Gentileschi: due capolavori a confronto
I Musei Reali presentano una nuova mostra dossier che mira ad ampliare l’esperienza culturale dei visitatori e a potenziare le relazioni con altre istituzioni.
Comunicato stampa
Nell’ambito dei progetti di collaborazione con musei italiani e stranieri, i Musei Reali ospitano al primo piano della Galleria Sabauda, dal 7 settembre al 12 dicembre 2021, l’opera di Orazio Gentileschi Santa Cecilia che suona la spinetta e un angelo, in prestito dalla Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia. L’evento offre una straordinaria opportunità di un confronto diretto con l’Annunciazione, capolavoro dello stesso artista, celebre seguace di Caravaggio, custodito dai Musei Reali.
Questa iniziativa, in linea con il Piano Strategico triennale dei Musei Reali presentato lo scorso giugno, punta a consolidare e ad ampliare l’esperienza culturale del complesso museale attraverso nuove narrazioni delle collezioni, un percorso iniziato nel 2016 che ha portato il pubblico a scoprire capolavori di Sandro Botticelli, Giovanni Boldini, Antoon Van Dyck e Cerano esposti nello Spazio Confronti della Galleria Sabauda. La pinacoteca, già arricchita nel 2018 con due acquisizioni di Carol Rama e Carlo Mollino, è stata inoltre in parte riallestita in occasione di questa nuova mostra dossier, in particolare in riferimento al settore dedicato ai pittori Caravaggeschi e ai Maestri lombardi di primo Seicento.
La collaborazione con la Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia, dopo la presenza del San Giovanni Battista di Caravaggio delle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma, pone ancora una volta l’accento sul filone dedicato ai grandi artisti influenzati dal Merisi e consolida un altro obiettivo dei Musei Reali: il potenziamento delle relazioni con altri musei e istituzioni nazionali, con la prospettiva di costruire una rete virtuosa che accentui e valorizzi le ricchezze di ciascuna realtà.
Il confronto tra queste due opere di Orazio Gentileschi, uno dei pittori più acclamati a cavallo tra Cinquecento e Seicento, permette di accostarsi al suo metodo di lavoro, che consiste nel riutilizzo di cartoni o di lucidi per comporre singole figure o intere scene. Il volto di Santa Cecilia che suona la spinetta e un angelo, dipinto tra il 1615 e 1620 e proveniente dal monastero di San Francesco al Borgo di Todi dove fu ritrovato nel 1973, ritorna con attitudine simile in quello della Vergine nell’Annunciazione di Torino, donata dallo stesso artista al duca Carlo Emanuele I di Savoia nel 1623 e oggi esposta nella Galleria Sabauda.
Nella prima opera Cecilia, aristocratica romana che si convertì al cristianesimo e subì il martirio per decapitazione intorno al 230 d.C., ha il capo coronato di fiori, simbolo di castità, e sfiora con le dita la tastiera di una spinetta, accompagnando con la musica il tacito canto di preghiera, ispirato dalle note dello spartito offertole da un angelo. L’esistenza di un unico modello figurativo, reinterpretato con lievi varianti, è evidente dalla comparazione con l’Annunciazione. Una lettera inviata insieme al dono rivela la consapevolezza di Gentileschi dell’altissima qualità dell’opera e il suo desiderio di accattivarsi i favori del duca per essere chiamato al servizio della corte torinese, sottolineato anche dalla scelta del soggetto, un vero e proprio omaggio ai Savoia, che si erano fregiati dell’ordine cavalleresco dell’Annunziata.
Nella tela di Perugia le figure emergono dall’oscurità, investite da una luce che esalta la definizione del disegno e accende i valori cromatici della veste rossa di Cecilia, della sua candida camicia e della tunica ocra dell’angelo; la regia si fa invece più complessa nella tela torinese, dove il chiarore naturale della luce divina penetra nella stanza, svelando i dettagli dell’ambiente domestico. Nella scelta compositiva, nel sapiente uso della luce e nell’utilizzo di una gamma cromatica elaborata e preziosa, Gentileschi riesce a coniugare con grande abilità l’impostazione arcaica, derivata dalla tradizione quattrocentesca fiorentina, con le novità del realismo caravaggesco e della lezione fiamminga, da Rubens a van Dyck.
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ORAZIO LOMI GENTILESCHI
Pisa 1563 – Londra 1639
Orazio Gentileschi è tra i più valenti pittori attivi a cavallo tra Cinquecento e Seicento. La straordinaria qualità delle sue opere, che traducono il naturalismo caravaggesco in un linguaggio personale e coinvolgente, è caratterizzata da forme nitide e aggraziate, da un disegno elegante e sicuro di matrice toscana, da tinte preziose e cangianti, da effetti di luce chiara e trasparente.
Nato a Pisa nel luglio del 1563 in una famiglia di artisti di origine fiorentina, si trasferisce giovanissimo a Roma presso uno zio materno, del quale assume il cognome Gentileschi. Fondamentale per la sua evoluzione stilistica è l’incontro con Caravaggio, di cui diventa amico e del quale condivide la rivoluzionaria poetica, offrendone però una versione misurata e addolcita, benché sempre attenta ad attualizzare i soggetti religiosi attraverso modelli, costumi e ambientazioni tratte dalla realtà quotidiana.
A Roma, nel primo decennio del secolo, Orazio realizza una magnifica serie di pale d’altare, pitture da cavalletto e dipinti murali per autorevoli esponenti dell’alta società romana, dal banchiere Settimio Olgiati al cardinale Scipione Borghese, dal principe Paolo Savelli a papa Paolo V. Negli anni successivi compie ripetuti viaggi nelle Marche, in particolare a Fabriano, mentre nel 1621 viene invitato a Genova dal ricco patrizio Giovanni Antonio Sauli e da qui nel 1623 invia in dono a Carlo Emanuele I di Savoia la straordinaria Annunciazione della Galleria Sabauda, con il proposito, non andato però a buon fine, di trasferirsi presso la corte torinese con la quale aveva già intessuto precedenti rapporti.
Dopo l’agosto del 1624 Orazio si reca a Parigi presso Maria de’ Medici, regina madre di Francia, per lavorare alla decorazione del Palais du Luxembourg. Successivamente si trasferisce a Londra al seguito di George Villiers, primo duca di Buckingham, e nella capitale britannica Gentileschi sviluppa la sua ricerca figurativa in direzione di forme espressive di gusto classicista sempre più sontuose e ricercate, incontrando i favori della corte inglese, alla quale resterà legato fino alla morte, avvenuta il 7 febbraio 1639.