Gioiello il figliolino preferito della gioia
Il progetto espositivo vuole indagare il gioiello nelle sue più ampie definizioni e sfaccettature.
Comunicato stampa
STUDIO STEFANIA MISCETTI è lieto di presentare la mostra collettiva GIOIELLO il figliolino preferito della gioia, a cura di Doris Maninger e Lilian Mattuschka.
Il progetto espositivo vuole indagare il gioiello nelle sue più ampie definizioni e sfaccettature: il gioiello come archetipo del regalo e la sua inutile utilità millenaria;
il suo far parte dell’essere umano come presenza materiale nel mondo e la sua assoluta importanza per affermarci e dire "sí, ci sono", ma anche gioielli
che si adagiano sul corpo e diventano tutt’uno con esso; il gioiello come ricordo per il corpo e per la mente, una costrizione a non dimenticare o per dirlo
con le parole di Bartleby: "I would prefer not to...die"; il gioiello come gioco, come espressione materiale della gioia.
In mostra saranno esposte le opere dei designer: Paolo Bernardoni, Daria Borovkova, Massimo De Luca, Doris Maninger, Lilian Mattuschka, Giorgio Orbi,
Yoko Takirai & Pietro Pelliteri, Federica Sala, Nur Terun, Adam Youssry.
Quella creata dalle curatrici è una eterogenea costellazione di oggetti che si distinguono per materiale, lavorazione e ricerca.
I gioielli in mostra saranno accompagnati dalle parole inedite della poetessa e scrittrice Claudia Fabris, autrice della raccolta Parole sotto sale.
Paolo Bernardoni: proviene da una famiglia di orafi fiorentini classici da generazioni. Bernardoni ha affinato le sue tecniche di stampo classico prima all'Istituto d'Arte di Firenze e successivamente nel laboratorio di famiglia, luogo in cui apprende le tecniche più propriamente "tradizionali".
Il suo lavoro prende forma dalla rivisitazione del gioiello "hippie" degli Anni '70, un gioiello "street food" realizzato con pochissimi mezzi da artigiani improvvisati
e itineranti. Nella fattispecie il filo di rame che avvolge la pietra diventa filo d'oro e le rifiniture che si possono osservare appartengono alla tradizione dell'oreficeria. L'estetica dei pezzi in mostra evoca una sorta di nostalgia legata ai tempi in cui le frontiere erano aperte e le migrazioni avevano un sapore molto diverso
rispetto ad oggi.
Daria Borovkova: nata in una famiglia di diplomatici, fin dalla sua infanzia è stata esposta a vari contesti sociali, linguistici e culturali, che rappresentano anche
oggi il fulcro della sua pratica artistica, tendenzialmente ibrida. I suoi mezzi di espressione sono disegni, gioielli e oggetti, attraverso cui fonda la propria riflessione su temi quali identità, singolarità e collettività sociale. Per l'occasione presenta una serie di anelli di diversi materiali, lavorati con una particolare tecnica
di fusione, provenienti dalla collezione Woman.hood e parte del progetto NUDA VITA. È inoltre esposto un pezzo realizzato appositamente per la mostra,
vale a dire una collana di grandi dimensioni in tessuto ricamato con testi in russo e italiano.
Massimo De Luca: nato a Paola, in Calabria, un autodidatta a cui piace definirsi artigiano-artista, o artista-artigiano, poiché nel suo lavoro le due sfere, con al centro la manualità e il disegno, non sono mai disgiunte, che si tratti di costruire un mobile o di realizzare una scultura. I suoi anelli di legno appaiono come piccole sculture che ricordano sia le grottesche romane e barocche sia la tradizionale statuaria agiografica, sino ad arrivare alle maschere africane. La sensazione
che si prova indossando questi pezzi realizzati con materiale organico è una sorta di fusione con la pelle, un contatto tra due esseri "vivi".
Claudia Fabris: una personalità difficilmente definibile, una performer e una poetessa che ha sperimentato forme d’arte molto diverse tra loro come la fotografia,
la danza, il teatro, la cucina e il cucito. Nell’ autunno 2012 scrive le prime definizioni che entreranno a far parte de le Parole Sotto Sale, PiccoloVocabolarioPoetico
in cui raccoglie enunciazioni originali di parole che quotidianamente utilizziamo. Il titolo della mostra è un estratto di questo vocabolario poetico.
Durante le sue performance l’artista legge, “spiega” e “scompone” alcune parole lasciando agli ascoltatori un forte senso di stupore e un potente invito
alla riflessione. Ha sviluppato per l’occasione dei pensieri sul tema del gioiello ma, come afferma la stessa Fabris, è da diverso tempo che medita
su ciò che ci adorna: “anni fa scrissi che il Gioiello è il vezzeggiativo maschile della Gioia, il suo figliolino preferito. Perché davvero se non ce l'hai prima in corpo, comprarlo e indossarlo è solo una bugia”.
Doris Maninger: curatrice della mostra nonché designer e artista multimediale, austriaca di nascita ma "trapiantata" in Italia. La sua attività nasce dalla necessità fisica di entrare in un dialogo profondo con l'ambiente in cui vive, inteso in senso lato: le persone, lo spazio, la natura, il tempo. Il gioiello è per Maninger un terreno estremamente congeniale attraverso cui avverte la possibilità di rendere visibile e palpabile la seduzione nel movimento e nella trasparenza, il divertimento, la sorpresa. Per l’occasione sono esposti lavori in filo di ferro e argento, collane e bracciali neri e grigi che si muovono come serpenti e si chiudono in una sorta di “coito”.
Per l’artista la ragione del gioiello vive nella sua funzione erotica e seduttiva.
Lilian Mattuschka: austriaca cresciuta in Italia e co-curatrice della mostra. Il materiale utilizzato maggiormente è il legno selezionato tra i boschi della Maremma
dai quali, partendo da un ramo, realizza con infinita cura strumenti per modificare corpo e mente: catene che legano, perni che fermano il movimento o smorfie
per nascondere il viso, tutti espedienti per evidenziare le invisibili costrizioni sociali a cui siamo assoggettati e che tacitamente accettiamo.
Mattuschka concepisce il gioiello come mezzo per costringere il corpo in certe posizioni, come “reminder” che mostra la posizione del corpo nello spazio.
Giorgio Orbi: romano, artista che lavora essenzialmente con video, installazioni e musica, indagando temi, o ossessioni, molto particolari, come la montagna
e i pappagalli. Prima che Google esplorasse il Monte Everest con le sue telecamere, le principali capitali europee sono diventate gli insediamenti di pappagalli
che ne hanno invaso il territorio cambiandone radicalmente il paesaggio sonoro. I suoi anelli a forma di pappagallo sono un avvertimento - e un divertimento -
in cui è forse insito il potere profetico di vedere il futuro.
Yoko Takirai & Pietro Pelliteri: duo giapponese-siciliano, due isole dal carattere forte e deciso fuse in un'unica entità volta a raccontare la luce del mare, lo sfavillio delle onde e una sapienza tecnica millenaria. Il materiale utilizzato è soprattutto l’argento rodiato, la cui intesa lucidità permette alla luce di riflettere in mille direzioni diverse. I gioielli realizzati da questa coppia si contraddistinguono non solo per la spiccata "luminosità" ma anche per l'estrema attenzione al movimento e al peso, raggiunti grazie a soluzioni tecniche sorprendenti.
Federica Sala: è un’artista che lavora soprattutto con il vetro, un materiale che cambia la vista sul mondo, che si fa attraversare dalla luce ma non dal corpo.
I suoi lavori sono allo steso tempo fragili e forti, una contraddizione di forte interesse per l’artista. La particolarità dei suoi gioielli risiede nel fatto che indossandoli inevitabilmente si “fanno sentire”, costringendo il corpo in un atteggiamento particolare di cura e di attenzione. Sono un rimando a ricordi, esperienze, sentimenti, sensazioni. Bene e male, felicità e dolore, positivo e negativo che si mescolano e si fondono per diventare un’unica cosa.
Nur Terun: è una designer e artista turca altoatesina che utilizza il metallo e l’argento per creare pezzi dalle forme geometriche e matematiche. Dato uno spazio,
cosa succede dentro e intorno? Il lavoro di Terun si basa sulla costruzione di forme razionali, un gioco di logica teso a risolvere le possibili soluzioni della dicotomia
"presenza concreta-astratta", attraverso la realizzazione di volumi e prospettive. Al centro della sua opera c’è un buco, un non-spazio delimitato da una sezione vuota ripetuta in serie e da riempire. Nel s uo pensiero c'è il tentativo di rappresentare un modo che possa descrivere alcune qualità di ciò che non si può concepire.
Per farlo cerca di arrivare a unità elementari togliendo il surplus in superficie. I suoi lavori creano un nuovo punto di vista sull'ambiente circostante enfatizzandolo
con un cenno che richiama la metafisica.
Adam Youssry: proviene dal medio Oriente, è musulmano ed è egiziano, una volta per tutte. Una volta per tutte è il titolo della sua collezione, un lavoro
che parla di restrizioni imposte dal luogo di nascita, imposte dalla legge, dalla religione e dal colore della pelle. Il materiale è limitato al ferro e alle viti
dai quali nasce un intreccio di gioielli che ricordano, sia per la forma sia per il peso, le armature o le reti che gravano sul corpo ma contemporaneamente
lo proteggono, lo espongono e lo adornano.