Giorgio Albertini – Riflessioni
In mostra a Manifiesto Blanco, per la prima volta a Milano, i dittici dedicati ai riflessi lacustri, nelle quali si avverte una vibrazione emotiva profondamente intima.
Comunicato stampa
«Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi (…); ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti… Quanto più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da quell'ampiezza uniforme; l'aria gli par gravosa e morta; s'inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro...»
I celebri versi che il Manzoni fa declamare a Lucia Mondella nel capitolo VIII de I Promessi Sposi pare bene si prestino a descrivere – con una prospettiva a volo d’uccello – la planata che Giorgio Albertini fa compiere alla sua pittura dalle vertiginose vette del Resegone e della Grigna sempre più giù fino a sfiorare il pelo d’acqua del Lario, con i suoi borghi sospesi tra i pendii e il cielo, e le barche che placide ne fendono la superficie cangiante.
Veterano della pittura, che quest’anno compie 50 anni di attività, Giorgio anche in tempi recenti non ha rinunciato tuttavia alle lusinghe sensoriali che una pittura figurativa di alta qualità può portare con sé anche al giorno d’oggi, in epoca post-avanguardistica.
In mostra a Manifiesto Blanco, per la prima volta a Milano, i dittici dedicati ai riflessi lacustri, nelle quali si avverte una vibrazione emotiva profondamente intima. La compartecipazione affettiva di Giorgio a questi paesaggi “a pelo d’acqua” si esprime attraverso una genuina felicità per il colore; un cromatismo cangiante di striature che fa rassomigliare il Lario ai tessuti tramati di Missoni o a delle murrine, restituendo all’osservatore “l’urto emotivo che mi dà l’onda”, secondo ammissione dell’artista stesso.
Più noti, forse, i suoi dipinti di montagna, che Giorgio ha continuato a realizzare a partire
dagli anni Novanta e che sono forse l'espressione più genuina della sua grande passione, ma disincantata, per la pittura. Amante della montagna, ma non dell’alta quota, Giorgio preferisce godere l’alpe alzando lo sguardo dal bordo lago, e prendendosi la giusta distanza, quella dell’ironia, dalle cime innevate. Perché la sua pittura è innanzitutto uno strumento per esorcizzare l’immagine consumistica che col tempo è andata a patinare l’originale, impedendone un’apprensione interpretativa avulsa da stereotipi. Più volte con la sua arte ha dileggiato la cromofotoimmagine stampata, ma senza mai rinunciare ai fasti – soprattutto cromatici – propri della pittura. Le prime annotazioni grafiche, la silhouette della massa montuosa tracciata meticolosamente sulla tela senza preparazione; poi l’addensarsi delle ombre, dei toni scuri, per infine andare a schiarire le emergenze, i punti di luce. Così i toni scuri rimangono netti, puliti, e l’essenza liquida dell’acrilico lo accompagna efficacemente durante tutto il processo.
L’appropriazione della visione come fatto personale segna costantemente il dispiegarsi inquieto delle sue tele, perché per l’artista dipingere qualcosa equivale a possederne l’anima, come in una sorta di rito tribale, una manìa, per sua esatta definizione. Nondimeno, l’addentrarsi nelle viscere della visione è per Giorgio un processo lento, cauto, faticosissimo. L’intera apparizione viene evocata nel buio e nel silenzio del suo studio milanese, con le imposte serrate e la luce artificiale che urta, senza mercéde, sulla tela.
Giorgio Albertini nasce a Milano nel 1930, dove compie gli studi.
Nel 1961 incomincia ad esporre nell'ambito di una pittura che, se pure di tipo informale, ha riferimenti naturalistici. Agli inizi degli anni 70 propone un discorso su un tipo di figurazione con il tramite della fotografia: si hanno pertanto i cicli delle "Immagini ritrovate” dove i personaggi degli album di famiglia vengono ripresi nella loro staticità. Segue poi il ciclo del "London Inclusive Tour” con i suoi seducenti soldatini ed i suoi splendidi cavalli che escono dai pieghevoli dell'agenzia turistica. Negli anni 80 lavora sul tema della natura morta altalenante tra l'immagine tratta dalla composizione pubblicitaria della carta patinata e la memoria di brani pittorici seicenteschi, con particolare riferimento ai lavori di Evaristo Baschenis nella mostra “Musica e dintorni”. Nel 1982, con il ciclo delle “Acquamorfosi”, Albertini riproduce fedelmente le gondole, le case e i palazzi di Venezia e Burano sulla superficie delle acque dei canali. Proprio questi «effetti fotodinamici» saranno alla base della riscoperta dell'informale. In occasione della personale presso la Galleria Credito Valtellinese di Sondrio (1994) presenta una serie di vedute alpine in bilico tra mec-art e iperrealismo, dove però viene esplicitata la sua fiducia senza riserve nel diretto e primario linguaggio della pittura.
Ha insegnato alla NABA (Nuova accademia di Belle Arti di Milano) ed esposto in importanti gallerie pubbliche e private in Italia e all’estero, partecipando a Fiere d’arte internazionali, quali: Bologna, Miart, Padova, Lugano, Bari, Washington, New York, Chicago, Bruxelles e Londra.
UNA MOSTRA PRODOTTA E ORGANIZZATA DA MANIFIESTO BLANCO IN COLLABORAZIONE CON MANDELLIARTE