Furio Cavallini – Purgatorio. I sospesi
Opere a olio e disegni di Furio Cavallini a dieci anni dalla scomparsa.
Comunicato stampa
Saronno, nel 700° di Dante: l’Associazione Flangini, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura, inaugura Purgatorio. I sospesi, mostra di opere a olio e disegni di Furio Cavallini a 10 anni dalla sua morte. Pittore molto noto alla metà del secolo scorso, ha intensamente lavorato tra Toscana e Lombardia, realizzando numerose opere, tra cui un’interessante serie di disegni dedicati alla condizione purgatoriale dei malati mentali.
La mostra, a cura di Elisa Favilli e Cristina Renso, offre l’occasione di un “incontro” con Furio Cavallini, artista provocatorio, che già negli anni sessanta coglie le contraddizioni di un eccessivo sviluppo economico che porta all’alienazione dell’uomo e all’estenuazione fisica fino alla malattia. D’altro canto la malattia, e la condizione di isolamento che essa comporta, è un’esperienza che l’artista conosce nel 1955-56, quando viene ricoverato al sanatorio di Firenze. Anche in questa situazione di sofferenza l’artista disegna “furiosamente”: attraverso rapidi, ma intensi schizzi ritrae gli altri pazienti. “Descrive senza parole la fugacità del tempo, la bellezza dell’anima. Firenze apprezza i suoi lavori. Qui realizza una serie di mostre che premiano il suo punto di vista critico e la sua capacità di raccontare il tempo sospeso nell’immobilità di un quotidiano fatto di particolari.” (Elisa Favilli)
Come nei ritratti, anche nelle nature morte e nelle architetture (Periferia di Suzzara) si avverte un senso di abbandono, che diventa attesa nella rappresentazione della giacca, “la cui forma – come scrive Cristina Renso – sembra alludere a un ritorno, a un’assenza-presenza.”
Dalla sintonia di pensiero con lo scrittore Luciano Bianciardi e dalla loro amicizia nasce uno dei temi fondamentali della sua arte. La natura disabitata diventa un tema morale, che si contrappone alla realtà milanese contemporanea e all’ottimismo economico di quegli anni, che vedono “Un oceano di gente che quotidianamente la vive muovendosi dentro un paesaggio segnato dalla scansione delle case e dei grattacieli, da un centro che si perde dentro i nuovi quartieri e le sue numerose periferie. Qui la campagna è inesistente.” (Elisa Favilli)
A seguito di una crisi creativa, nel 1987 lascia Milano per rifugiarsi negli spazi dell’ex-manicomio di Trieste, dove trasferisce il suo studio. In neanche un anno realizza numerosi dipinti e disegni che ritraggono gli ultimi ospiti dimenticati della struttura psichiatrica ormai chiusa, “sospesi tra una vita malata e ‘la vita sana’, spettatori indifesi e inermi di esistenze altrui.” (Cristina Renso)
La mostra dedica un’intera sezione ai ritratti dei malati dell’ex-manicomio del Parco di San Giovanni di Trieste, dove i rami degli alberi diventano sbarre che li escludono dalla realtà e con essi l’artista che ne condivide l’esperienza: attraverso le finestre essi possono solo osservare il mondo e la vita che scorre poco lontano nel parco divenuto pubblico.
All’inaugurazione saranno presenti alcuni ragazzi dell’Accademia del Profondo per una breve dimostrazione del loro recente lavoro sull’Inferno di Dante e la figlia dell’artista, Giulia Cavallini, che offrirà la testimonianza della singolare esperienza vissuta dal padre nell’ex-manicomio di Trieste, dove Franco Basaglia aveva esercitato fino alla chiusura dell’ospedale.
Saranno letti alcuni testi degli scrittori Luciano Bianciardi, Carlo Cassola e Mauro Furgeri, amici di Furio Cavallini.
Biografia
Furio Cavallini è nato a Piombino (Livorno) nel 1929. É il primo di tre fratelli di una famiglia operaia che nel 1941, a causa della guerra, si trasferisce a Riparbella (Pisa), paese natale del padre, nelle colline dell’alta Maremma tra Cecina e Volterra. Lavora con il padre al taglio del bosco fino al 1945, in periodo drammatico dovuto allo scontro bellico tra le armate tedesche e americane. Nel 1946 la famiglia ritorna a Piombino e anche Furio, come il padre, va a fare l’operaio metalmeccanico nella grande industria.
La sua visione della realtà si concretizza nel bisogno di ritrarre le cose e le persone. Inizia così a frequentare saltuariamente l’Accademia delle Belle Arti di Firenze. Nel 1952 lascia la fabbrica e si trasferisce a Firenze. Nel 1953 va a vivere a Milano, frequenta l’Accademia di Brera e partecipa alla vita culturale dell’epoca.
Nel 1956 è costretto a ricoverarsi in sanatorio a Firenze per una grave crisi polmonare e contemporaneamente espone con successo le sue opere del periodo milanese. Ripresosi presto dalla malattia deve però tornare a Piombino a causa delle gravi difficoltà familiari, continuando sempre a lavorare come impiegato e a dipingere.
Nel 1960 conosce Deanna, la compagna della sua vita, con cui ha due figli; nel 1966 decide di andare a vivere con la famiglia a Firenze dove realizza mostre di successo.
Nel 1967 viene chiamato a insegnare come assistente al liceo artistico. L’insegnamento e la pittura lo assorbono completamente, ma il ricordo della metropoli lombarda lo spinge a trasferirsi di nuovo a Milano nel 1973 con la moglie e i figli, diventando titolare della cattedra di figura disegnata al Liceo Artistico di Busto Arsizio (Varese).
Nel 1977 abbandona l’insegnamento dedicandosi completamente alla pittura allestendo mostre in Italia e all’estero.
A seguito di una crisi creativa, nel 1987 lascia Milano e trasferisce il suo studio negli spazi dell’ex-manicomio di Trieste.
Nel 1997 ritorna con la moglie a Riparbella, paese della sua adolescenza. Nel 2004 si trasferisce a Cecina dove muore nel 2012.