Gianni Cestari – Mutante
Il fantastico diventa una forma di conoscenza. La narrazione di una metamorfosi, l’uscita da una condizione esistenziale complessa attraverso la forma liberatoria del segno.
Comunicato stampa
Nec sic innumeros arcu mutante colores Incipiens redimitur hiems, cum tramite flexo Semita discretis interviret umida nimbis.
Claudiano, De raptu Proserpinae, II, 98-100
Questa nuova personale di Gianni Cestari è una affascinante dichiarazione di poetica del fantastico. Ancora una volta è la narrazione di una metamorfosi: quella del sogno di uscire da una condizione esistenziale complessa attraverso la forma liberatoria del segno. Il fantastico diventa una forma di conoscenza. Le sue figurazioni sono animate dall'interno, fanno esplodere ogni crisalide che invano le contenga e costringa assurdamente la loro energia incontenibile. L'occhio dello spettatore è continuamente invitato, sollecitato a sovrapporre le percezioni, a cercare il significato del movimento nelle figure e nel gesto stesso della mano dell'artista che disegna e dipinge le sue rappresentazioni. È la messa in scena di una logica dinamica: l'essere è movimento. Il corpo diventa l'unico materiale generatore di forme multiple.
Negli intricati labirinti del corpo dimorano, infatti, le forme di una realtà continuamente mutante e desiderante il mutamento. Cestari declina un inventario infinito di uno spazio grafico e narrativo. Davanti ai nostri occhi si apre un mondo nuovo in cui vanno insieme disegno e poesia. Eppure il nostro artista, nella generazione di forme multiple, mette in crisi gli universi figurativi tradizionali e porta allo scoperto della visione una modalità continuamente oscillante tra il realismo e il favoloso.
La tensione che Cestari realizza tra questi due universi, del sensibile e del figurativo, è di un grande equilibrio, pieno di fascino e di capacità di escludere ogni antropomorfismo. Quello che lo interessa veramente è la forza che anima i frammenti “del vivente”, di ogni essere vivente. Ogni creatura del suo “bestiario” è animata da una ritmica del corpo che rivendica alla fine l'aspetto poetico del mondo. Essere nella percezione della visione e della narrazione non garantisce però, ad ogni presenza evocata, la certezza di pervenire, con lo stesso statuto, alla fine del suo percorso.
Gianni Cerioli
(né così si adorna il giovane inverno quando l'arco in cielo/ screzia l'iridata corona e con curva linea/ un umido sentiero verdeggia tra le spezzate nubi. Traduzione di Franco Serpa)