Giancarla Frare – Il Castello di Apice. Mappa del Labirinto

Informazioni Evento

Luogo
BIBLIOTECA VALLICELLIANA
Piazza Della Chiesa Nuova 18, Roma, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

lunedì, martedì e venerdì ore 10,30-13,30
mercoledì ore 15,00-18,00
giovedì ore 11,00-14,00 / 15,00-18,00

Vernissage
19/12/2019

ore 17

Biglietti

ingresso libero

Artisti
Giancarla Frare
Curatori
Flavio Ermini
Uffici stampa
SCARLETT MATASSI
Generi
arte contemporanea, personale

Una mostra dedicata al più recente lavoro di Giancarla Frare.

Comunicato stampa

GIANCARLA FRARE
IL CASTELLO DI APICE. MAPPA DEL LABIRINTO
OPERA/0020

a cura di
Flavio Ermini

Esposizione:
19 dicembre 2019 - 20 gennaio 2020

Inaugurazione:
giovedì 19 dicembre 2019 ore 17.00-19,00
Intervengono insieme all’artista
Daniela Fonti, Paola Paesano, Rosa Pierno
Letture di Sandra Toffolatti

Biblioteca Vallicelliana
Piazza della Chiesa Nuova, 18 – 00186 Roma

Orario di ingresso:
lunedì, martedì e venerdì ore 10,30-13,30
mercoledì ore 15,00-18,00
giovedì ore 11,00-14,00 / 15,00-18,00
Ingresso libero

Info:
www.vallicelliana.it
+39 06 68802671
+39 345 0825223

Ufficio stampa:
Scarlett Matassi - +39 345 0825223 - [email protected]
Raffaele Aufiero e Anna Villa - [email protected]

Si inaugura giovedì 19 dicembre a Roma, all’interno dei magnifici spazi dell’antica Biblioteca Vallicelliana, una mostra dedicata al più recente lavoro di Giancarla Frare, “Il Castello di Apice. Mappa del Labirinto”, un articolato compendio che - avvalendosi della collaborazione di un poeta, Flavio Ermini, e di un musicista, Massimo Pradella – mette in campo due testi letterari, una piccola composizione musicale, cinquanta opere su carta, un video girato in soggettiva dall’artista con il semplice ausilio di cellulare e IPad e poi ibridato in sede di montaggio con l’innesto di disegni e frammenti fotografici. L’opera è l’ultimo capitolo di una lunga ricerca dedicata alla mappatura della memoria, questa volta individuale, giacché lo spunto creativo viene suggerito da un favoloso ricordo infantile.

“Ho vissuto cinque anni, tutta la mia infanzia in un recinto antico, dove convivevano tante funzioni e persone”. Il recinto antico al centro del racconto che, nel 2015, ha valso a Giancarla Frare uno dei riconoscimenti annualmente assegnati dal premio letterario Lorenzo Montano, è il Castello dell’Ettore ad Apice, in prossimità di Benevento. Nome tra i più significativi della grafica italiana, ma anche pittrice, fotografa e poetessa, la versatile artista ha tratto da quell’omaggio letterario a un’infanzia incantata la sua opera più recente, articolata in un contesto “che è, insieme, pittorico, grafico, verbale, fotografico e videografico”. La voce narrante del lavoro non è quella di un critico d’arte, ma di un poeta, Flavio Ermini, autore di un saggio che, come perfetto contrappunto poetico e filosofico alle immagini messe in campo da Frare, si fonde con esse, divenendo uno degli elementi costitutivi del ciclo Il Castello di Apice. Mappa del labirinto. Ermini è anche il curatore della mostra che presenterà per la prima volta al pubblico il complesso compendio: oltre ai testi letterari della pittrice e dal poeta, cinquanta chine e pigmenti naturali su carta, un video e la colonna sonora che lo accompagna, composta da Massimo Pradella. Quattro anni di lavoro (2015-2019), perché Giancarla Frare dedica periodi “non di mesi, ma di anni” a realizzare impegnativi progetti sempre concepiti come variazioni del grande tema attorno al quale la sua ricerca dall’origine si dipana: la conservazione della memoria attraverso la mappatura di ciò che si vuole sottrarre all’oblio.

La mappa questa volta redatta dalla cartografa della memoria è quella del labirinto di pietra che ha ospitato la sua fanciullezza, il Castello dell’Ettore, fortezza normanna dell’VIII secolo posta a guardia della riarsa valle del fiume Calore, nella regione del Sannio, in cui il padre dell’artista, capo della guardia forestale, occupava con la sua famiglia un alloggio di servizio. All’interno degli imponenti bastioni che ancora conservavano due delle quattro originarie torri di guardia e un intricato gomitolo di sotterranei e gallerie, si svolgeva la vita di una piccola comunità costituita da quattro famiglie – quella del proprietario, del suo fattore, del maresciallo dei carabinieri e dei Frare – e da sei monache, responsabili dell’asilo destinato a ospitare ogni giorno, oltre ai piccoli abitanti della rocca, i bambini di Apice, il centro abitato più vicino, espressione di un mondo esterno del tutto sconosciuto alla piccola reclusa del castello. Non che la cosa la turbasse, visto che nel magico recinto di pietra la fantasia era libera di spaziare in una illimitata dimensione sottratta ai vincoli dello spazio e del tempo, un territorio vasto e meraviglioso in cui la norma era giocare un giorno con i prosaici compagni del villaggio e l’altro con il ragazzo Manfredi, figlio di Federico II, che da quel luogo ci era passato e rimasto, a chiacchierare, come la bambina faceva, con il gallo e gli altri volatili o con i cavalli del fattore, a spiare i lombrichi colorati e gelatinosi che abitavano, con altre mostruose creature, i buchi e le tane occhieggianti dagli antichi muri.

Avverte Flavio Ermini che lo spirito richiesto per accostarsi all’opera labirintica e carpirne i significati più segreti è quello della bambina: solo chi saprà imitarla, abbandonandosi agli imprevisti percorsi fuor di logica imposti dal luogo, ai mille incontri, sorprendenti e inaspettati, con le presenze che lo popolano, capirà che il castello è “luogo del caos primigenio, della confusione magmatica delle origini” che consente di ritrovarsi “fuori dal tempo cronologico, all’inizio assoluto, nell’instabile culla aurorale della fanciullezza”. Solo la fiduciosa erranza all’interno di quell’inesplorato territorio di confine consentirà la scoperta del sé come “soggetto caotico e sconnesso nel quale le contraddizioni si incontrano, si accavallano e incessantemente si mescolano senza mai risolversi” E da quella scoperta non sarà atterrito perché è tra la molteplicità delle contraddizioni che si può sperare di arrivare all’essenza delle cose, all’epifania dell’inveduto.

Quell’epifania che Giancarla Frare, la bambina del castello divenuta adulta, ha continuato a cercare nella sua arte all’apparenza scabra e minimale eppure densa di contenuto, sempre protesa a mettere in campo contrasti per analizzarne le rivelatrici dinamiche. Un’arte originale e diversa, che costituisce una ventata di unicità nel troppo spesso omologato panorama dell’arte contemporanea, propenso però più di quanto non si creda a premiare il coraggio di una ricerca autentica, svolta all’insegna dell’anticonformismo. Prova ne sia la costante attenzione che la migliore critica italiana ha dagli esordi riservato ai suoi lavori, esposti in oltre duecento mostre in Italia, Europa, America, Medio ed Estremo Oriente e acquisiti da importanti collezioni permanenti di musei pubblici e fondazioni private non solo italiane, giacché il suo nome ha acquistato negli anni una risonanza internazionale.
Tra le più significative:
Graphishe Sammlung Albertina, Vienna; Museo del Castello Sforzesco, Milano; Museo di Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato; Istituto Centrale per La Grafica, Roma; Museo di Ca’ Pesaro, Venezia; Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia; Portland Art Museum, USA; Musei Civici di Bassano del Grappa, Museo Remondini; Museu Do Douro, Portogallo; Fondazione Umberto Mastroianni, Arpino; Galleria degli Uffizi Firenze; Museo della Grafica, Palazzo Lanfranchi, Pisa