Giovanni Anselmo / Paolo Mussat Sartor
Una doppia mostra dedicata a due importanti artisti: Giovanni Anselmo e Paolo Mussat Sartor.
Comunicato stampa
Paolo Mussat Sartor abita a Torino da sempre e, per una coincidenza del destino, si è trovato a condividere con tutti i grandi dell’Arte Povera quell’esperienza. Naturalmente il merito è suo. Quanti hanno sfiorato o incrociato gli stessi destini, gli stessi artisti, senza accorgersene? Lui, Paolo, invece, è riuscito a stabilire una complicità con gli artisti suoi compagni di strada, ha capito subito l’importanza di quanto stava accadendo tra la fine dei Sessanta e l’inizio dei Settanta e per qualche tempo ha documentato le opere di tanti artisti che vivevano o che venivano a Torino.
Guardandone le immagini ci si accorge che Mussat fornisce un sottile messaggio subliminale rispetto al lavoro dei singoli artisti. Questi non vengono còlti mentre lavorano alla definizione di un’opera: pare invece che il fotografo stia facendo di loro la propria opera. E così Paolini viene posizionato davanti a strumenti per il disegno; Merz cammina nel vento con una cera sotto braccio; Anselmo guarda un po’ impaurito una pesante pietra che potrebbe cascargli addosso; Salvo sta a bocca aperta (come Raffaello) e guarda in macchina; Twombly naturalmente volta le spalle dentro a un anonimo impermeabile bianco.
Forse già da questi ritratti degli anni Settanta Mussat prepara la strada a quelli successivi ancora più personalizzati da un suo tocco pittorico che interverrà a modificare le immagini dagli anni Ottanta in avanti, quando avviene il cambiamento nel lavoro del Nostro.
Nella mostra con Giovanni Anselmo che inaugura il primo ottobre a Brescia, Mussat presenta ritratti della seconda generazione, quelli corretti, dipinti, abbassati con il colore (sovente con il solo nero).
Anselmo, nel ritratto in mostra, ha un’aria luciferina, mentre il mio ritratto, appena eseguito, mi fa diventare un santo che guarda lontano un po’ sorpreso.
Salvo diceva, lo ha anche scritto, che io avevo un’aria piuttosto stupita quando ascoltavo i racconti, le storie, le pretese di tanti artisti (non tutti). E certo così è. Il mondo dell’arte è sorprendente e Mussat documenta lo stupore che questi artisti creano, con colpi di colore nero che nascondono come in una nuvola volti ed corpi. Nelle fotografie recenti del soggetto rimane visibile il volto, la testa; tutto il resto sparisce. Il soggetto non ha più un mestiere, è lui, da solo con se stesso e sembra l’immagine riflessa in uno specchio annerito che nasconde tutto.
Il superfluo per concentrare l’attenzione su uno sguardo, una smorfia, un sopracciglio alzato. Mai un sorriso. D’altronde Carl Marx e Giuseppe Garibaldi non sorridevano nelle fotografie.
Hollywood è arrivata molto dopo.
Massimo Minini
Ho conosciuto Giovanni Anselmo da Sperone a Torino, in Corso San Maurizio, quando andavo in pellegrinaggio in quel tempio poverista e minimalista, un ambiente radicale, povero, severo, pavimento in cemento con i buchini del rullo, giunti dilatatori, muri bianchi… Allora ogni minimo segnale entrava a far parte dell’opera, e “Entrare nell’opera” era appunto il titolo di un famoso lavoro di Anselmo in cui l’autore, messa la macchina fotografica su cavalletto con autoscatto, si fiondava di corsa sul prato in discesa. Allo scadere del tempo la macchina lo riprendeva, appunto, dentro l’opera. I dettagli sono da qualche tempo il centro del lavoro di artisti contemporanei, così come i grandi giudizi universali e le battaglie campali lo erano stati nei secoli passati. Perché oggi gli artisti non dipingono più grandi battaglie con eserciti, elicotteri, bombe atomiche e tutto l’armamentario equivalente delle guerre d’oggi, che continuano comunque imperterrite? Il fatto è che la nostra visione del Mondo e dell’Universo è messa in dubbio dalle continue scoperte della scienza che allarga ogni giorno i confini del nostro sapere, senza mai raggiungere un punto fermo. Sappiamo che le galassie si allontanano l’una dall’altra a una velocità spaventosa. Poi qualcuno nega: forse si avvicinano alla stessa impressionante velocità. Il dubbio è la caratteristica dell’uomo moderno, così come la certezza lo era dell’uomo medievale o rinascimentale. Quell’uomo che sapeva esattamente che la Terra era piatta, il sole girava attorno ad essa, Dio abitava lassù ed i diavoli “nella Geenna dove è pianto e stridor di denti”. E così Anselmo, poeta della sua generazione di artisti torinesi attenti agli sviluppi delle arti nel mondo, un lontano giorno a Stromboli vede la propria ombra proiettata dal primo sole verso l’infinito. Luce del mattino, una intuizione, il solito problema: l’Uomo non si rassegna alla morte e cerca con ogni mezzo di capire come fare a sopravviversi, a prolungare il proprio passaggio sulla Terra prima, nell’infinito universo poi. Forse il veicolo è la mente, la creatività, l’intuizione, la poesia, il sogno di un’ombra che si proietta, di una bussola che indica un nord lontano, allineata alla pietra, un proiettore che lancia nell’aria una scritta (particolare) che si materializzerà solo se qualcuno la cerca e la vuole davvero. In fondo come oggi i ragazzi cercano i Pòkemon col cellulare. La rivoluzione dell’Arte Concettuale, la smaterializzazione dell’oggetto, trova in Anselmo uno straordinario interprete che fa volare le pietre, alleggerire i grigi, correre per entrare nell’opera prima che sia troppo tardi, dipingere un blu oltremare ad est sul muro adiacente la pietra squadrata, che ci indica il nord come un punto di tensione, di energia, di passaggio. Un luogo dove mai arriveremo, se non con la mente, con la volontà, con il desiderio di raggiungere un momento sconosciuto, un approdo sicuro, un orizzonte che è una linea/terra, per trovare un blocco di antracite antico di trecento milioni di anni. E così, mentre la Terra si orienta, le stelle si avvicinano di una spanna in più, i grigi alleggeriscono, noi assistiamo all’interferenza nella gravitazione universale e in particolare l’autore ci rende visibile il panorama con la mano che lo indica. Una fotografia dell’infinito attraverso il cielo ci dice che entrare nell’opera è necessario se vogliamo che duri il nostro respiro, che prenda una sicura direzione nel cosmo, mentre l’invisibile si manifesta con tutte le sue interferenze. La scienza occidentale, la filosofia zen orientale, l’intuizione poetica, la visione dell’artista, la capacità di unire queste attitudini, trovano in Giovanni Anselmo un ricettore ed un diffusore. Noi siamo nel deserto e attorno a noi c’è solo sabbia. Non riusciamo a scorgere altro. Lui invece ha dentro di sé un decoder che gli permette di captare tutte quelle onde, forze, immagini che sono nell’aria sì, ma invisibili. Anselmo le rende visibili e ce le porge con la mano aperta, come un dono: ora le vediamo anche noi.
Massimo Minini