Giorgio Cornolti – Pratiche automatiche
L’opera, atto poetico solitario, è una riflessione sul tempo e sull’inane tentativo, da parte di un passeggero in transito, di lasciare una traccia, già sapendo che il senso delle sue parole, e quindi della sua storia, non può essere compreso.
Comunicato stampa
In origine un tratto che si ripete, segno reso a tratteggio che scandisce la superficie – ritmica verticalità - facendosi gesto automatico e liberatorio che nasce da una danza interiore.
In origine una scrittura antica, traccia intima e contemporaneamente collettiva, che parla di storie accadute ormai non più leggibili e forse mai realmente comprese.
Sul fondo ricordi come presenze che perdono la propria identità, fors’anche il proprio valore, nel momento stesso in
cui la mano tenta di fissarli, modificati dal tempo e dall’azione nell’attimo stesso in cui vengono fermati.
Sono graffi su un muro, litanie di figure, luoghi, frammenti di un passaggio, densamente coperti o solamente velati, persi nella memoria o forse volutamente mascherati, che segnano uno stato andato perduto.
La volontà di lasciare un segno che indichi il passaggio è una pulsione passionale o un’ancestrale necessità, è il bisogno di raccontare la propria vicenda che è fatta di suoni più che di parole, di sensazioni più che di significati su una base dove
la memoria si stratifica, per poi impulsivamente ricoprire la proprie tracce rendendo il presente passato, in una silenziosa convivenza di istinti.
L’orizzontalità della cancellatura, talvolta luttuosa presenza, possiede una forza pari all’incisività del tratto; la cancellatura è uno scorrere cromatico-temporale che segna l’avanzare dell’atto pittorico e dà vita ad un nuovo spazio vitale destinato ad accogliere futuri segni caduchi e provvisori.
La pentagrammatica orizzontalità è un bisogno di limitare lo spazio e di creare delle fasce di confine rassicuranti che diano concretezza e che permettano di non smarrirsi.
I lavori sono muri di luce e sangue, di contrasti luminosi e tona- li, in cui il gesto materico nasconde la verità e la storia, facendo sopravvivere l’intimità nella segretezza.
L’opera, atto poetico solitario, è una riflessione sul tempo e sull’inane tentativo, da parte di un passeggero in transito, di lasciare una traccia, già sapendo che il senso delle sue parole, e quindi della sua storia, non può essere compreso.
Silvia Gervasoni