Geert Goiris – Terraforming Fantasies
Prima personale in Italia del fotografo e videomaker belga Geert Goiris (Bornem, BE, 1971. Vive e lavora ad Anversa), le cui opere sono state esposte in prestigiose istituzioni europee.
Comunicato stampa
Banca di Bologna continua il suo percorso dedicato all’arte contemporanea presentando per il quarto anno consecutivo, in concomitanza con Arte Fiera, una mostra di profilo internazionale.
Nel 2019 il Salone della Banca presso Palazzo De’ Toschi ospiterà la prima personale in Italia del fotografo e videomaker belga Geert Goiris (Bornem, BE, 1971. Vive e lavora ad Anversa), le cui opere sono state esposte in prestigiose istituzioni europee.
La mostra verrà inaugurata martedì 29 gennaio alle 18.30, e sarà inserita nel programma di ART CITY Bologna — l’iniziativa culturale promossa dal Comune e da BolognaFiere per affiancare ad Arte Fiera una selezione di progetti espositivi di alto livello.
Si rinnova inoltre la collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Bologna: gli studenti del Corso di Didattica dell’arte e mediazione culturale del patrimonio artistico accompagneranno i visitatori in mostra per tutta la durata dell’evento.
La mostra — composta da una selezione di stampe fotografiche di diverso formato, uno slide show e una video installazione multicanale — sarà presentata in un allestimento ambizioso e innovativo concepito appositamente dall’architetto Kris Kimpe, collaboratore abituale dell’artista. Il Salone sarà occupato da moduli espositivi esagonali, alcuni chiusi, altri aperti e accessibili, ognuno dei quali ospiterà sulle proprie pareti fotografie o immagini in movimento. I moduli, distribuiti in maniera irregolare, offriranno allo spettatore un’esperienza immersiva, lasciandogli al tempo stesso la libertà di scegliere il proprio percorso.
La mostra bolognese è legata alla personale di Goiris presso la Royal Academy of Fine Arts di Anversa, in programma tra novembre e dicembre 2018. L’artista ha lavorato ai due progetti parallelamente, dando vita a due percorsi speculari le cui opere in gran parte coincidono — ma che risultano completamente diversi nell’allestimento, sottolineando le peculiarità dei due spazi.
Il titolo della mostra, tratto dalla videoinstallazione inclusa in essa, è Terraforming Fantasies (“Fantasie di terraformazione”). Il termine ‘terraformazione’, di creazione recente, viene usato per lo più nel contesto di speculazioni sul futuro dell’umanità, e si riferisce alla possibilità di rendere simili alla Terra, e dunque abitabili per gli esseri umani, pianeti diversi dal nostro alterandone chimicamente l’atmosfera. Si tratta di un’ipotesi che a oggi risulta fantascientifica, e la cui tacita premessa non è difficile da indovinare: l’ambizione di colonizzare altri pianeti rivela una profonda inquietudine circa il futuro del nostro, su cui incombe la minacciato di una catastrofe ecologica. Spiega Goiris: “È fuorviante pensare alla “terraformazione” a questo stadio. In sé e per sé è un concetto interessante, ma manchiamo assolutamente della tecnologia e delle risorse (per non parlare dell’etica) per realizzarlo. Sognarlo, comunque, è profondamente umano: ambizioso, e allo stesso tempo tragicamente lontano dalla realtà”. L’allestimento stesso della mostra è legato questo tema: “La scenografia porta nello spazio una costellazione di oggetti estranei. L’intervento è, in una certa misura, inadatto, una forma di colonizzazione. Il mio intento (e la mia speranza) è che parli anche di caratteristiche umane come la meraviglia, la curiosità, la perplessità, eccetera. Scegliendo accuratamente le immagini e presentandole in un’accurata scenografia, miro a immergere lo spettatore in un mondo parallelo, una realtà prossima alla nostra ma che non coincide esattamente con essa”.
Pur senza escludere gli interni e la figura umana, la ricerca fotografica e video di Geert Goiris si concentra soprattutto sul paesaggio. Sia che catturi nelle sue immagini siti ai confini del mondo (dall’Antartide al deserto vulcanico di Dancali, in Etiopia), sia che si concentri su luoghi familiari, Goiris li fa apparire sospesi ed enigmatici, come se appartenessero a un altro pianeta. Un risultato che è frutto di scelte tecniche e stilistiche precise: l’artista si serve principalmente di una macchina fotografica di grande formato, su cui monta pellicole speciali (ortocromatiche, per riprese aeree, a infrarossi). Gli scatti hanno luogo soprattutto durante le ore del tramonto, nell’ora incerta in cui la luce inizia a declinare e lascia posto all’oscurità. Il metodo di lavoro è una combinazione di preparazione e casualità: Goiris adopera la camera con la precisione di un consumato professionista, ma durante il lungo tempo di esposizione che predilige può accadere potenzialmente qualunque cosa. Il modo in cui la pellicola trasformerà il soggetto inquadrato in un’immagine rimane, in una certa misura, imprevedibile. La macchina fotografica non è mai un mero tramite attraverso il quale possiamo entrare in connessione visiva con il mondo esterno, ma uno strumento per esplorare la differenza fra la nostra “esperienza” di esso e l’atto di vederlo per ciò che è. Come il filosofo e fotografo francese Jean Baudrillard, Goiris sembra aver compreso che la macchina fotografica è dalla parte del mondo, e ci offre uno spiraglio su come esso appare quando è spogliato di ogni proiezione o interferenza umana. Nelle immagini dell’artista il sentimento ambiguo e inquietante che, a partire dal Settecento, ha preso il nome di “Sublime” sorge non tanto dalla vastità terrificante dei siti, o da un disastro che crediamo di veder incombere su di essi: è il risultato della sensazione distinta di essere tagliati fuori da ogni autentica connessione con il mondo.
Geert Goiris è nato nel 1971 a Bornem, in Belgio. Tra gli spazi istituzionali che hanno ospitato sue mostre personali ricordiamo: FOAM, Amsterdam; FRAC Normandie, Rouen; Museum M., Leuven (BE); Hamburger Kunsthalle, Amburgo; CAB, Burgos (SP); Kunstforum, Basilea; Le Credac, Ivry-sur-Seine (F).
Il suo lavoro inoltre è stato presentato a Manifesta 5, San Sebastian, e in istituzioni internazionali quali Boijmans Van Beuningen Museum, Rotterdam; Wiels Contemporary Art Center, Bruxelles; Palais de Tokyo, Parigi; Nouveau Musée National de Monaco, Monte Carlo; Museum of Contemporary Photography, Chicago; Centre Pompidou, Metz; Jeu de Paume, Parigi; Museo de Arte Contemporaneo, Santiago de Chile; FRAC Bourgogne; Casino Luxembourg; Gallery of Modern art, Brisbane.
È inoltre docente presso la Royal Academy of Arts di Anversa, ed è stato visiting lecturer presso la Rietveld Academy di Amsterdam, l’Ecole Nationale Supérieure de la Photographie di Arles, la Fachhochschule di Bielefeld (Germania), la Ladislav Sutnar faculty of design and art di Plzeň, il CEPV di Vevey (CH), e la ERG di Bruxelles.
Banca di Bologna, partner della mostra, è una realtà molto legata alla città di Bologna, al territorio bolognese e ai centri della provincia. Le sue numerose iniziative di mecenatismo contemplano gli interventi per la riqualificazione e il restauro di Piazza Galvani, per i restauri dell’Oratorio dei Fiorentini e delle porte monumentali di Bologna, per il recupero e la riqualificazione di piazza Minghetti, per la ristrutturazione di Palazzo De’ Toschi. A questi si aggiungono i lavori per il restauro della Basilica di San Petronio e della Cappella dell’Arcangelo Michele, con il noto affresco di Calvaert.
Palazzo De’ Toschi, edificio storico nel pieno centro cittadino inaugurato a inizi ‘900 su progetto di Antonio Sarti è nato con nome e funzione di Palazzo delle Poste. Per le caratteristiche costruttive, in particolare la struttura in cemento armato, interessò Le Corbusier, che lo vide durante il suo viaggio in Italia del 1907 e ne scrisse nella sua corrispondenza. Il Palazzo è stato acquistato nel 2007 da Banca di Bologna e riaperto al pubblico nel 2013 come luogo di iniziative culturali, formative, espositive. Fra queste, ricordiamo un ciclo di conferenze dedicate al tema del rapporto fra arte e cibo attraverso i secoli, tenute da importanti critici e studiosi, organizzato da Banca di Bologna in occasione di Expo 2015; la mostra fotografica L’industria bolognese, un DNA riconosciuto, realizzata in collaborazione con Collezioni Alinari e forte di immagini in gran parte inedite; e il ciclo di mostre curate da Simone Menegoi in occasione di Arte Fiera, aperto dalla collettiva LA CAMERA. Sulla materialità della fotografia (2016), e proseguito in seguito con le mostre personali di Peter Buggenhout (2017), e di Erin Shirreff (2018).