Gianfranco Ferroni – Prima e dopo la Biennale del ‘68
Oltre cento opere per una mostra che traccia un’esauriente sintesi dell’arte del pittore livornese dalla metà degli anni Cinquanta fino alla morte.
Comunicato stampa
Anno 1968: spartiacque fra due epoche e momento di svolta nella storia personale e artistica di uno dei più validi pittori italiani del secondo Novecento. È il punto focale della mostra “Gianfranco Ferroni: Prima e dopo la Biennale del ‘68 - Tutto sta per compiersi”, a cura di Nadia Marchioni, dall’8 luglio al 16 settembre a Palazzo Mediceo di Seravezza patrimonio mondiale Unesco. Una ricorrenza di portata storica che si fa occasione per un lungo e originale viaggio nella cultura d’Italia pre e post Contestazione attraverso le esperienze, il segno, la sensibilità e le sperimentazioni di un artista assolutamente fuori dagli schemi. Per la Versilia stessa un’opportunità per uscire dai ranghi di una collaudata tradizione espositiva trasformando in ribalta della modernità una delle dimore storiche più affascinanti della riviera, la cinquecentesca villa fatta costruire da Cosimo I de’ Medici ai piedi delle Alpi Apuane. Oltre cento opere per una mostra – patrocinata dalla Regione Toscana – che traccia un’esauriente sintesi dell’arte del pittore livornese dalla metà degli anni Cinquanta fino alla morte. Oltre ai dipinti, in esposizione anche alcuni scatti fotografici inediti di Ferroni, testimonianza della sua ricerca – funzionale ma anche parallela alla pittura – attraverso l’obiettivo. L’artista è presentato in catalogo da Vittorio Sgarbi. Gianfranco Ferroni (Livorno 1927 - Bergamo 2001) è stato oggetto negli ultimi anni di un’attenta e giustificata riscoperta, con esposizioni prestigiose a lui dedicate nel 2007 a Palazzo Reale di Milano e nel 2015 a Firenze nella sala delle Reali Poste degli Uffizi. La curatrice Nadia Marchioni – affiancata da un comitato scientifico presieduto da Carlo Sisi e composto da Arialdo Ceribelli, Andrea Tenerini e Marco Vallora – pone in evidenza a Seravezza il momento di svolta nella vita e nell’arte di Ferroni, coincidente con il 1968, anno della nota Biennale veneziana “della contestazione” ma anche inizio del suo prolungato soggiorno in Versilia. «Ferroni si era trasferito a Milano nel secondo dopoguerra, dove ventenne aveva iniziato a vivere pienamente il dibattito artistico e politico-culturale che animava la città», spiega la curatrice. «Il suo crescente coinvolgimento ideologico raggiunse il culmine in modo eclatante proprio in occasione della Biennale del ‘68. Nella sala personale a lui dedicata Ferroni portò all’estremo la protesta condivisa con altri artisti esponendo le proprie opere rivolte verso la parete per l’intera durata della manifestazione. In quello stesso anno abbandonò Milano per rifugiarsi a Viareggio, quasi alla ricerca di un più appartato luogo di riflessione sulle vicende di quegli anni. Dopo un periodo di crisi creativa la sua opera tornò poi ad assumere quel carattere “autobiografico” che già la caratterizzava nel periodo del realismo esistenziale milanese degli anni Cinquanta e in cui egli affermò di riconoscersi maggiormente». Il percorso espositivo si articola in dieci sezioni, partendo dagli anni in cui Gianfranco Ferroni frequenta l’ambiente artistico-letterario del Bar Giamaica, nei pressi dell’Accademia di Brera. Anni di “solitudini, fame, scioperi, cinema, letture, jazz, partite a bocce e flipper” e di una concezione “esistenzialista” dell’arte. Poi lo choc per i fatti d’Ungheria, l’uscita dal Partito Comunista, la morte della madre (soltanto due anni dopo quella del padre) e l’apertura verso nuovi orizzonti figurativi che lo portano ad analizzare la realtà con una nuova intenzione formale, “non prescindendo dalla concreta apparenza delle cose”. Poi: dalle opere dei primi anni Sessanta – che segnano un nuovo cambiamento, verso una “maggiore politicizzazione” del suo lavoro – al conseguente impegno sociale di Ferroni, in empatia con i fatti e i palpiti della sua epoca. Al centro di questo cammino la speciale sezione dedicata alla Biennale del ‘68, con alcune delle più significative opere del pittore livornese, come il dipinto di denuncia Tutto sta per compiersi, carico di aspirazioni che lui definirà poi “amaramente disattese”. In questa sezione anche le riproduzioni fotografiche in grande formato provenienti dall’Archivio Ugo Mulas che ritraggono i manifestanti in piazza San Marco nei giorni della Biennale. E ancora: la crisi creativa dei primi anni Settanta e quella sorta di esilio volontario a Viareggio, condividendo lo studio con Sandro Luporini, storico collaboratore di Giorgio Gaber; il ritorno alla pittura in chiave sempre più intimistica, a “indagare il piccolo, prosaico mondo” che lo circonda; l’esperienza della Metacosa; i lavori degli ultimi anni in cui l’indagine sulla realtà, “che si riduce a pura essenza luminosa, è perseguita anche attraverso una raffinata sperimentazione fotografica, giungendo, nei diversi media, a risultati di inedita suggestione presentati assieme nella sezione finale della mostra”. Il catalogo edito da Bandecchi&Vivaldi (grafica di Enrico Costalli), con una presentazione di Vittorio Sgarbi, raccoglie i contributi di Nadia Marchioni, Giacomo Giossi, Marco Vallora e Andrea Zucchinali.
Comitato scientifico e di Consulenza: Carlo Sisi (presidente); Arialdo Ceribelli; Andrea Tenerini
Marco Vallora. Cover: Gianfranco Ferroni, Rifiuti (1964; olio su tela, 52x47 cm; collezione privata)