Gianluca Menegon – Fugiens
La mostra tratta dell’eredità del gesto, del senso grafico e della composizione astratta ed informale: il nero lentamente si deposita a terra, come la polvere, ed investe tutto ciò che è attorno.
Comunicato stampa
Basement Project Room inaugura la nuova stagione espositiva con la personale Fugiens di Gianluca Menegon. La mostra tratta dell'eredità del gesto, del senso grafico e della composizione astratta ed informale: il nero lentamente si deposita a terra, come la polvere, ed investe tutto ciò che è attorno.
Incantati dalla luce diffusa e spessa, affascinati da una sensibilità molto sottile, dall'evocazione di figure come fantasmi di una memoria felice, si rischia di essere in qualche modo fuorviati dalle apparenze, e forse neppure dalle apparenze ma dalla nostra abitudine visiva. Una approfondita osservazione rivela come emerga, attraverso rapide e a volte rudimentali sferzate, un interesse sostanziale nella fluidità e nella gestione del segno: il risultato, efficace, è una composizione di fraseggi di aree semplificate, la combinazione di un segno vigoroso e una sovrastruttura spigolosa che a volte si ammorbidisce in movimenti circolari e quasi sospesi. Il gesto diventa strumento per cercare, strappare ed evocare quella memoria sommersa, intima e non estinta che è sedimentata nell'inconscio di tutti: questi attimi, che rivivono nel ricordo, si manifestano sotto forma di piccoli fughe, momenti musicali (fugiens in latino significa "in fuga") che disvelano la realtà di un tempo passato e felicemente rivissuto. Il distacco è netto e poeticamente dicotomico proprio nella sferzata che il nero infligge al bianco, secondo i toni freddi delle visioni oniriche.
Un segno ed un lirismo inequivocabili.
Si tratta, dunque, di ripercorrere a ritroso il processo di elaborazione di un ricordo o di un sogno e di scardinare il pensiero razionale e logico proprio del linguaggio convenzionale.
Probabilmente il pulviscolo nero crea una fitta trama intricata di linee armoniose che producono un vorticoso brulicare, melodie molto dense e addirittura cromatiche laddove il cromatismo è quasi nullo. Gesti composti meticolosamente e con l'attenzione di un miniaturista, lunghe pause di suite musicali si rincorrono sulla carta, stessi codici che si ripetono, ogni vuoto ed ogni pieno si prestano ad essere caricati di senso. La ricerca di una forma definita riesce difficile, ancor più se le intensità dei neri sono diverse; non sarebbe giusto definire queste tracce inseparabili dalla biografia dell'artista: difatti, ritornano alla mente i canoni primitivi inseriti in una sorta di archeologia contemporanea, mappe e resti primitivi, sezioni geologiche di terreno che si innestano nella creazione di un mondo astratto dove si cela sempre una consapevolezza rituale e comunicativa all'interno della superficie bianca dove esiste e coabita un'armonia formale.
I segni sono di quelli che si fanno nella piena consapevolezza del minimo gesto, ed ogni accrescimento o decurtazione ad essa equivalgono all'apertura di una porta che mostra un nuovo sentiero.