Giorgio Olivieri – Geometrie sempre possibili
L’esposizione milanese è una ricognizione sulla sua più recente ricerca che punta non solo “ad elaborare la fluida visibilità dell’epidermide cromatica, ma anche a raggiungere equilibri tra le superfici dipinte”, scrive nelle pagine del catalogo il critico Claudio Cerritelli che ha curato la mostra.
Comunicato stampa
Inaugura il 19 gennaio a Milano alle ore 18.00, presso la Galleria Artestudio, la mostra “Geometrie sempre possibili”, personale dedicata a Giorgio Olivieri, artista veronese di calibro internazionale.
L’esposizione milanese è una ricognizione sulla sua più recente ricerca che punta non solo “ad elaborare la fluida visibilità dell’epidermide cromatica, ma anche a raggiungere equilibri tra le superfici dipinte”, scrive nelle pagine del catalogo il critico Claudio Cerritelli che ha curato la mostra.
La ricerca dell’artista affonda le radici nella pittura americana degli anni ’50-’60 che privilegia un’indagine sulla pittura stessa, le sue coordinate strutturali, i suoi segni e i suoi materiali. Nel 1964 Olivieri si reca a New York dove espone alla The Armory Gallery entrando in contatto con le poetiche dell’espressionismo astratto nella sua linea più analitica di Barnett Newman, Frank Stella e Mark Rothko, facendosi interprete, già dai primi anni di attività, di quel clima di azzeramento aniconico che segue l’onda calda dell’azione informale.
A connotare la sua poetica sta proprio il valore di relazione che scaturisce dai diversi elementi tra loro accostati che disegnano di volta in volta un magico equilibrio: la superficie monocroma satura di colore, la struttura sagomata del telaio, le pennellate ai margini dell’opera vanno, così, a delineare delle “geometrie sempre possibili”, come recita il titolo della mostra.
In questa fase della sua ricerca, se da un lato è memore delle procedure seguite negli anni settanta, del vigore formale e dell’esattezza compositiva, dall’altro il processo generativo della luce cromatica si trascina dietro i cambiamenti avvenuti nel corso del tempo e il piano della superficie è elaborato con materie fluide e disgregate, sensibili a variazioni continue. Un percorso che lascia aperti nuovi margini di cambiamento, una strada che non si è ancora esaurita, ma che, al contrario, continua ad alimentarsi di nuovi slanci creativi, “sempre in attesa di verificare nuove possibilità d’invenzione”.
GEOMETRIE SEMPRE POSSIBILI
La possibilità di relazione tra diverse superfici costituisce lo spazio unitario dell’opera cui Giorgio Olivieri sottopone le pulsazioni mutevoli del colore, ottenendo varie soluzioni attraverso l’accostamento e il distanziamento delle forme geometriche interne ad ogni composizione.
Nella recente fase di ricerca l’artista non è soltanto impegnato a elaborare la fluida visibilità dell’epidermide cromatica, ma anche a raggiungere equilibri diversi tra le superfici dipinte e la parete di fondo, calibrando i rapporti tra la forma totale e le singole componenti strutturali.
Nell’allestimento di questa mostra Olivieri fa prevalere una serie di corrispondenze formali tra opere predisposte in una sequenza che tende a sviluppare contrappesi spaziali in relazione alle tensioni interne del colore.
Il progetto espositivo è un modo di interpretare lo spazio attraverso le soglie della pittura, luoghi di contrazione ed estensione delle superfici, volontà di assimilare l’ambiente attraverso le dinamiche costruttive e le pulsazioni del colore che accompagnano gli accostamenti delle opere.
In questa fase della sua ricerca Olivieri è senza dubbio memore delle procedure seguite negli anni Settanta, quando l’analisi delle forme geometriche mostrava esattezza compositiva e precisione esecutiva, delimitando il campo cromatico con margini netti, contorni decisi, campiture piatte, quasi per esaltare il rigore della superficie pittorica.
Guardare alle radici del passato e filtrare i nutrimenti della propria storia sono inclinazioni consuete per i pittori della sua generazione, soprattutto per chi è consapevole che ogni strada percorsa non è mai esaurita, in quanto la pittura è linguaggio sospeso su ulteriori sensi di ricerca, sempre in attesa di verificare nuove possibilità d’invenzione.
Pur mantenendo il vigore formale di quella fase primaria del suo percorso, Olivieri ha mutato nel corso del tempo il processo generativo della luce cromatica e - nell’ultimo decennio- ha elaborato il piano della superficie con materie fluide e disgregate, sensibili a variazioni continue.
Esse lasciano affiorare luci sottostanti, vibrazioni minime che nascono dai fondi lisci e levigati, colori inquieti ottenuti con paste acriliche trattate ad encausto per ottenere trasparenze e profondità, leggerezze e densità.
Il fermento lieve delle campiture dipende dalle gradazioni di colore previste nella fase progettuale, con scelte che vanno dalle tensioni oscure del profondo alle emozioni immerse nelle risonanze della luce.
Nelle opere di questa mostra – a differenza delle rigide procedure analitiche- non v’è rischio di una visione meccanicistica in quanto il controllo delle composizioni si apre allo stupore delle compresenze cromatiche, al rapporto tra valori contrapposti e interagenti con la morfologia dell’opera-oggetto.
Uno dei caratteri persistenti è infatti il valore tattile e oggettuale della superficie, una presenza fisica che valorizza lo spessore dei bordi, la leggibilità dei perimetri, la definizione percettiva delle linee di demarcazione delle forme, il profilo complessivo delle diverse sagomature.
E’ inoltre decisivo – in questa messa a punto delle articolazioni geometriche- il passaggio dal piano costruttivo a quello immaginativo, dagli attributi strettamente formali alla dimensione simbolica dello spazio architettonico.
In questa direzione, Olivieri ha esplorato la forma archetipica dell’arco come canone sottoposto ai processi di scomposizione del modulo spaziale, attraverso geometrie sezionate e ricomposte in un diverso assetto unificante.
Per restituire l’integrità della forma originaria, l’artista ha utilizzato da tre a cinque elementi, sbilanciati e divergenti, in modo da suggerire uno spazio instabile, una costruzione di poligoni geometrici che si aprono e si sfiorano, si articolano e si ricongiungono alla misura armonica dell’arco.
Questo canone architettonico è un referente che rafforza il rapporto tra pittura e ambiente, forma e sensibilità plastica, colore e luce espansiva, a tal punto che ogni opera sviluppa a proprio modo il rapporto tra ciò che è strutturalmente quantificabile e ciò che allude alla sfera dell’imponderabile.
L’apparizione di successivi sensi visivi non sfocia nello stato d’animo lirico o in evocazioni di tipo letterario ma è legato alle proprietà specifiche del linguaggio pittorico che si articola nella complessa pienezza della materia, nei movimenti interni della sua visibile identità.
Nella configurazione di ogni opera agisce un doppio piano di strutturazione della forma, da un lato la fluidità del colore che sommuove la superficie, dall’altro la definizione costruttiva del supporto: vibrazione cromatica e rigore strutturale si congiungono determinando una relazione con lo spazio che dà corpo alla forma totale dell’immagine.
Pieno e vuoto, superficie dipinta e parete, pittura e ambiente, sono partecipi del medesimo impatto percettivo, secondo ritmi spaziali che variano secondo i contatti e le divergenze tra le singole parti, momenti indispensabili all’articolarsi della forma-colore come spazio unico.
Le forme prescelte sono nominate nell’ambito della cultura “aniconica” che caratterizza l’immaginario pittorico di Olivieri: figure della geometria, incastri di linee rette e curve, equilibri asimmetrici, sconfinamenti e slittamenti che incrinano la staticità dei canoni spaziali.
In questa logica operativa è fondamentale stabilire gli intervalli tra le superfici, calcolare i magnetismi tra le forme geometriche, misurare gli stacchi e le convergenze, le intermittenze tra la superficie e il vuoto, tra presenza e assenza del colore.
La pittura assimila questi momenti dialettici per dare forza ai differenti movimenti dell’immagine, alla sua facoltà di modificarsi continuamente, in quanto ogni opera ha una regola costruttiva che genera slittamenti immaginativi vincolati alla fusione tra forma e colore.
Parlare di fusione non significa che la scelta cromatica dipenda dalla struttura del supporto; infatti, a una determinata forma non corrisponde necessariamente il rosso o il verde o il giallo, tali collegamenti variano nell’immaginazione del pittore che sceglie -volta per volta- determinate valenze luminose per verificare la loro funzionalità nel contesto definito.
Olivieri non persegue il colore in funzione della forma o la forma in relazione al colore, questa relazione è dovuta a scelte legate al diverso peso spaziale che forma e colore stabiliscono nel corso della ricerca.
Il valore di questa tensione conoscitiva può verificarsi entro la struttura del
rettangolo, con tagli lineari da un punto all’altro della superficie, come la curvatura presente in un'esemplare composizione “sull’azzurro”
(36x130 cm.).
L’orizzonte è stretto e dilatato, segnato da una linea di separazione flessibile e sottile, un segmento di arco come linea armoniosa che s'insinua e non scompone la superficie, le due parti divise sono perfettamente integrate.
Una soluzione dello stesso tipo caratterizza due opere dello stesso formato
(148x100 cm.), l’una improntata “sul giallo sensoriale” e l’altra sul “grigio mentale”, superfici che presentano un taglio verticale laterale che crea un angolo acuto, con un segmento obliquo che flette verso il lato destro.
Questa anomalia spaziale suggerisce la geometria inquieta di una soglia che lascia intravvedere uno spiraglio nel campo monocromatico, dialogo intuitivo tra la superficie dipinta e la sua parte nascosta, retrostante, invisibile.
In un’opera "sul rosso” (103x116 cm.) la divisione della superficie gioca su quattro elementi i cui lati obliqui si dilatano dal centro verso l’esterno creando una lama di luce bianca che taglia la totalità del monocromo.
Analoga tensione è presente in una variazione di quattro pezzi “sul grigio”
(165x236 cm.), la divaricazione delle superfici si attua nelle quattro direzioni attraverso un crocevia che taglia l’opera in modo asimmetrico, aprendo lo spazio a una maggiore interferenza con il bianco della parete.
Questa ripartizione di quattro elementi in senso orizzontale e verticale è sviluppata in una serie di cartoni monocromatici di varia grandezza che mettono in evidenza il punto di contatto degli angoli e il graduale distanziarsi delle superfici. Oltre all’uso di quattro elementi, le variazioni possono basarsi su tre elementi accostati e sovrapposti, di solito dello stesso colore ma talvolta anche di tre colori diversi, si tratta di variazioni che entrano nel gioco delle possibilità che l’artista tiene sempre aperto.
D’altro lato, Olivieri organizza una sequenza di superfici in forma di trittico con andamento orizzontale, ritmo regolare e funzionale alla lettura specifica dei valori cromatici della superficie. Questo tipo di concentrazione avviene anche nell’uso del dittico, unità di forme che esaltano la tensione bipolare della superficie, dualità del colore primario (per esempio il rosso) che afferma la sua centralità, scelta elementare di forte pregnanza tra le soluzioni adottate.
Anche in questi casi le parti vuote sono funzionali all’unità della forma e del colore, diventano segni virtuali della realtà pittorica che modifica costantemente il registro dei diversi equilibri progettati.
Un maggior inglobamento del vuoto avviene in una composizione di quattro elementi “sul verde scuro” (185x200 cm.), una parte inferiore compatta costituita da due rettangoli simmetrici lievemente obliqui.
Ad essa si aggiunge una zona superiore dove due forme sagomate e acute si inarcano ad altezze diverse, spingendo le punte ad accorpare quanto più vuoto possibile.
La struttura dell’opera dichiara apertamente i propri confini ma nello stesso istante li mette in crisi, li sbilancia, rende dinamica la loro struttura ambivalente, infatti – mentre definisce l’assetto della composizione – l’artista contemporaneamente lo oltrepassa, lo fa scattare altrove.
Ogni elemento di questa singolare opera è predisposto da Olivieri affinché il rapporto tra le forme rompa lo schema compositivo facendo oscillare lo sguardo oltre i bordi, verso la zona illimitata del visibile, accentuando il rapporto tra conoscenza pittorica e spazio infinito.
Affine a questo continuo sbilanciamento del limite è l’accostamento di tre elementi diversi “sul giallo” (190x110 cm.), si tratta di una composizione che deriva dalla struttura dell’opera precedente e –tuttavia- sembra far parte di un’architettura immaginaria: segno di un’armonia spaziale perduta che la pittura interroga attraverso un dettaglio, una parte per il tutto.
Il valore luminoso del colore e la sagomatura arcuata conferiscono allo spazio la massima dilatazione, la possibilità di entrare e uscire simultaneamente dal campo della pittura, anche a rischio di essere dentro una situazione non definibile, soggetta ad altre mutazioni. A questa condizione emblematica e alle sue infinite possibilità di sconfinamento Olivieri è fortemente legato, convinto di far pittura senza preclusioni, affascinato e sorpreso da nuove intuizioni spaziali, dal desiderio di esplorare geometrie ancora possibili, sospensioni del colore in divenire.
Claudio Cerritelli