Giovanna Lacedra – Io sottraggo
Performance e Mostra sull’ossessione anoressico-bulimica di Giovanna Lacedra a cura di Grace Zanotto della Galleria Famiglia Margini di Milano.
Comunicato stampa
IO SOTTRAGGO.
LA TRIANGOLAZIONE CIBO-CORPO-PESO
Performance e Mostra sull’ossessione anoressico-bulimica di Giovanna Lacedra
a cura di Grace Zanotto della Galleria Famiglia Margini di Milano
“La violenza non si dimentica.
Bisogna ricrearla per sbarazzarsene”
[Louise Bourgeois]
È violenza la comunicazione interrotta.
È violenza l’assenza di parole che scava vuoti nei territori dell’affettività.
È violenza il corpo di un bambino mai abbracciato.
È violenza la dimenticanza del diritto all’infanzia.
È violenza il tentativo di trasformare un figlio nel sogno che di lui abbiamo.
È violenza investire un bambino di responsabilità che solo un adulto può e deve sostenere.
È violenza barattare un pugno di caramelle con “giochi” che poi non si dovranno raccontare…
Sono queste le forme di violenza che potrebbero fare della bambina di oggi l’anoressica-bulimica di domani. Perché un disturbo del comportamento alimentare è un disturbo del comportamento, non dell’alimentazione.
A certe forme di violenza, intangibili, indicibili, innominabili, spesso non si sopravvive.
Crescono in noi come voragini: precipizi nello stomaco e nel cuore.
Ci resta dentro un vuoto che somiglia alla fame.
Un vuoto d’amore che ci affama. Un vuoto che non sappiamo chiamare, raccontare, confessare.
Il bisogno di qualcosa che non c’è mai stato e che proprio per questo temiamo di non poter meritare.
Paura di chiedere, paura di dare. Paura di dire, paura di sbagliare.
Paura di stare nella propria vita. Perché non siamo più in grado di distinguere tra diritto ad occupare un posto nel mondo e delitto di ingombranza nella vita dell’altro.
Il verbo “esserci” si trasforma nel verbo “ingombrare”. Il verbo “chiedere” si trasforma nel verbo “pesare”. E così rimpicciolirsi, ridursi, inscatolarsi, tacersi, diventano le sole strade per sentirsi al sicuro.
Se mangio meno, peso meno e il mio corpo allo specchio si riduce; si fa più piccolo, meno ingombrante, meno straripante. Indisturbante. Una piccolissima, spigolosissima scatola capace di imprigionare il mare.
Con questa logica la “Gabbia d’oro” già abilmente descritta nel 1978 da Hilde Bruch prende forma.
La triangolazione cibo-corpo-peso diventa la trincea che ci blinda e parimenti ci immunizza dal rischio di vivere.
Si sceglie il digiuno per allontanare una fame compulsiva, bestiale, ancestrale.
L’anoressia non è che questo: un vano ed ingiusto tentativo di ingabbiare il mare di vivere, il flusso dei desideri, il maremoto dei sentimenti, l’imprevedibilità degli eventi, l’inesorabilità dei cambiamenti, la legittima voracità di certi appetiti.
Sentire la fame, capire di desiderare, concedersi o non concedersi il diritto di prendere, di pretendere, di afferrare. Di sfamare e nutrire la propria vita.
La fame di cui ci si ammala è allora una fame che trascende la sostanza alimentare.
Si è anoressici, prima che con il cibo, con la vita stessa.
Si è anoressici tutte le volte che al desiderio si preferisce il sacrificio, la rinuncia.
Si è anoressici tutte le volte che ci si autocensura, negandosi il diritto di osare, di nutrire un’ambizione, di provare a realizzare un sogno. Di sfamare, insomma, i propri appetiti.
Sospesi tra bisogno reale e bisogno di non aver bisogno, si finisce per perdere l’equilibrio, sino a quando non si è più in grado di trovare la giusta collocazione tra il tutto ed il niente.
Per questa ragione non esiste anoressia senza bulimia.
La bulimia diventa la belva indomita che il comportamento anoressico, intransigente e calcolatore, tenta di tenere a bada. Una belva che inaspettatamente – nei momenti di solitudine profonda o di sgomento –, si divincola dalle catene alle quali pensavamo di averla saldamente legata, e si scatena come fosse una fame di tutto, primitiva ed insaziabile. Una fame patologica, che ci aggredisce da dentro: nullifica la nostra forza di volontà, trasformandoci in una pattumiera che tutto inghiotte e riducendo in brandelli giorni e giorni di digiuni pianificati da un ipercontrollo ossessivo.
Questo è quello che accade quando il cibo non è più cibo e quando la fame che hai è un’altra fame.
È la paura che ci allontana dal cibo. È la paura che ci spinge verso il cibo.
È la paura di quel vuoto d’amore, che ci spinge a riempirlo di altro.
È la paura di quel vuoto d’amore che ci porta a dilatarlo.
IO SOTTRAGGO è allora un’azione performativa che crea e ricrea l'ingranaggio patologico, rimettendo in scena le dinamiche ossessive anoressico-bulimiche.
IO SOTTRAGGO vi costringe a guardare nel perimetro triangolare di questa verità.
IO SOTTRAGGO combatte l’omertà. È un grido contro il silenzio di chi non sa e non vuole vedere,
di chi ignora e superficializza. Di chi sceglie di non capire che non si può guarire di solo cibo, perchéil disagio sotteso ad una patologia della nutrizione, è in realtà molto più complesso, radicato e profondo.
IO SOTTRAGGO.
LA TRIANGOLAZIONE CIBO-CORPO-PESO.