Gianluca Capozzi – Il Giardino Reciso
Con la personale Il Giardino Reciso, Gianluca Capozzi (1973, Avellino) torna a Torino, presso la galleria metroquadro, con una nuova costellazione di opere artistiche, assemblate in dialogo e sotto la cura di Andris Brinkmanis (1978, Riga).
Comunicato stampa
La piazza che dava sul porto – questo è forse il modo migliore di esprimere la cosa – era come una tavolozza sulla quale la mia fantasia mescolava le cose in via sperimentale; irresponsabilmente, se si vuole, eppure proprio nel modo in cui un grande pittore guarda alla sua tavolozza come a uno strumento.
/W. Benjamin, Verbale di esperimento con l’hashish, «29 settembre 1928. Sabato, Marsiglia»/
Con la personale Il Giardino Reciso, Gianluca Capozzi (1973, Avellino) torna a Torino, presso la galleria metroquadro, con una nuova costellazione di opere artistiche, assemblate in dialogo e sotto la cura di Andris Brinkmanis (1978, Riga). Il titolo, liberamente ispirato da una poesia tarda di Jim Morrison, incisa anche in un disco postumo, con l’accompagnamento strumentale della sua band, qui assume un significato più connotato.
Capozzi, partendo dalla sua ricerca sulla psichedelia, tema che lo interessa da anni, e ispirandosi al pensiero magico sudamericano, quello orientale e alle nuove scoperte della fisica quantistica, costruisce degli universi pittorici complessi e ben articolati, anche se non immediatamente decifrabili.
Partendo dall’osservazione e dalla decostruzione, della presunta oggettività del pensiero logico razionale, Gianluca Capozzi, attraverso il suo intervento artistico, mette in atto una sorta di decomposizione del reale e del visibile. Sovrapponendo più registri visuali e temporali, l’artista, ci proietta verso la parte più profonda della realtà, per la conoscenza della quale, seguendo la logica del buddhismo e di altre culture esoteriche di suo interesse, abbiamo già tutti gli strumenti innati, ma ai quali non sappiamo più accedere, che non sappiamo più usare. Non percepiamo altro che un’opacità costitutiva insuperabile. Restiamo rinchiusi in un autistico dominio del nostro Ego, dell’individualismo sproporzionato, della neotenia cronica, delle politiche identitarie, delle ideologie del piacere, della memoria e del pensiero - e tutto ciò ci porta allo sviluppo di una serie di atteggiamenti distruttivi nei confronti di noi stessi, delle altre forme di vita e dell’ambiente in generale.
Lo sgretolarsi della percezione del reale, che vediamo in alcune opere esposte, appunto, deriva non soltanto dalle sue riflessioni teoriche, ma anche da esperienze con dei stati di coscienza espansa attraverso profonda meditazione e altre pratiche, seguendo quali è possibile accedere a più sottili piani della realtà, per vedere come la nostra vita quotidiana in fondo non è altro che una sorta di teatro d’ombre cinesi. Una proiezione, come nella caverna descritta dallo stesso Platone. Mille veli ci offuscano la vista, dai quali non sappiamo più liberarci. La nostra memoria raccogliendo varie impronte, traumi, ferite, piaceri, emozioni in un vasto assieme, costruisce quel che definiamo come l’“Io”, che poi viene ulteriormente condizionato da fattori sociali e politici. Questo, inoltre diventa quasi l’unico strumento attraverso il quale navighiamo e leggiamo la realtà. Così, apprendiamo l’appartenenza a una definita lingua, stato, nazione, sesso etc. e ci teniamo a questo costrutto fino alla nostra scomparsa.
Come invece propone Capozzi: “Le nuove scoperte della fisica quantistica ci mostrano come la realtà non sia ciò che forma la coscienza, ma come invece sia la coscienza a formare la realtà. Come viviamo in una sorta di rete entangled (intrecciata) di potenzialità. Il mondo quantico appare classico, non per la natura macroscopica degli apparati di misura, ma perché noi, in quanto osservatori, facciamo parte del mondo che osserviamo. L’osservatore in qualche modo è l’osservato. Per capire questo pensiero complesso una delle proposte sarebbe quella di usare il metodo chiamato de-coerenza”.
La pittura, qui, non a caso risulta ancora il mezzo più efficace per poter rappresentare e rendere comprensibili fenomeni di tale complessità e ricchezza, in quanto questi rimangono fuori dalla portata degli attuali mezzi tecnologici e dalla nostra logica storica lineare.
Qual è dunque il Giardino di cui parla la mostra? Se per Morrison il giardino con i fiori recisi era quello simile a un cimitero, per Capozzi forse significa esattamente l’opposto, poiché resta pregno di una possibile rifioritura. Anche se attualmente reciso seguendo i canoni estetici, sociali e politici dominanti, questo Giardino può rifiorire selvaggiamente, appena lasciato intatto o incondizionato per un certo periodo di tempo.
Non è dunque l’ebbrezza il fenomeno che affascina l’artista, ma l’espandersi della coscienza come una sorta di mezzo per poter trovare delle modalità di una nuova consapevolezza, quale ci può permettere di attraversare quel “rumore visivo” al quale siamo continuamente sottoposti. Così al risveglio, forse, l’opacità del capitalismo contemporaneo, può apparire meno densa, permettendo di vedere chiaramente i meccanismi del suo funzionamento e lasciando la possibilità di allontanarsi da essi e dalla sua ideologia come un unico mondo possibile, trovandone alternative che non appartengono a quella retorica.