Ghitta Carell – E il potere del ritratto
Una retrospettiva dedicata alla celebre ritrattista Ghitta Carell (1899-1972), a cura di Diego Mormorio – affiancato da un comitato scientifico composto da: Ottavio Celestino, Flavio Misciattelli, Stefano Palumbo e Marcello Smarrelli – con oltre 150 fotografie che restituiscono la testimonianza della storia di un’epoca attraverso i suoi protagonisti, dagli Anni Trenta agli Anni Cinquanta.
Comunicato stampa
Fotografava solo 'il meglio': aristocratiche con figli e cani aristocratici, poeti, scrittrici, dive intellettuali, generali, gerarchi, membri di case regnanti. Fotografava solo gente bellissima o che lei riusciva a rendere bellissima: le sue donne sembravano sempre regine inavvicinabili eppure dolcissime, i suoi uomini forti intelligenti, dominatori. È naturale che Ghitta Carell fosse, soprattutto negli Anni Trenta italiani, la fotografa di moda, la ritrattista più ricercata.
Natalia Aspesi
La Fondazione Pastificio Cerere presenta, da giovedì 18 aprile a venerdì 17 maggio 2013, un’ampia retrospettiva dedicata alla celebre ritrattista Ghitta Carell (1899-1972), a cura di Diego Mormorio - affiancato da un comitato scientifico composto da: Ottavio Celestino, Flavio Misciattelli, Stefano Palumbo e Marcello Smarrelli - con oltre 150 fotografie che restituiscono la testimonianza della storia di un’epoca attraverso i suoi protagonisti, dagli Anni Trenta agli Anni Cinquanta.
La mostra, voluta e sostenuta da Elsa Peretti Presidente delle Fondazioni Nando e Elsa Peretti, in collaborazione con la Fondazione 3M, vuole contribuire a riconsiderare la figura di Ghitta Carell all’interno della vitalità della fotografia italiana – e più in generale della cultura – affrontando, da una parte il tema del ritratto come questione fondamentale nella storia della rappresentazione visiva e come punto nodale dell’arte moderna, e dall’altra esaminando la produzione dell’artista all’interno degli sviluppi socio-antropologici dell’Italia del periodo in cui ha operato.
L’ARTISTA
Nata nel 1899 nell’Ungheria del nord-est, Ghitta Carell impara la tecnica fotografica a Budapest, in un corso di fotografia per “signorine”. Subito dopo inizia a visitare lo studio del fotografo Szekelu Aladair, autore di libri cui collaborano personaggi come lo scrittore Hugó Veigelsberg, detto Ignotus, il poeta Endre Ady e il musicista Béla Bartok. A partire dai personaggi che frequentavano lo studio di Aladair, la Carell comincia a prendere familiarità con l’ambiente intellettuale della capitale ungherese. Animata da questi stimoli, prosegue la sua formazione fotografica a Vienna e Lipsia, per approdare nel 1924 a Firenze, dove frequenta l’ambiente mitteleuropeo che si ritrovava a Fiesole in casa dello scultore Mark Vedres – seguace di Rodin e poi vicino alle posizioni del cubismo e del costruttivismo – e della moglie Matild, storica dell’arte. La casa dei Vedres non era però solo luogo d’incontro di personaggi proveniente dalla Mitteleuropa, ma anche di talenti come quello del musicista Luigi Dalla Piccola, dello scrittore Alberto Carocci, dello scultore Marino Marini e dello storico dell’arte Bernard Berenson.
Dopo il periodo fiorentino, Ghitta Carell si trasferisce a Milano, dove ben presto diventa una fotografa molto apprezzata, soprattutto dai personaggi dell’alta finanza e dell’aristocrazia. A lanciarla è la foto di un bambino vestito da Balilla, scattata nel 1926, e scelta per un manifesto di propaganda. La foto tappezza i muri di tutta la nazione e da quel momento ha inizio l’ascesa verso la grande notorietà. La sua fama raggiunge facilmente la media borghesia, che comincia a considerare le fotografie di Ghitta Carell come una prova di affermazione sociale. Nel vivo del culto di Roma, si trasferisce nella Capitale, vicino a Piazza del Popolo, riuscendo a conquistare tutti quelli che contano: Edda e Costanzo Ciano, Benito Mussolini, Alberto Savino, Giovanni Papini, Alba De Cespede, Pio XII, i Gonzaga, i Diaz, i Borghese, i Cicogna, i Visconti, i Colonna, ecc. Diceva di Mussolini: “Io l’ho conosciuto bene e l’ho osservato per giorni dietro la scrivania nella sala del Mappamondo. Era così vanitoso che potevo fare per ore quello che volevo”.
Donna colta e intelligente è stata spesso definita come l’interprete del mondo del potere e le sue immagini più famose, tutte scattate negli Anni Trenta in piena era fascista, sembrerebbero confermarlo. In realtà ritrae anche persone comuni.
Le leggi razziali promulgate nel 1938 non le causano problemi, ma il regime le chiede di non mettersi troppo in mostra. Con la fine della guerra torna l’antica fama e tutto il gotha democristiano (da Giulio Andreotti a Giuseppe Saragat, da Giovanni Gronchi ad Alcide De Gasperi) posa sotto le lampade di questa fotografa, che nel 1959 diviene cittadina italiana. Ma è anche amica e fotografa di scrittori come Cesare Pavese, attrici come Valentina Cortese, giornalisti come Camilla Cederna e personaggi come Walt Disney.
Si allontana dall'Italia in sordina e sceglie di trasferirsi ad Haifa, in Israele, dove muore nel 1972.
Il nome di Ghitta Carell è noto a molti, ma la sua figura e la sua opera restano pesantemente gravate da luoghi comuni ed equivoci interpretativi.
LA MOSTRA
Tutto il successo di Ghitta Carell veniva dalla composizione e dall’evanescenza delle sue fotografie che diventano segno inconfondibile dei suoi ritratti. Era una grande esperta del ritocco che consisteva nel lavorare con delicatezza le lastre per togliere ombre, durezze, vuoti, restituendo così ai personaggi un’aria meno torva per i fascisti e più seducente per le dame dell’alta società.
Nonostante l’avanzamento tecnologico che proveniva dall’America, Ghitta Carell continuava a fotografare a suo modo - quello che aveva imparato durante il corso giovanile di fotografia a Budapest - usando il bianco e nero, con una macchina a lastre nel formato 18x24 e più raramente una Rolleiflex 6x6.
La mostra vuole riscoprire l’opera di quest’artista attraverso un gruppo di 15 fotografie originali e di 140 immagini, quasi tutte stampate appositamente per l’occasione e presentate per nuclei tematici: la nobiltà, il clero, gli imprenditori, la piccola-media borghesia, gli intellettuali, gli uomini politici, la famiglia, la gente comune.
Inoltre, sarà in mostra la proiezione video di tutto il corpus fotografico della Carell e alcune riviste dell’epoca che riportano dei suoi ritratti.
La mostra si svilupperà in un percorso che si snoda all’interno del Pastificio Cerere occupando i luoghi più suggestivi dell’ex edificio industriale: le fotografie originali saranno esposte nel silos del grano, oggi spazio espositivo della Fondazione Pastificio Cerere, i personaggi ecclesiastici nella Galleria Pino Casagrande, i soggetti femminili al ristorante Pastificio San Lorenzo e il corpus restante delle opere, numericamente il più consistente, presso lo Spazio Cerere. L’esposizione costituisce una nuova occasione per sperimentare in maniera diversa, le potenzialità e la forza del Pastificio Cerere come contenitore per l’arte contemproanea, dimostratosi in grado di funzionare sia nelle singole unità degli spazi che lo compongono, sia nel suo insieme, com’era avvenuto nella celebre mostra Ateliers del 1984, curata da Achille Bonito Oliva. Il desiderio di impegnarsi in un progetto così importante incentrato sulla fotografia, corrisponde allo storico rapporto che il Pastificio ha instaurato con questo medium, iniziato negli anni ’70 con la straordinaria presenza di Francesca Woodman che proprio tra le mura dell’ex edificio industriale, circondata dagli amici artisti della Nuova Scuola Romana, maturava le sue ispirazioni, trovando qui le ambientazioni più adatte ai suoi scatti più celebri.
IL CATALOGO
In occasione della mostra Ghitta Carell e il potere del ritratto sarà pubblicato un catalogo trilingue (italiano, inglese e spagnolo) con un saggio introduttivo di Diego Mormorio e un ampio apparato iconografico incentrato in particolare sulla storia della ritrattistica.