Giorgio Ortona – Roma Rosa
Il ritorno nella sua città d’adozione (Ortona nasce a Tripoli nel 1960) segna un elemento di continuità con la sua ricerca stilistica, orientata ormai da diversi anni soprattutto allo studio e all’attenta osservazione del contesto urbano.
Comunicato stampa
Dopo aver partecipato alla 54° Biennale di Venezia, nel Padiglione Italia invitato da Antonio Lopez
Garcia (il più grande pittore realista vivente), e a distanza di quasi due anni dall’esposizione “I corpi
Le nature morte Le costruzioni” (novembre-dicembre 2011), Giorgio Ortona torna a calcare la
scena artistica romana con una mostra personale presso la First Gallery, curata da Valerio
Magrelli, dal titolo “ROMA ROSA”.
Il ritorno nella sua città d’adozione (Ortona nasce a Tripoli nel 1960) segna un elemento di
continuità con la sua ricerca stilistica, orientata ormai da diversi anni soprattutto allo studio e
all’attenta osservazione del contesto urbano.
Le sue vedute romane, che si contraddistinguono per una ricerca analitica che denota sin dal
primo sguardo la sua formazione d’architetto, sono caratterizzate da paesaggi urbani nei quali la
precisione geometrica e strutturale coesiste all’unisono con la voluta incompiutezza cromatica.
Non sono i luoghi monumentali o quelli maggiormente noti della città ad interessarlo, ma tutto quel
tessuto urbano privo di una qualsiasi velleità estetica; luoghi anonimi, caratterizzati negli anni da
speculazioni edilizie che spesso li hanno resi totalmente impersonali. La scelta di utilizzare uno
sguardo dall’alto, espediente ereditato dal maestro spagnolo Lopez Garcia, accentua
maggiormente la sensazione di trovarci di fronte ad un paesaggio in continua evoluzione, dove i
grandi condomini, intervallati soltanto da piccole e grandi strade, dominano incontrastati la scena.
Con i suoi lavori Giorgio Ortona ci accompagna alla scoperta di luoghi spesso sconosciuti,
indirizzando lo spettatore in un insolito “tour” che spazia tra le più storiche abitazioni del quartiere
Umbertino, a quelle più popolari dell’Appio Latino, del Casilino, di Monte Mario, del Tiburtino, fino
ad arrivare alla campagna romana ed i suoi cantieri, ormai scenario incontrastato delle nuove
speculazioni edilizie. In esposizione anche figure e nature morte.
Dal testo di Valerio Magrelli:
...“Io me ne intendo, di periferie”, mi ha spiegato Giorgio. In tal modo mi ha introdotto al suo
segreto, e quasi inconfessabile, amore per le palazzine di Roma, tanto universalmente deprecate,
eppure, insiste, molto più belle delle loro omologhe di Palermo, Napoli o Torino. Hanno al massimo
sette piani, forse per non superare l’altezza di San Pietro (il cupolone torna a infestare il nostro
discorso), e una grazia, una grazia… Davanti alle sue tele, c’è da credergli, persuasi da
un’alchimia cromatica che giunge dolcemente a trasfigurare il reale...