Gallizio | Rama | Merz – Lunatici e visionari

Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA DEL PONTE
Corso Moncalieri 3, Torino , Torino, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

10-12:30 - 16-19:30

Vernissage
26/05/2022

ore 18

Artisti
Mario Merz, Carol Rama, Pinot Gallizio
Generi
arte contemporanea, collettiva

Mostra di tre artisti così potentemente visionari: Pinot Gallizio, Carol Rama e Mario Merz.

Comunicato stampa

Solo in una città che sfugge alla presa come Torino, algebrica e lunatica, barocca e liberty, città «di spi-
goli e attriti, di segrete accensioni perimetrate», solo in questa seducente «maestra degli isolati» (dove
«la linea retta sfocia nell’abisso», rubando ancora al poeta Milo De Angelis) potevano sfiorarsi i desti-
ni di tre artisti così potentemente visionari: Pinot Gallizio, Carol Rama e Mario Merz.
Visionari sono innanzitutto i chimismi cromatici e le alchimie materiche dell’immaginifico Pinot
Gallizio (1902-1964), albese laureato in farmacia a Torino, personaggio genialmente febbrile ed asso -
lutamente eccentrico, autore al tempo stesso autoctono e di respiro europeo, capace di ibridare un per-
sonalissimo sperimentalismo di marca “esoterica” con le provocazioni della pittura industriale e l’im-
pegno situazionista (in mostra La quintessenza, importante tela del 1961, appare più eloquente di qual-
siasi delucidazione critica).
Non meno visionaria è La notte di Carol Rama (1918-2015), pittura trasfigurata e schoenberghiana,
presentata alla Biennale di Venezia del 1950; oltre a La notte, quadro lunatico per definizione e carico
di una spettrale tensione allucinatoria, altre due rare opere dello stesso anno ci fanno conoscere una
Carol Rama meno nota, ancora giovane eppure già matura, morbosa e anomala efflorescenza sboc-
ciata nella serra artistica di Felice Casorati, ma in quel breve frangente del secondo dopoguerra oltre-
modo attenta al dettato picassiano. Tra parentesi, il 1950 fu un anno simbolico e cruciale per Torino,
abituata – con l’inganno del suo garbo raffinato – a travolgere precocemente le esistenze dei più sen -
sibili: infatti nella notte tra il 26 e il 27 agosto, all’interno della stanza 46 dell’Hotel Roma, Cesare
Pavese (lunatico tra i lunatici) si tolse la vita con un mix di barbiturici, lasciando sul comodino un mes-
saggio d’addio vergato su una copia dei Dialoghi con Leucò , il libro-testamento uscito tre anni prima
per i tipi di Einaudi. Siamo sempre lì: Leucò, Leucotea, la Dea Bianca, Ecate... Metamorfosi lunari, che
ritornano in eterno. Ossessivamente.
A un periodo atipico e non “ortodosso”, precedente all’adesione al movimento poverista, appar -
tengono altresì i lavori di Mario Merz (1925-2003) proposti in questa densa rassegna. Si tratta di un
Merz ancora lontano da neon, igloo e serie di Fibonacci. Un Merz che ancora dipinge: autodidatta,
irregolare, barbarico, violento, antinaturalistico, allusivo. In una parola: visionario.
A Torino e in Piemonte, infine, ha trovato una sorta di patria d’elezione il giapponese Horiki
Katsutomi (1929-2021), giunto in Italia alla fine degli anni Sessanta, al quale si vuole dedicare un dove-
roso e affettuoso ricordo. Negli anni Novanta, Horiki lavorò su temi ripresi dall’Odissea, come attesta
la grande tela Ogigia IX (1998), che rivela in modo esemplare tutta l’eleganza e lo spessore della sua
sofisticata visionarietà: «Cerco un linguaggio universale», confessava Horiki, «per parlare con me
stesso e con gli altri, per capire il mio essere e fare capire come penso, quindi come sono, ad altri, per
confrontare e correggere la mia rotta. Anche a costo di fare una lunga tortuosa strada. [...] La mia vita
è la mia opera».
A R M A N D O A U D O L I