Gehard Demetz – Introjection
Gehard Demetz (Bolzano, 1972) utilizza come materiale esclusivo della sua scultura il legno, a cui ha saputo dare nel corso degli anni una devianza contemporanea, uno scarto dalla regola e dalla funzionalità artigianale.
Comunicato stampa
Dal 23 giugno al 10 settembre 2017 si svolge al MACRO la mostra Introjection di Gehard Demetz, a cura di Marco Tonelli, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, e realizzata in collaborazione con la Galleria Rubin di Milano.
Gehard Demetz (Bolzano, 1972) utilizza come materiale esclusivo della sua scultura il legno, a cui ha saputo dare nel corso degli anni una devianza contemporanea, uno scarto dalla regola e dalla funzionalità artigianale. Dando l’impressione, oltre che di scolpire, anche di comporre le opere attraverso assemblaggi di blocchetti di legno, Demetz introduce nelle sue sculture effetti di sfasamenti cromatici, distorsioni, allungamenti, anamorfosi, accorciamenti dimensionali, favoriti dall’uso di iconografie religiose, infantili, architettoniche, archetipiche, che conservano senso della memoria e della storia per dargli una nuova veste in chiave profondamente psicologica.
La sua mostra “Introjection” si ispira quasi esclusivamente a tematiche legate a iconografie sacre sia livello liturgico (tabernacoli) che architettonico (chiese) o devozionale (Maria Vergine e Sacro cuore), a cui fanno da contrappunto immagini profane e dissacratorie (Hitler e Mao) e laiche (fienili della Val Gardena), in cui a predominare è la dissonanza, la dissolvenza, la metamorfosi tra condizione infantile e adulta, tra predestinazione e maledizione.
Il progetto espositivo che si presenta al MACRO offre molteplici spunti per indagare le possibilità di una tecnica atavica (parte integrante della formazione “tedesca” e comunque nordica di Gehard Demetz) che si mette in ascolto di pressioni e drammi contemporanei (si veda il rilievo assemblativo di tipiche e dozzinali figurine da presepe, raggruppate come fossero un’unica massa indistinta, quella di immigranti stipati su barconi), una tecnica che esalta l’aspetto squisitamente materico della scultura, levigato e reso più morbido dal modo stesso di trattare le superfici di legno, spesso dipinte a creare stacchi inattesi tra materia e immagine, facendo della scultura una immagine oltre che un oggetto. Un progetto quindi di ricerca in bilico tra memoria, devozione, simbologia e tradizione, unitamente a una immediatezza e istantaneità comunicativa che è tipica della contemporaneità dei nostri linguaggi più avanzati.