Gioberto Noro – Sulla fotografia (analogie e figure del dissimile)
Mostra personale.
Comunicato stampa
Oltre la soglia della cella III
Sono andati in uno dei luoghi più sacri e riservati della pittura, il Convento di San Marco di Firenze, affrescato dal Beato Angelico solo per i suoi occhi e quelli dei monaci: non per il pubblico cui l’accesso era precluso. E hanno scelto il luogo più intenso e raccolto, la cella III, dove si manifesta l’Annunciazione più essenziale e rivoluzionaria dell’epoca (e degli anni a venire): dove l’Angelo e la Vergine condividono per la prima volta lo stesso spazio mentre un caldo chiarore illumina il muro del loggiato che li racchiude. Sergio Gioberto e Marilena Noro sono andati fin lì per raccogliere quell’atmosfera germinale, scegliendo un dettaglio, un quadrato per la precisione (inquadrare: non è questo che fanno i fotografi?), che contiene il vero protagonista dell’affresco: non Gabriele, non Maria, ma la luce. E hanno posato il loro sguardo dove il muro si poggia sul pavimento, dove il verticale si unisce all’orizzontale e un piccolo scarto di tono certifica la congiunzione dei due mondi: una linea dell’orizzonte metafisica che segna il confine tra cielo e terra. È il Luogo geometrico dell’Essere (omaggio a Beato Angelico), così hanno titolato questo lavoro che annuncia e genera tutti gli altri: un viaggio in sette tappe nel silenzio e nell’attesa.
Dunque ogni cosa comincia da qui, da una pittura sapienziale del Quattrocento (d’altronde questa mostra include nel titolo le Figure del dissimile, care a tal punto a Didi-Huberman da denominare così il suo saggio sul Beato Angelico) e arriva fino a Malevič, un altro maestro che inseguiva l’assoluto. Non a caso Gioberto Noro hanno ingrandito quest’immagine per portarla alle stesse misure (79,4x79,4 cm) dei suoi quadrati neri e bianchi, icone contemporanee che Malevič collocava nel luogo deputato in Russia alle immagini sacre: l’angolo della stanza dove due pareti incontrano il soffitto (ancora una congiunzione di orizzontale e verticale) e da lì proteggono la casa.
Siamo ai confini del vuoto, un vuoto gravido di pieno, annunciazione di vita che sta per schiudersi all’esistenza. Lo stesso vuoto che si apre tra le due mani di Renaissance (after Malevič) virate in blu: il blu spirituale di Klein, ma anche il blu di Ad Reinhardt, un altro pittore in cerca di assoluto, e soprattutto il blu lapislazzuli evocatore dell’ultraterreno rinascimentale. Il maestro del Suprematismo, tornato alla figurazione, dipinse nel 1933 una Woman worker con le braccia semiaperte in una posizione del tutto innaturale: si può spiegare solo immaginando che le mani sorreggano un bambino. Quella operaia sarebbe dunque una figura del dissimile, una Madonna che abbraccia un piccolo Gesù che deve ancora manifestarsi. Assenza assai più potente della presenza.
Di quest’assenza gravida di energia ci parlano Gioberto Noro. Ci hanno abituato ai loro teatri del vuoto, maquette costruite ad hoc, ma più vere del vero, per dare una casa all’enigma. Ma qui diventano più leggere e rarefatte, quasi immateriali, una vertigine di bianchi nei quali perdersi per ritrovarsi: irrorate da una luce segreta, deus absconditus che non può svelarsi, ma rivela il mondo. Sono inquadrature verticali (ed è la prima volta che la coppia di artisti usa questo formato), a sottolineare una tensione verso il cielo, un’architettura che aspira all’alto. E infatti si chiamano Altissima luce. È ancora la luce la protagonista di Cronocamera, dove la più elementare delle strutture cambia sotto i nostri occhi mantenendo inalterata la sua natura: quella di soglia sull’infinito, acceso di un blu profondo e intenso. Una macchina perfetta della perdita d’occhio.
Le ultime due opere, Metacromie (à rebours) sono inaspettate e sorprendenti, anch’esse una prima volta, per i due artisti torinesi. Due conchiglie, una Fasciolaria e una Saint Jacques, che si trasfigurano (grazie a un forte ingrandimento e a una semplice inversione dei colori) e vibrano in un blu ultraterreno. Creature di un altro mondo, leggere, inafferrabili e meravigliose, architetture naturali che, come tutte le architetture, servono ad un solo scopo: dare una forma al vuoto.