Future Landscape in DC. A changing exhibition #2
L’iniziativa è legata alle attività di Forte Marghera-Parco del Contemporaneo, realizzate in partenariato con la Regione del Veneto, aventi il patrocinio del Comune di Venezia assessorato all’Ambiente, alla Città sostenibile e alle Politiche Giovanili, coordinate e promosse dalla Marco Polo System geie.
Comunicato stampa
Paesaggio è un concetto che usualmente compete ad un riflettere rivolto al passato. Oppure, in un’accezione più attuale, viene abbinato alle problematiche della conservazione, del ripristino e del mantenimento di luoghi. Paesaggio essenzialmente inteso come linea di difesa di contro a trasformazioni, rispetto a cui bisogna tutelarsi, che hanno un tale potenziale di modificazione e stravolgimento dell’esistente da rendere quest’ultimo irriconoscibile. E la nostra legislazione, così come quella europea, parla di ‘Tutela del paesaggio’, sottintendendo un’idea condivisa di valore riguardante appunto il cosa sia un bene da conservare, da mantenere, da curare. Senza nulla togliere a questa accezione legislativa, alla sua rilevanza e alla sua augurabile estensione applicativa, lo sguardo odierno che può essere offerto dalle arti sul paesaggio, inteso come la complessità di ciò che abbiamo intorno, non entra nel merito del valore. Si pone piuttosto il problema di una osservazione che sospende la questione del valore e lascia emergere un’altra visione del circostante. Una visione che non giudica, e non consola, aperta piuttosto ad una condizione a venire; in questo senso a quello di paesaggio è forse più accostabile il termine futuro, che non quello di passato. Una esperta di geofilosofia come Luisa Bonesio ha d’altronde parlato della necessità di emanciparsi da un concetto di paesaggio legato alla sola bellezza della natura, ai luoghi da visita turistica, e considerare piuttosto l’idea che qualsiasi luogo possa essere paesaggio.
Per questo la rappresentazione dell’intorno che viene offerta dalle arti, parte da una incisiva osservazione del ‘qui e ora’, incisiva perché emancipata dall’idea di ‘valorizzazione’, e lascia trapelare piuttosto una dimensione del non ancora, dell’indefinito, come possibili componenti di un luogo a venire (ou-topos).
L’anonimia di un borgo paesano dei nostri giorni, le rappresentazioni della waste land generata da processi produttivi particolarmente impattanti, paradossi urbanistici di un costruito privo di ogni relazione con l’ambiente, il riutilizzo di materiale di provenienza industriale, la delicata linea d’orizzonte di un mondo incerto fra lo sparire e l’apparire, le descrizioni della visione della terra percepita da altezze inusuali, un paesaggio utopico generato dopo l’avvenuta consunzione di quello presente, sospeso fra riutilizzo di manufatti eteronomi e sopravvivenze naturali.
Sono questi alcuni degli aspetti di questa seconda proposta di attraversamento del sentire odierno per reinterpretare il senso di ciò che ci circonda, una fase ulteriore che viene presentata a Taibon Agordino, dopo la prima chiusasi il 9 settembre.
L’esposizione è volutamente concepita come una struttura che si modifica, quasi come fosse un organismo che muta a seconda dei luoghi nei quali viene di volta in volta ambientata.