Gianni Clerici – Collages
Una biografia tutta da scoprire raccoglie i collage piu’ surreali dell’artista. Il ricavato delle opere esposte sara’ devoluto all’Associazione contro le leucemie, linfoma e melanoma di Parma.
Comunicato stampa
Se hai tutto per essere un mito per quello che appari e se continui ad essere osservato per quello che fai all'interno di un mondo, quello della moda, dove continua ad essere prevalente il lato estetico ed edonistico, e, se poi, sei guardato magari con invidia per le frequentazioni “importanti” che tutto questo comporta, può capitare col tempo che molto di tutto quello che hai fatto possa essere reinterpretato in modo molto diverso.
Questo mi pare si possa perfettamente adattare a Clerici che, nato casualmente a Genova, per gli spostamenti di sua madre nota bellissima soubrette prima di Wanda Osiris poi di Macario, ma parmigiano per sempre, anche se come molti parmigiani ”celebri” tanto amano Parma, ma preferiscono starsene altrove, presenta una biografia dove indubbiamente, al di là del contesto mondano e apparentemente superficiale, domina una valenza di eccezionale creatività e di amore per l'arte con una predominanza, come vedremo, non casuale per il Surrealismo e la Pop Art.
Ma prima di occuparci di questo, che riguarda soprattutto la sorpresa che ci ha lasciato con i suoi strabilianti collages, e che riscopriamo grazie all'attenzione della moglie Maria Luisa, ripercorriamo le tappe fondamentali della sua vita, decisamente non comune, attraverso un'intervista che, poco dopo il suo rientro nel parmense, concesse alla Gazzetta di Parma.
Il suo racconto si snoda partendo dal rapporto anomalo col padre Italo Clerici noto attore dialettale di Parma, conosciuto all'età di sei anni, ma che con la sua simpatia e affettuosità lo avevano conquistato per sempre, rendendolo felice di trasferirsi da Soragna, dove viveva con una zia, a Parma.
In città inizia una vita regolare, il diploma al liceo classico Romagnosi, l'iscrizione a Giurisprudenza che non lo porta alla laurea per la morte prematura del padre. Da questo momento in poi Gianni deve darsi da fare e inizia lavorando nell'azienda di profumi Morris, ma uno spirito inquieto e forse la consapevolezza delle proprie potenzialità espressive e creative, lo spingono a lasciare Parma per tentare la carriera cinematografica con La bella di Lodi, di Missiroli, soggetto di Arbasino, con Stefania Sandrelli, ma sia per il fallimento della casa di produzione la Titanus che, forse, per l'intuizione che quella non era proprio la sua vocazione, si trasferisce a Milano cercando di coniugare creatività e business nel settore della moda, e fa centro!
Diventa “il miglior camiciaio del mondo”, le sue creazioni sono di seta estrosissime e raffinate allo stesso tempo, con un' innegabile vena Pop, con disegni che associano fiori al finto pelo, dallo zebrato al leopardo più kitch, e ciò che è unico è che lui le crea, le produce, e le indossa con quel suo charme innato e viene fotografato sulle riviste di moda più importanti come Vogue, Esquire, Bazaar.
Questi capi, che sono originalissimi, ma che interpretano perfettamente anche lo spirito degli anni settanta, vengono esportati in tutto il mondo e indossati da personaggi come i Beatles, i Rolling Stones, ma anche da Gianni Agnelli e teste coronate, insomma fanno di Gianni Clerici un personaggio cult.
Poi, alla fine degli anni ottanta, viene il momento dell'apertura di un famoso ristorante a Milano anche questo immediatamente alla moda, lo Stendhal, guarda caso arredato da Pier Luigi Pizzi e inaugurato con la presenza di molti personaggi del mondo della cultura tra le quali Horowitz, ancora una volta il “mondanissimo” Clerici stupisce per quel suo coniugare, tutto speciale, un' apparente frivolezza con un desiderio vero di esprimersi in modo colto e raffinato anche in contesti non espressamente intellettuali.
E quello che abbiamo scoperto solo di recente, è che durante tutto questo suo movimento senza soste negli ambienti del jet set internazionale, osservava con spirito acutissimo e critico e annotava in un modo inaspettato e originale tutto quanto viveva direttamente o vedeva intorno a sé in un contesto più ampio.
Quello che Maria Luisa Clerici ha mostrato a me e Mauro Davoli sono due album il primo della fine degli anni ottanta, il secondo degli ultimi anni della sua vita, che ci hanno decisamente impressionato per diversi aspetti; non solo per il senso ironico e il sottile humour che li pervadono, ma anche, e in questo Davoli, da grande fotografo quale’è, è espertissimo, per l'equilibrio compositivo che domina queste immagini apparentemente affastellate di figure coloratissime e caratterizzate da un horror vacui a volte quasi insostenibile.
La tecnica, come già detto, è quella del collages, dove il materiale usato per essere pazientemente ritagliato sono solo riviste a colori, della più svariata provenienza, da quelle di attualità politica, di moda, di gossip e altre, tutto materiale che Clerici assembla liberamente e incolla, senza mai intervenire direttamente, con correzioni pittoriche, sfondi colorati o altro.
Ovviamente la matrice culturale di questo lavoro è la Pop Art, intesa non come arte popolare ma di massa, basata sulla “mitologia del banale”, che nata in Gran Bretagna alla fine degli anni cinquanta, si sviluppa soprattutto negli USA negli anni sessanta e che come ci appare nelle opere dei notissimi Warhol, Lichtenstein, Oldenburg, rende protagonisti i prodotti di largo consumo, gli oggetti di uso comune, personaggi del cinema e della televisione, immagini dei cartelloni pubblicitari, insegne, foto di giornali.
Anche in Italia questa tendenza ha avuto un ampio seguito con artisti come Schifano, Pistoletto, non a caso, ambedue presenti in collezione di Gianni Clerici, e Rotella; soprattutto quest'ultimo, per l'uso della tecnica del collages, appare il più vicino alle composizioni di Clerici, anche se mi sembra del tutto evidente che non ci sia stato nessun tipo di emulazione, tanto le immagini di Clerici appaiono il frutto del tutto spontaneo, anche se sempre colto e consapevole, di un libero sfogo di fantasia compositiva, humour e spirito critico, ma tanto al di là del mero fatto politico da diventare una sorta meditazione sulla volgarità umana, un Satyricon dei nostri tempi dove una Bindi che appare qui e là e un Berlusconi Trimalcione inquietante, quasi onnipresente, non ti fanno mai chiedere: ma Clerici da che parte sta? Perché è troppo evidente, lui non può stare in nessun luogo dove impera tutta questa orribile, insostenibile volgarità priva di etica d'ogni genere.
Detto questo, esaminando con attenzione le varie immagini quello che veramente emerge, come del resto anche nel Satyricon di Fellini, che Clerici deve avere amato molto, è la componente surrealista, dal sapore spesso onirico, che risulta prepotentemente dall'insieme di diversi oggetti e personaggi rappresentati, che appartengono a contesti ed epoche diverse, assemblati senza seguire nessun nesso razionale.
Volti di donne bellissime associate a scheletri, a pappagalli e persino a Papa Woytila con aggrappato al petto un delizioso panda grigio, ma anche mutazioni deliranti di teste di personaggi famosi trasferite su esili corpi sexy o viceversa donne celebri che si mutano in grottesche figure maschili palestrate. Il lato surreale domina su tutto con grande forza espressiva spesso accentuata da una carica erotica che emerge anche dalle pagine più satiriche.
Mai casuale risulta essere anche la sapiente scelta dei vari volti in funzione delle loro espressioni che di volta in volta, fanno prevalere o stridenti dissonanze o sottili legami di compiaciuta connivenza all'insegna di un potere che si è fatto tanto più forte quanto inaccettabilmente incolto.
Ogni tanto in questo insostenibile bailame affiora il dolore, come in una composizione dove un bambino africano denutrito è posto al margine di una pagina dove imperano fette di salame, teste di cavalli e una donna abbigliata in modo quasi sado-maso, testimone di una riflessione più profonda e sofferta sul significato dell'esistenza.
Sarebbero tante le curiosissime rappresentazioni da commentare, ma si è lasciata alla competenza esemplare di Mauro Davoli la scelta e la stampa fotografica di un centinaio di opere, che certo potranno aver perso la preziosità dell'originale ma avranno il valore aggiunto di tutta la sua sensibilità artistica e perizia tecnica.