sguardo capace di chiedersi non solo “Cosa sto guardando?” ma anche “Come sto guardando?” inoltre la mostra diventa anche luogo di laboratori pratici per i visitatori e per le scuole che possono utilizzare il materiale prodotto a questo scopo e lasciare le proprie tracce di pensiero sulla parete absidale della chiesa sconsacrata, contribuendo così a costruire la visione poetica dell’artista.
Le Cannibale disegna la soundtrack di questa serata.
Laboratorio per Telescopi
Testo critico di Paola Greci
Ad un primo sguardo d’insieme le immagini in mostra nello spazio BDC potrebbero volere raccontare una favola:
“C’era una volta una ragazza di carta in pericolo di vita e un titano condannato a sorreggere sulle spalle l’intero universo. In quel tempo gli esseri umani sembravano scomparsi, spazzati via da un’esplosione
nucleare o annientati dal loro desiderio sfrenato di accumulare ricchezze. In realtà vivevano nascosti in luoghi altissimi, irraggiungibili e isolati.
L’unica speranza di salvare la ragazza, liberare il titano e far tornare gli esseri umani ad abitare la terra era il ritrovamento di un tesoro nascosto nel cuore di una montagna incantata che appariva ogni tanto in mezzo al mare. Questa montagna la si poteva soltanto trovare con una mappa colorata e un telescopio speciale che alcuni ragazzini stavano segretamente fabbricando in un laboratorio.”
Ma a ben guardare, le cose non sono esattamente come sembrano.
Per fare chiarezza, cominciamo a spiegare il titolo della mostra: “Laboratorio per telescopi” rispondendo a due domande:
Cosa è un telescopio?
Il telescopio è uno strumento che, raccogliendo luce, dati e informazioni permette di studiare oggetti molto lontani consentendoci di scorgerne i particolari. E questo è esattamente ciò che Francesco Jodice fa con le sue fotografie. Mentre noi siamo dentro gli accadimenti, Jodice li osserva da lontano. Li analizza con uno sguardo globale e, al contempo, molecolare.
Cosa si fa in questo laboratorio per costruire telescopi?
Si impara a vedere in modo diverso, più consapevole. Il laboratorio per telescopi è anche questa mostra, un luogo allegorico dove possiamo entrare per acquisire nuova coscienza del nostro sguardo, con un significativo lavoro personale sulla consapevolezza della nostra visione. E di cui, se vogliamo, possiamo lasciare traccia su di un foglio da appendere sulla parete absidale di questa chiesa sconsacrata. Il laboratorio è dedicato innanzitutto ai ragazzi coprotagonisti di questo progetto: trenta studenti quattordicenni dell’Istituto Professionale Levi di Parma che trascrivono i testi di geopolitica di Jodice sul muro accanto alle sue immagini grazie ad un’azione per-formativa che dà corpo alle parole dell’artista, trasformando l’allestimento in una storia a fumetti; di
fumetti, infatti, si tratta dal momento che i testi dell’artista vicino alle immagini sono indispensabili per procedere nella narrazione. Come indispensabili sono i ragazzi perché loro hanno la mente aperta, amano i fumetti e si imbarcano in cerca di avventure. Ma appena entriamo e ci incamminiamo per scoprire le opere in mostra, ci accorgiamo ben
presto di essere costretti a lasciare la favola per entrare nella realtà, sottoposti ad un primo processo di spaesamento/svelamento che Jodice ci costringe ad affrontare. Infatti, avvicinandoci alle immagini veniamo a sapere che la ragazza di carta con una vaporosa esplosione bianca cucita sul costume è davvero in pericolo di vita perché è una delle pin up che negli anni Cinquanta accompagnavano gli ospiti vip degli hotels di Las Vegas a vedere le esplosioni nucleari nel deserto.
Poi scopriamo che la mappa colorata del tesoro, è in realtà la carta degli eliporti di San Paolo in Brasile, dove atterrano gli elicotteri-taxi per l’élite brasiliana, proiezione verticale della città orizzontale spalmata sulla superficie sottostante in cui si muove tutto il resto della popolazione. E, infine, vediamo che il gigante ripiegato sotto il peso del globo celeste è stato condannato per sempre dall’artista nel suo film Atlante a portare sulle sue spalle il declino dell’Occidente. E’ con questo primo tonfo nella realtà che anche noi visitatori incominciamo a raccattare i pezzi e ad assemblare le lenti del nostro telescopio per poterci orientare nel viaggio che ha iniziato a diventare vertiginoso poiché Jodice non si accontenta e non cerca sogni ma cerca senso.
E, scomodando Jung che diceva “Chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si sveglia”, l’artista per completare la costruzione del nostro telescopio, ci fa compiere un’altra transizione, un passo in avanti o meglio un passo in dentro, verso di noi, e sul confine crea una breccia.
Spinti fuori dalla fiaba, ci siamo appena abituati alla realtà (i grandi fallimenti delle utopie del secolo breve frantumatesi contro i suoi stessi sogni) e Jodice ci fa subito dubitare che questa realtà non sia vera, anche se esiste per davvero; perché non è la Verità che gli interessa. Ciò che davvero gli importa è accompagnare noi visitatori in un processo di decostruzione della visione e poi lasciarci lì, soli insieme alle nostre domande.
Tutto questo Jodice non lo dice ma lo insinua attraverso la sua tecnica allucinata con cui ci restituisce le sue immagini. L’ossatura di un peschereccio in mezzo ad un deserto abbacinato, i grattacieli color pastello affacciati in un paesaggio straniante…
Percepiamo qualcosa di finto, innaturale, costruito quasi come se fossimo dentro un incubo o una iperrealtà perfettamente allestita. Ci sentiamo intrappolati come tanti Truman Burbank, dentro una scena. Desiderosi di strappare il fondale su cui gli inchiostri hanno appoggiato le immagini dell’artista.
Per trovare finalmente ciò che ci sta sotto e che forse esiste per davvero.
Ma sotto non scorgiamo nulla. Ci troviamo soli, con i piedi appoggiati sulle nostre domande.
Come sopra il Cretto di Burri.
Francesco Jodice
Francesco Jodice (Napoli 1967) vive e lavora a Milano. Nel 1995, dopo la laurea in architettura, si dedica alle prime ricerche artistiche utilizzando i media della fotogra!a e del video. Nel 1999 partecipa alla costituzione del collettivo Multiplicity. Tra il 1996 e il 2004, il rapporto tra i grandi paesaggi urbani e le comunità è al centro della sua ricerca, come testimoniano i progetti What We Want, The Secret Traces e The Morocco A air. In seguito, l’attenzione di Jodice si rivolge alle diverse culture antropologiche in relazione ai nuovi fenomeni di megapolitismo. A questo periodo appartengono Hikikomori, Ritratti di classe e la trilogia di !lm Citytellers. Dal 2008 la geopolitica è al centro delle ricerche dell’artista. L’analisi della crisi del sistema Occidente porta alla realizzazione di !lm, installazioni e progetti fotogra!ci quali Atlante, American Recordings, Rivoluzioni e il più recente West. Jodice intende la pratica dell’arte come una poetica civile, i suoi processi artistici promuovono forme e modelli di partecipazione del pubblico. Esempi di questa attività sono presenti nei progetti La notte del drive-in. Milano spara, Babel e Scenario. Insegna al Biennio di Arti Visive e Studi Curatoriali e al Master in Photography and Visual Design presso NABA – Nuova Accademia di Belle Arti di Milano. Ha partecipato a esposizioni collettive quali documenta Kassel, la Biennale di Venezia, la Biennale di São Paulo, la Triennale dell’ICP di New York, la biennale di Liverpool, e la Biennale di Yinchuan. Ha esposto al Castello di Rivoli (Rivoli, Torino), alla Tate Modern (Londra) e al Prado (Madrid). Tra i suoi progetti principali l’atlante fotogra!co What We Want, un osservatorio sulle modi!cazioni del paesaggio in quanto proiezione dei desideri collettivi, l’archivio di pedinamenti urbani The Secret Traces e la trilogia di !lm sulle nuove forme di urbanesimo: Citytellers. I suoi lavori più recenti – Atlante, American Recordings, Rivoluzioni e West – esplorano i possibili scenari futuri dell’Occidente. Sue opere sono parte di numerose collezioni pubbliche italiane ed internazionali.
BDC - Bonanni Del Rio Catalog
È il progetto di Lucia Bonanni e Mauro Del Rio dedicato all’arte contemporanea.
Inaugurato ad Artefiera a Bologna nel Gennaio 2016, riunisce l’insieme delle attività e delle produzioni organizzate dalla coppia relative all’arte contemporanea: una serie in divenire di eventi, oggetti, luoghi ognuno identificato da un numero progressivo.
Il quartiere generale di BDC è BDC28, chiesa sconsacrata nel centro storico di Parma, a due passi dalla suggestiva Piazza Duomo, dove si sviluppa la più lunga ed elegante via porticata della città.
La struttura ha avuto per centinaia di anni un ruolo centrale nella vita della città di Parma e dei suoi cittadini, subendo stravolgimenti e trasformazioni in seguito alle diverse realtà storico-politiche susseguitesi. Questi elementi di fascino sono stati determinanti nella ricerca di una promozione per una nuova fruizione di questa spettacolare location, che rappresenta un inevitabile legame tra antichità e modernità. Qui nel Seicento una confraternita legata alla Chiesa di San Benedetto fondò l’oratorio di Santa Maria della Pace. Agli inizi del Novecento l’istituto religioso fu sconsacrato, quindi riconvertito a officina meccanica, e in seguito a garage, finché nel 2015 è stato recuperato e riaperto alla città di Parma con il progetto BDC.
Oggi è un centro dedicato all’arte contemporanea: fotografia, disegno, musica live, performance, incontri.