Gino Romiti – La Beata Riva
Ideata secondo un percorso monografico e tematico, comprende oltre 80 opere, dedicate a Gino Romiti (Livorno, 5 maggio 1881 – Livorno, 19 settembre 1967) e al cenacolo divisionista e simbolista formatosi nella Livorno tra il primo e il secondo decennio del XX secolo.
Comunicato stampa
Sarà inaugura mercoledì 5 ottobre, ore 17.30 presso Fondazione Livorno (Piazza Grande, 23 - Livorno) e giovedì 6 ottobre, ore 17.30, presso la Pinacoteca Comunale Carlo Servolini (via Umberto I, n. 63 - Collesalvetti) la mostra La Beata Riva. Gino Romiti e lo spiritualismo a Livorno. Protagonisti e Cenacoli tra la Scuola di Guglielmo Micheli, il Caffè Bardi e Bottega d’Arte, promossa da Fondazione Livorno, Fondazione Livorno - Arte e Cultura e Comune di Collesalvetti e curata da Francesca Cagianelli.
Ideata secondo un percorso monografico e tematico, comprende oltre 80 opere, dedicate a Gino Romiti (Livorno, 5 maggio 1881 - Livorno, 19 settembre 1967) e al cenacolo divisionista e simbolista formatosi nella Livorno tra il primo e il secondo decennio del XX secolo. La mostra intende ripercorrere l’evoluzione stilistica dell’artista livornese maturata grazie all’incontro con il belga Charles Doudelet e alla devozione tributata fin dal 1906 a Vittore Grubicy De Dragon, sullo sfondo dell’ondata spiritualistica che travolge i circuiti artistici cittadini, tra la Scuola di Micheli, il Caffè Bardi e Bottega d’Arte.
GINO ROMITI E LA BOHÈME LIVORNESE AL TEMPO DI ENRICO CAVACCHIOLI
In una Livorno attraversata dai miti dannunziani e dalle teorie estetiche di Angelo Conti, oltre che dall’eco horror dei racconti fantastici di Edgar Allan Poe filtrata dalle traduzioni firmate da Charles Baudelaire, fondi marini e antichi giardini diventano teatri di visioni spirituali, come confermano le sirene fluttuanti tra la flora e la fauna degli abissi vagheggiati da Gino Romiti, così come i suoi parchi e angoli d’orto si trasformano in misteriosi labirinti dove resta possibile intraprendere un percorso iniziatico.
Sono proprio alcune testimonianze pittoriche e grafiche emerse dalla perlustrazione dell’Archivio Romiti ad aver consentito l’indagine approfondita di un capitolo completamente inedito nell’ambito della pluriennale carriera stilistica di Gino Romiti, quello cioè riconducibile al sodalizio instauratosi nella Livorno primonovecentesca intorno alla carismatica personalità del letterato ragusano Enrico Cavacchioli (Pozzallo, 15 marzo 1885 – Milano, 4 gennaio 1954), sorta di “dandy perduto fra la bohème”, di estrazione dannunziana – così come lo definisce lo scrittore e artista livornese Gino Mazzanti in un raro e significativo articolo apparso sulle pagine di “Rivista di Livorno” del 1955.
Attraverso l’epistolario conservato nei Fondi Grubicy-Benvenuti del MART di Rovereto e nel Fondo Natali del Museo Civico G. Fattori di Livorno riemergono, sullo sfondo di un rapporto dialettico e di una conversazione a tratti intima e quasi colloquiale, ma sempre intimamente partecipata, le vicende di una collaborazione ancora sconosciuta al grande pubblico, così come alla storiografia letteraria e artistica nazionale, tra Enrico Cavacchioli e alcuni dei protagonisti della bohème livornese, all’epoca non ancora confluita nelle sale del mitico Caffè Bardi, ma semplicemente aggregata in “studi-stamberga”, animati da polemiche e ambizioni destinate a decollare in epoca successiva. Sono in particolare Romiti e Renato Natali a interloquire con il letterato siciliano, ma ad essi si aggiungeranno Benvenuto Benvenuti, Corrado Michelozzi e Umberto Fioravanti, tutti protesi ad ascoltare da quest’ultimo la recitazione dei versi dannunziani.
IL 160° DALLA NASCITA DI GABRIELE D’ANNUNZIO. PRIMI SCENARI DEL VATE AL CAFFÈ BARDI
Proprio nella ricorrenza del 160° dalla nascita di Gabriele d’Annunzio ((Pescara, 12 marzo 1863 – Gardone Riviera, 1 marzo 1938), la mostra La Beata Riva. Gino Romiti e lo spiritualismo a Livorno. Protagonisti e Cenacoli tra la Scuola di Guglielmo Micheli, il Caffè Bardi e Bottega d’Arte, costituisce un’occasione unica per assaporare una stagione culturale estremamente importante per la Livorno primonovecentesca, quella cioè afferente alla diffusione del verbo di Gabriele d’Annunzio e dell’estetica dello scrittore e filosofo Angelo Conti (Roma, 21 giugno 1860 – Napoli, 8 luglio 1930), cui non fu estraneo neppure Carlo Servolini.
L’approdo trionfale del vate, “sbarcato di carrozza con un salto a piè pari” in città nel 1906, descritto in termini pittoreschi da Gastone Razzaguta nelle sue Virtù degli Artisti Labronici (Livorno 1943), in occasione del successo tributato alla rappresentazione livornese di Più che l’amore, costituisce un’anticipazione quasi cinematografica rispetto alla diffusione dell’opera letteraria dannunziana tra i protagonisti del Caffè Bardi, indagata in catalogo grazie al prezioso supporto di un raro ma emblematico volume firmato dallo scrittore livornese Gustavo Pierotti Della Sanguigna nel 1911, ma pubblicato nel 1913, tra le pagine del quale il pannello realizzato da Gino Romiti per i locali del Caffè Bardi, raffigurante una Venere, assurge a vessillo del sodalizio cittadino, ma soprattutto incarna un ideale artistico e letterario addirittura trionfante nella Livorno del secondo decennio del Novecento, quello cioè dell’universo mitologico riportato in auge nella prosa e nella poesia di Gabriele d’Annunzio.
UNA MOSTRA SU DUE SEDI E IN CINQUE SEZIONI
La complessità e la vastità del percorso espositivo di questa innovativa mostra sono contemplate nell’articolazione del catalogo e della mostra in cinque sezioni, di cui le prime due, dedicate rispettivamente al credo estetico e alla maturità artistica di Gino Romiti, Il credo artistico di Gino Romiti dalla lezione di Guglielmo Micheli al verbo di Vittore Grubicy De Dragon (I sezione) e La gioia infinita: verso l’Eterna melodia (II sezione), sono state allestite presso la sede di Fondazione Livorno e attestano la parabola stilistica dell’artista, formatosi nell’ambito della multiforme e aggiornata compagine della Scuola di Micheli e convertitosi tra il 1902 e il 1904 al divisionismo di Giovanni Segantini e Giuseppe Pellizza da Volpedo, come testimoniano alcuni bozzetti di cartoline inedite confezionate per l’amico Adriano Baracchini Caputi, riprodotte per la prima volta nel catalogo della mostra.
Perno ideale di tali sezioni diventa quindi il capolavoro del 1921, Plenilunio velato, conservato presso Fondazione Livorno, concepito un anno dopo la morte di Vittore Grubicy e la pubblicazione dell’appassionato articolo intitolato a quest’ultimo sulle pagine del Telegrafo: presentata dall’artista alla II Mostra d’Arte del Gruppo Labronico del 1921, l’opera fu subito inquadrata da Gino Cipriani come la più rappresentativa di quella “soavità melodica” che d’ora in avanti contraddistinguerà il filone principale del paesaggismo romitiano.
Le tre successive sezioni, rispettivamente, Sulle ali delle chimere. Gino Romiti nella Livorno di Enrico Cavacchioli (III sezione), Il Volto dell’Azzurro. Protagonisti e Cenacoli sulla riva del Tirreno tra la scuola di Micheli, il Caffè Bardi e Bottega d’Arte (IV sezione) e Seduzioni e incantesimi di carta. Il mito fatale della Sirena nella grafica del Simbolismo e Art Nouveau (V sezione), sono invece visitabili presso la Pinacoteca Comunale Carlo Servolini e costituiscono un affondo sulla produzione simbolista di Romiti, finora scarsamente indagata dalla critica dell’epoca e rimasta assolutamente in sottordine rispetto all’infinita sequenza di paesaggi e marine realizzate anche in epoca successiva, ma riconducibile al serbatoio internazionale dell’iconografia della Sirena, da Arnold Böcklin a Franz von Stuck.
Grazie, infatti, alla collaborazione di Fondazione Livorno e Fondazione Livorno – Arte e Cultura, promotori della mostra al fianco del Comune di Collesalvetti, è stato possibile duplicare le sedi, amplificando ulteriormente, rispetto agli anni precedenti, le strategie di un prezioso legame istituzionale che ha consentito in quest’occasione di estendere il raggio dell’indagine scientifica oltre i confini del nostro territorio, approdando in ambito internazionale.
IL ROMITI MAI VISTO
Notissimo in ambito cittadino, oltre che in sede nazionale, per la sua produzione paesaggistica e marinistica, ricondotta dalla critica coeva quando alla tradizione macchiaiola, quando invece al moderato aggiornamento luminoso in voga nella Scuola di Micheli, quando infine alla lezione dei protagonisti del divisionismo italiano da Giuseppe Pellizza da Volpedo a Vittore Grubicy De Dragon, Gino Romiti rivive in questa mostra con una nuova identità culturale e artistica.
Recuperate dall’Archivio Romiti e presentate in quest’occasione per la prima volta, alcune opere mai viste sanciscono infatti la novità sorprendente di un’operazione critica che punta a ricollocare l’artista in un panorama storiografico nazionale e internazionale.
Sono soprattutto due illustrazioni concepite dal livornese tra il 1904 e il 1906 per la raccolta poetica L’Incubo Velato di Enrico Cavacchioli (Milano, Edizioni di Poesia 1906), recensito da Filippo Tommaso Marinetti sulle pagine di “Poesia”, ovvero un bozzetto per la copertina del volume e un’illustrazione per la poesia La Febbre, entrambe drammatizzate da un armamentario lugubre e addirittura horror in parte debitore alla serie grafica di Odilon Redon eseguita per i Racconti di Edgar Allan Poe, a costituire una delle più significative testimonianze dell’adesione alla temperie artistica e letteraria dannunziana, sottesa alle illustrazioni dell’Isaotta Guttadauro, edita nel 1886 e subito celebrata da Angelo Conti, che sulle pagine de “La Tribuna” applaudiva l’innovazione stilistica degli autori dell’apparato illustrativo, i protagonisti cioè del sodalizio artistico romano “In Arte Libertas”.
Sono in particolare le illustrazioni di Mario de Maria, “lo straordinario pittore bolognese, il grande innamorato della luna”, che costituiscono un contraltare innegabile per queste prime sperimentazioni di un Romiti mai visto e che contribuiscono a chiarire anche il decorso successivo della produzione romitiana, in particolare quei paesaggi notturni, dominati da cieli burrascosi squarciati dalla luna, che motiveranno la critica ad avanzare frequenti paragoni tra la poetica lunatica del bolognese e la più autentica ispirazione romitiana.
L’esito di tali illustrazioni resta ancora oggi un quesito irrisolto, che in mostra si è inteso enunciare tramite la presenza di un capolavoro di Romolo Romani, Ritratto di Benvenuto Benvenuti, conservato presso Fondazione Livorno, la cui dedica, vibrante di una condivisione culturale ed estetica con l’amico ritratto, rivela le coordinate del rapporto spirituale intrattenuto dall’artista bresciano non solo con Benvenuti, ma anche con l’intero cenacolo livornese, fino a determinare la sorte dello stesso Romiti, la cui copertina per L’Incubo Velato venne alla fine accantonata da Cavacchioli che gli preferì la proposta firmata dal “pazzo Lucifero”.
ROMITI E L’ART NOUVEAU
Sono proprio le Veneri e le Sirene disseminate da Gino Romiti nei suoi celebri fondali marini, così come da altri protagonisti del cenacolo artistico livornese del Caffè Bardi, quali in particolare Benvenuto Benvenuti, Mario Pieri Nerli e Raoul Dal Molin Ferenzona, a reclamare un’appartenenza iconografica e stilistica al serbatoio della grafica internazionale, come evidenziato nella V sezione della mostra Seduzioni e incantesimi di carta. Il mito fatale della Sirena nella grafica del Simbolismo e dell’Art Nouveau, curata da Emanuele Bardazzi.
Da Charles Guerin, rappresentato da due versioni della litografia Sirène, realizzate intorno al 1896, fino a Otto Greiner con Odysseus und die Sirenen, dello stesso 1896, sfilano in mostra le declinazioni allegoriche del mito della sirena, avvertito fatalmente dallo stesso Gino Romiti che, presente all’Esposizione Internazionale di Venezia fin dal 1903 e con ogni probabilità aggiornato lettore delle più prestigiose riviste illustrate europee, da “The Studio” a “Jugend”, ebbe certamente occasione di coltivare l’eccellenza della grafica mondiale, partecipando a quella temperie di rinnovamento linguistico, che in ambito nazionale, annovera artisti quali Francesco Nonni, Alberto Martini, Antonello Moroni.
IL PERCORSO INIZIATICO DI GINO ROMITI NELLA LIVORNO DI CHARLES DOUDELET
La mostra La Beata Riva. Gino Romiti e lo spiritualismo a Livorno. Protagonisti e Cenacoli tra la Scuola di Guglielmo Micheli, il Caffè Bardi e Bottega d’Arte costituisce una sorta di prosecuzione strategica, ma anche e soprattutto scientifica, di quella precedentemente realizzata alla Pinacoteca Comunale Carlo Servolini, Dans le noir. Charles Doudelet e il simbolismo a Livorno (30 settembre 2021 / 20 gennaio 2022), in quanto intende ricomporre l’assetto storiografico relativo alla carriera di Gino Romiti attorno alle vicende del simbolismo diffuso nella Toscana primonovecentesca, da Firenze a Livorno, grazie alla presenza del belga Charles Doudelet.
Nella Firenze dominata dalla rivista “Il Leonardo” - di cui ricorre nel 2023 l’Anniversario del 120° - e di “Hermes”, sulle pagine delle quali si impongono alcuni dei protagonisti del simbolismo internazionale, quali in particolare Charles Doudelet e Henry de Groux, sono numerosi i critici e i letterati che impugnano la causa dello spiritualismo nell’arte, a partire da Giovanni Papini che nel 1904 identifica nell’approdo di Doudelet a Firenze la fine della “crapula naturalistica”, fino a Giuseppe Prezzolini che nel 1903 applaude all’“impero dello spirito”. Ma è proprio sulle pagine di “Hermes” che, in occasione della recensione della fatidica Secessione di Palazzo Corsini del 1904, Nello Tarchiani, mentore dell’arte moderna a Firenze, azzarda l’inedito paragone tra il simbolismo “esteriore” di Galileo Chini e quello di Gino Romiti, definito “d’eccezione”.
In quest’ottica si riesce a recuperare un primato dell’artista nel quadro della Toscana più elitaria e innovativa del primo Novecento, grazie anche al ritrovamento di uno straordinario inedito del 1903, Centauro nel bosco (courtesy 800/900 Artstudio, Livorno-Lucca), da identificarsi con ogni probabilità con uno dei due dipinti presenti alla Secessione, straordinaria testimonianza di un divisionismo al bivio tra il notturnismo di Mario de Maria e la più accattivante formula luminosa di Plinio Nomellini.
LA SEZIONE DOCUMENTARIA: IL LIBRO ILLUSTRATO TRA SIMBOLISMO E ART NOUVEAU DALL’ISAOTTA GUTTADAURO AD HANS CHRISTIAN ANDERSEN
Da sempre la Pinacoteca Comunale Carlo Servolini, in omaggio alla mission di valorizzazione della grafica e dell’illustrazione italiana e internazionale tra Ottocento e Novecento, punta i riflettori sul fenomeno del libro illustrato.
Anche in questa occasione saranno quindi esposti alcuni cardini dell’editoria artistica livornese primonovecentesca, volti a documentare il fenomeno di quell’officina davvero esclusiva di pronunciamenti letterari e idealità espressive di indubbio quoziente estetizzante e visionario, consolidatasi in ambito cittadino tra gli anni Dieci e gli anni Trenta: è il caso di Gustavo Pierotti della Sanguigna, L’epifania d’Adone, Livorno, Belforte 1907 (copertina di Gino Romiti); Ettore Serra, Sogno simbolico, Livorno, Belforte 1909 (copertina di Benvenuto Benvenuti); Gustavo Pierotti della Sanguigna, Sardanapalo, Livorno, Belforte 1909 (copertina di Benvenuto Benvenuti); Aleardo Kutufà, Metafisica teologica, Livorno 1911; Adolfo Simonetti, I canti livornesi, Tip. Benvenuti & Cavaciocchi, Livorno 1929 (Copertina di Luigi Servolini); Massimo Mazzanti, Armonie della Sera. Liriche, Casini & Ortolani, Firenze 1931 (copertina di Gino Mazzanti).
A questi si aggiungono, con l’obiettivo di commentare l’indagine delle tracce della letteratura dannunziana nella produzione pittorica e grafica di Gino Romiti, l’Isaotta Guattadauro, edito nel 1886, accompagnato da un apparato illustrativo firmato dalla compagine degli artisti radunati sotto la sigla della società In Arte Libertas, in particolare Giuseppe Cellini, Giulio Aristide Sartorio, Mario de Maria, Vincenzo Cabianca, Alfredo Ricci, Alessandro Morani, Enrico Coleman, Onorato Carlandi e Cesare Formilli, e, ancora, l’eccezionale raccolta poetica di Ferdinando Paolieri, Venere agreste, Firenze, Casa Editrice Nerbini, 1908 (copertina di Giovanni Costetti), che costituisce una silloge di proposte iconografiche dedicate alla raffigurazione di divinità mitologiche rivisitate alla luce del panteismo dannunziano.
Un caso di particolare interesse è costituito dal volume Die Florentinische Landschaft. Toskanische Wanderungen von Carlo Boecklin und Karl Storck, Greiner & Pfeiffer Stuttgart 1910, selezionato in mostra per celebrare la presenza di Carlo Böcklin in Toscana e rievocare il suo rapporto personale con Gino Romiti, principale artefice quest’ultimo della fortuna del padre, Arnold Böcklin, nella Livorno primonovecentesca.
Sempre sul fronte internazionale figurano alcuni esemplari di preziosa editoria illustrata Art Nouveau, quali Vernon Hill, Ballads weird and wonderful, London 1912; Hans Christian Andersen, Fairy tales (illustrazioni di Harry Clarke), London 1916; Jean de Bosschère, Christmas tales of Flanders, New York 1917; Jugend, secondo semestre 1897, selezionati a corredo della V sezione e dominati dalle infinite attestazioni metamorfiche della donna-Sirena.