Gianluca Caputi – Wunde(r)kammer
Il progetto si propone di creare un’esperienza visiva che conduca per mano i nostri sensi addormentati, e che“massaggiando” il muscolo atrofizzato della sensibilità a tutto ciò che è bello, fragile, in pericolo di oblio, getti un ponte fatto di memoria fra una morte già stata ed una vita che deve ancora venire
Comunicato stampa
Il progetto si propone di creare un’esperienza visiva che conduca per mano i nostri sensi addormentati, e che“massaggiando” il muscolo atrofizzato della sensibilità a tutto ciò che è bello, fragile, in pericolo di oblio, getti un ponte fatto di memoria fra una morte già stata ed una vita che deve ancora venire*.
Il titolo della mostra è giocato sull’ambiguità fra la parola tedesca WUNDE (FERITA) e la parola WUNDER (MERAVIGLIA). WUNDERKAMMER, letteralmente “CAMERA DELLE MERAVIGLIE” è un’espressione appartenente alla lingua tedesca, usata per indicare particolari ambienti in cui dal XVI al XVIII secolo, i collezionisti erano soliti conservare raccolte di rari oggetti straordinari per le loro caratteristiche intrinseche ed estrinseche.
WUNDE(r)KAMMER trasforma la “CAMERA DELLE MERAVIGLIE” in “CAMERA DELLA FERITA”. La ferita è quella inferta ogni giorno alla bellezza, che non è quella provocata dagli sfregi che l’artista fa sull’opera appena finita, ma quella portata dalla disillusione, dall’inadeguatezza, dall’indifferenza alla grande bellezza italiana alla quale tutti noi sembriamo diventati estranei .
In WUNDE(r)KAMMER va in scena la struggente nostalgia di ogni paradiso perduto. La bellezza si percepisce come eco di un ordine smarrito, perfezione infranta per sempre, nostalgia di un equilibrio armonico intaccato dal disturbo schizofrenico del tempo contemporaneo.
I dipinti sono copie o ispirazioni tratte da opere dello sconfinato patrimonio della pittura del 5/6/700’. Sono “paesaggi di cose perdute” che ci guardano nonostante la nostra pigra indifferenza, e sui quali Gianluca Caputi opera uno straordinario spiazzamento destinato a disorientare lo spettatore. Sul dipinto finito l’artista comincia un lavoro di cancellazione che comporta l’abrasione, l’apertura di un passaggio negli strati pittorici superficiali, lembi di “pelle”che una volta accartocciati, o ripiegati su se stessi lasciano scoperta la carne viva dell’opera.
L’azione, che è solo apparentemente vandalica perché, se anche è frutto di un gesto violento e rapido è non di meno lentamente pianificata, si manifesta lasciando affiorare la trama complessa delle stratificazioni successive e la materia pittorica del fondo. A questo l’artista alterna o a volte unisce l’intervento del “writer” che sovrascrive sul quadro mediante stencil e vernice spray facendo del quadro un “muro virtuale”dove lasciare il proprio messaggio. Cartoline da un inferno domestico che schizza quelli che a prima vista sembrano brandelli di colorate e dissacranti offese ma che sono invece urla silenziose, che sottoforma di una simbologia spesso tratta dall’iconografia sacra, assurgono a potenti richieste d’attenzione e salvaguardia della memoria del nostro passato. Un “SOUVENIR D’ITALIE”, il ritratto di un “Bel Paese” che non c’è piu’.
L’opera si arricchisce di quelli che l’artista chiama “disturbi creativi”. Narrazioni estese e significati cristallizzati in simboli ed icone convivono magicamente sospesi in uno spesso equilibrio fra forze opposte. Lo sfregamento di tempi eterogenei da vita all’immagine dialettica. Il contrasto fra l’opera e la sua negazione, che normalmente si manifesta attraverso il gesto nichilista della furia iconoclasta del vandalo che con la vernice spray sfregia o peggio cancella in parte il dipinto, viene finalmente superato e l’Adesso condanna il Già-stato ad una sopravvivenza nuova, contemporanea e magmatica.
Nell’opera Alluminazione ad esempio, l’immagine, copia di un quadro del passato , si schiude improvvisamente di fronte a noi: i bordi della banda centrale “stillano” e “sanguinano” pittura in seguito al procedimento di abrasione e strappo della materia pittorica dal supporto in alluminio. Ma come dice W. Benjamin, per quanto l’apparizione possa essere vicina, è proprio una lontananza che d’improvviso fa irruzione in essa. Il non dipinto, il lembo informe, l’indefinito. In questo senso, esso ci pone allo stesso livello di una specie di dialettica del luogo: il freddo del metallo e della vernice spray con il calore dei colori ad olio, il caldo lontano del soggetto bidimensionale barocco ed il freddo vicino del concettuale tridimensionale materico, davanti con dentro, tattile con ottico, apparente con scomparente, aperto con chiuso, svuotato con saturo, forma definita e lembo informe.
*Citazioni tratte da opere di Georges Didi Huberman, W. Benjamin.