Gabriele Rossi – È sempre mondo
Mostra personale
Comunicato stampa
Carte d’Identità
La rassegna_ a cura di Italo Bergantini e Gianluca Marziani
Carte d’Identità in un’Europa che insegue matrici di crescita comune e condivisa.
Carte d’Identità per un’appartenenza alle radici necessarie della Nazione, dichiarando una geografia ma aprendosi al libero flusso di idee, immagini, tematiche.
Carte d’Identità per aprirsi al dialogo profondo e condividere la versione migliore del futuro, ipotizzando un contributo italiano alla cooperazione estetica per un giusto domani.
La stagione 2019-2020 di ROMBERG incrocia nove linee iconografiche tra pittura e fotografia, i due poli cartesiani di un immaginario italico che ha costruito sapienti identità del mondo con la sua umanità molteplice. Nove artisti per altrettante strategie identitarie che leggono lo stato sociale, l’apparato umano, le realtà antropologiche, il tema relazionale, la mutazione urbana e le morfologie del paesaggio.
Carte d’Identità per ragionare sui confini aperti dello sguardo, sulla mutazione come costante evolutiva, sul cambiamento e il suo equilibrio necessario, sulle possibilità di un domani oltre i confini geografici, oltre la retorica del populismo, oltre la paura della nostra ombra.
La mostra_ a cura di Lara Limongelli
Gabriele Rossi_
È sempre mondo / e giammai il vuoto, senza cosa alcuna
(Rainer Maria Rilke, Elegie duinesi - Ottava Elegia)
21 Settembre - 13 Ottobre 2019
Opening
Sabato 21 Settembre 2019
Ore 18 - 21
Gabriele Rossi, nato a Latina, porta avanti dal 2007 una ricerca fotografica acuta e rigorosa concentrandosi sul paesaggio, sul senso dei luoghi e delle relazioni che questi instaurano con la loro stessa immagine, colti nella loro natura urbana e sociale, privati da presenze umane ma carichi delle loro tracce, muri, insegne in disuso, case e forme di case, scheletri di palazzi abbandonati, mai terminati.
Una delle tappe fondamentali del suo percorso, in cui possiamo dire che il fotografo diventa autore, è ITACA: più vicino all’atlante che al libro fotografico proprio per questa precisa intenzionalità rispetto allo svuotamento dei luoghi dall’associazione a una visuale predeterminata, a una localizzazione. Quest’ultima, negata anche nella didascalia viene invece concessa in ultima istanza, proprio come l’indice analitico che si trova nelle pagine finali dei sussidiari, delle mappe geografiche, delle guide turistiche. Il riferimento a Itaca non è casuale: in questa mostra, il libro è invece che punto di approdo, punto di partenza per un nuovo viaggio. E’ dal libro che vengono scelte le fotografie che qui vivono una diversa vita, diventano le matrici di copie, diventano xerox. Da ITACA, le cui immagini sono scattate con banco ottico, Gabriele Rossi procede col sottrarre l’elemento propriamente fotografico, fino all’asciutto bianco e nero della fotocopia. Copie di copie, perché non dimentichiamo la natura intrinseca della fotografia, l’infinita riproducibilità delle immagini: eppure copie molto particolari in quanto uniche. Si potrebbe creare per loro il neologismo di Xerotipi.
Con questo progetto espositivo, Gabriele Rossi sembra coraggiosamente negare ogni valenza estetica e contemplativa a quelle che sono le sue opere, a favore di quella di immagine tecnica, tanto cara a Vilém Flusser, facendo un’operazione apparentemente concettuale e analitica, tramite una riduzione del paesaggio all’elementare forma delle cose. Eppure questa sottrazione, iniziata dai nomi dei luoghi, continuata con l’ordine alogico delle immagini rispetto a un reale itinerario di viaggio, e approdata con questa mostra alla sottrazione anche del colore ( sino al bianco e nero fotografico, anch’esso colore), riesce a restituire alle immagini – grazie a questo spaesamento sottrattivo - la loro valenza evocativa, quel “più” di indefinito che scava nell’immaginazione e che solitamente affidiamo al dipinto o a un determinato tipo di fotografia che ripropone un ideale romantico del paesaggio, non certo all’immagine tecnica. Questo spiega il titolo del progetto, il ritorno circolare all’immagine poetica, un verso di Rilke che sembra musicare più che definire queste tavole. Inizialmente è stridente, un voluto controsenso che a ben vedere dispiega davanti agli occhi la ricerca dell'autore e, senza spiegarla, ne restituisce il senso e la possibilità di ogni luogo, estraneo, conosciuto o anonimo, nella sua struttura elementare e, forse proprio per questo, infinita.